William & Miguel Quattrocento anni dalla loro morte
Non potevano essere più diversi, William Shakespeare e Miguel Cervantes furono accomunati solo dalla morte. Se ne andarono a poche ore l’uno dall’altro nella notte tra il 22 e il 23 aprile 1616. Due vite parallele che rappresentarono, ognuno a suo modo, l’anelito di libertà interiore, prima che fisica, cui aspirava tutta l’Europa.
Proclamando ad una voce la nascita di una nuova borghesia a discapito di codici cavallereschi che apparivano vetusti e superati i due autori, percorrendo strade diverse girando in lungo e in largo il Vecchio Continente e soprattutto Cervantes fu suo malgrado un anello di congiunzione tra Europa e Asia, tra Oriente e Occidente.
Non è un caso che il suo Don Chisciotte sia stato scritto nelle prigioni di Algeri quando catturato dai Saraceni aspettava invano un impossibile riscatto. Il vate spagnolo attraverso tutte le contrade i paesi che si affacciavano sul Mare Nostrum, mentre Shakespeare ha toccato con la sua fantasia ogni Lido d’Europa da Verona a Venezia con le vicende dei due amanti più famosi del mondo, ma anche con la tragedia dell’ebreo Shylock nel Mercante di Venezia fino alle desolate coste di Danimarca con il Tristo Amleto.
Quasi senza saperlo, come solo i grandi sanno fare, Shakespeare e Cervantes hanno riaffermato un’idea di Europa basata sul comune sentire che va aldilà delle monarchie nazionali e si rivolge a un popolo che da vulgo diventa, lentamente e drammaticamente, Demos, cioè classe, democraticamente consapevolmente informata e capace di articolare i propri destini e di autodeterminarsi.
Questa apertura al nuovo non poteva che derivare da una serie ininterrotta di viaggi e di conoscenze che non sia apprendevano solo sui mappamondi o sulle pagine di libri pergamenati, ma che derivavano altresì dall’osservazione e dalla conoscenza diretta di quanto andava accadendo. L’età elisabettiana in Inghilterra, come le trasformazioni della Spagna nel 1600, furono un bivio della storia e della vita dei popoli. Di questo e di altro, in modo del tutto personale e geniale Shakespeare e Cervantes furono incomparabili interpreti. Cittadini del mondo si fecero carico di una grande trasformazione che passava anche attraverso le loro vite di artisti e di uomini. Ma la storia come la letteratura si fa dai documenti e dagli scritti ed è da lì che vorremmo cominciare in un confronto duale tra due pietre miliari di quello che siamo stati e di quello che saremo.
Quattrocento anni fa morivano a distanza di poche ore, i contemporanei William Shakespeare e Miguel de Cervantes. Il primo onorato con le liturgie più solenni della corte d’Inghilterra, il secondo, invece, a Madrid in condizioni di assoluta povertà e anonimato, poiché solo postumo lo colse il successo.
23 Aprile 1616 – 400 anni dalla morte di William Shakespeare.
Quando non sarai più parte di me ritaglierò dal tuo ricordo tante piccole stelle, allora il cielo sarà così bello che tutto il mondo si innamorerà della notte. (Romeo e Giulietta).
Quanti di noi, almeno una volta nella vita, hanno cercato di esprimere il proprio sentimento, magari scrivendo una poesia o una semplice frase sul diario. Ecco: Shakespeare non esprime sentimenti diversi da quelli che noi proviamo. Solo che li esprime meglio di come ognuno di noi possa fare.
Non domandiamoci dunque se oggi abbia o no un senso rappresentare e leggere Amleto, Macbeth, Riccardo III, Giulietta e Romeo o La Tempesta, perché la bellezza della loro scrittura ce l’ha sempre un senso.
Ma non è una sola questione di forma, ma anche di contenuti. Prendiamo l’Amleto, per esempio. Oggi viviamo con disinvoltura la nostra libertà decisionale. Eppure la libertà non ci rende liberi; sono a volte più il rispetto delle regole e la solidarietà a farlo. Poter e voler determinare le nostre scelte ci spinge sull’orlo decisionale dove può anche attenderci un senso di smarrimento.
L’angoscia è la vertigine della libertà, scriveva Søren Kierkegaard, il padre putativo del pensiero esistenzialista di Heidegger, Sartre, Wittgenstein. L’angoscia vertiginosa del libero arbitrio sconvolge la mente del principe di Danimarca dall’alto delle mura del castello di Elsinore. Amleto è il padre putativo di Kierkegaard, è il nonno putativo dell’esistenzialismo del ‘900. Anche Søren Kierkegaard era nato e vissuto in Danimarca. Quando si dice il caso!
Date parole al vostro dolore altrimenti il vostro cuore si spezza. (Macbeth). Non so se esista oggi un’opera più attuale del Macbeth. Qui la visione si ribalta. Non c’è vertigine provocata dall’indecisione. C’è, tuttavia, l’azione indotta e provocata dalla volontà di chi ha la capacità di condizionarci e plagiarci. quanti esempi riuscite ad individuare nella realtà dell’era dei media e della globalizzazione della comunicazione? Nel caso del Macbeth la dipendenza psicologica matura in famiglia.
Chiunque conosca questa tragedia sa comprendere come il motore persuasivo delle azioni criminali di Macbeth sia la sua amatissima consorte Lady Macbeth, capace di trasformare la possibilità di diventare re di Scozia in necessità di diventare re di Scozia a qualsiasi costo; la fedeltà del suo sposo nei confronti del sovrano in complotto e reicidio; l’amicizia fraterna nei confronti dell’amico e compagno Banquo in freddo calcolo omicida ai danni dello stesso non appena questo si pone tra lui e i suoi obbiettivi; tutto in una escalation inarrestabile, e tutto nel tempo di pochissime battute.
Quando Lady Macbeth muore, l’uomo Macbeth rimane svuotato di tutto, tremendamente solo, circondato da una solitudine che lo priva anche della sua vera personalità e della sua stessa anima, poiché soffocata e dispersa dall’amore provato per la sua compagna, capace di sovrastare ogni sua precedente volontà e azione. La volontà e la libertà non sono qui facoltà soggettive, ma indotte dalla società, dalla soggezione subita da terzi.
Tutti i drammi storici di Shakespeare, sono pervasi da un senso nietzschiano della storia, mossi da una inesorabile grande ruota della Storia che porta gli usurpatori ad usurpare ciò che a sua volta è stato usurpato, fino a perire davanti ad un nuovo usurpatore, in un eterno passaggio di mano del potere. L’epoca in cui Shakespeare vive è quella del XVI e inizi XVII secolo. L’epoca di guerre di religione di violenza nella gestione del potere, di prevaricazioni e intolleranza. Epoca lontana dalla nostra, ma così vicina.
Quando Macbeth è solo, tutta la struttura intorno a lui crolla pezzo dopo pezzo e l’eroe tragico assume tutte le debolezze dell’uomo dell’epoca del drammaturgo inglese, come quelle dell’uomo del 2000. Shakespeare conosceva a fondo l’animo umano, al di là delle circostanze storiche e culturali del suo tempo. Questa è la straordinaria forza di attualità delle sue opere.
Ora i nostri svaghi sono finiti. Questi nostri attori, come già vi ho detto, erano tutti degli spiriti, e si sono dissolti in aria, in un’aria sottile …noi siamo della stessa sostanza di cui son fatti i sogni, e la nostra breve vita è circondata da un sonno.
Così ne La Tempesta, ultima opera del grande drammaturgo con la quale egli si congeda dal suo pubblico. Toccherà a noi, ora soffiare ancora sulle sue vele affinché la sua opera ci restituisca quell’attualità che possiede e della quale abbiamo bisogno. Non chiediamoci, quindi, se abbia ancora senso rappresentare o leggere Shakespeare, proviamo piuttosto a stargli al passo.
22 Aprile 1616 – 400 anni dalla morte di Miguel de Cervantes de Saavedra.
Chi è questo Cervantes? Così si domandavano, scrittori, critici, nobili e cortigiani di Filippo III, all’uscita dei teatri, nelle corti e nelle dimore patrizie di Spagna, negli anni che sancirono il successo di quello che sarebbe stato considerato il capolavoro letterario del millennio.
Ma colui che si firmava Miguel De Cervantes non si sapeva proprio chi fosse. Era morto alla vigilia del suo successo. Le sue spoglie riposano da qualche parte a Madrid, ma non si sa ancora oggi dove esattamente.
Seminarista, soldato, combattente alla battaglia navale di Lepanto, invalido di guerra, prigioniero di pirati in Algeria, poi nuovamente carcerato, ingiustamente, in Spagna. Era nato in una famiglia povera che ha cercato fino alla fine di sostenere come gli era possibile.
La vita di Miguel de Cervantes è stata un romanzo straordinario, più del suo stesso capolavoro Don Chisciotte. Per sottolineare la modernità ed attualità di questo romanzo basta porre l’attenzione sul personaggio Sancho e sull’eterna realtà del popolo del “chi te lo fa fare?”, del “che abbiamo da spartire?”, del “facciamoci i fatti nostri”. Quel popolo è sempre lo stesso.
Don Chisciotte, l’Hidalgo della Mancia, supera l’angoscia della libertà di scelta attraverso l’emulazione eroica e ribelle del mito. Sancho e tutti i personaggi del suo piccolo mondo, pure riescono a superare tale angoscia, ma attraverso la completa rinuncia all’autodeterminazione, attraverso il misero e rassegnato appagamento.
Lo scudiero sempliciotto è schiavo delle proprie necessità così come Don Chisciotte lo è delle sue virtù.
Sancho non è in grado di ribellarsi, né ha la consapevolezza dell’opportunità di doverlo fare, ogni ostacolo burocratico, economico, politico o sociale è per lui un mulino a vento insormontabile.
Sancho è un cosiddetto proletario, ma con una piccolissima anima borghese. Ma sono entrambi in cammino ad inseguire il loro stesso sogno di vivere la vita, Don Chisciotte e il suo scudiero Sancho Panza, alla confusa ricerca di riferimenti e valori, di verità e illusioni.
Francesco Guccini, nel suo brano Don Chisciotte, con queste strofi chiude la sua indimenticabile canzone:
Mi vuoi dire, caro Sancho, che dovrei tirarmi indietro
perché il “male” ed il “potere” hanno un aspetto così tetro?
Dovrei anche rinunciare ad un po’ di dignità,
farmi umile e accettare che sia questa la realtà?
Il “potere” è l’immondizia della storia degli umani
e, anche se siamo soltanto due romantici rottami,
sputeremo il cuore in faccia all’ingiustizia giorno e notte:
siamo i “Grandi della Mancha”,
Sancho Panza… e Don Chisciotte!
Michele Pacciano – Mauro Corsini
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