Fuga dei cervelli: e se il saldo fosse positivo? Luci e ombre di un fenomeno sfaccettato
Quando si parla di fuga di cervelli si pensa sempre ai nostri ricercatori, futuri scienziati, nel campo delle nuove tecnologie. Il fenomeno della fuga è però ben più articolato di questa comune semplificazione, dato che non tiene conto di due fattori fondamentali:
- I “cervelli” non sono solo i ricercatori scientifici universitari che vanno nella Silicon Valley, ma anche gli stilisti, gli artigiani, gli artisti, i cuochi, e chiunque usi la propria materia grigia per eccellere nel proprio campo;
- La “fuga dei cervelli” è un fenomeno che presenta anche un flusso in entrata, molti stranieri vengono in Italia per studiare e lavorare, e non mi sto certo riferendo ai disperati che sopravvivono al canale di Sicilia.
A questo punto dobbiamo cercare di capire cos’è un “cervello”: è uno studente? È un neo laureato? È un ricercatore? Vediamo i dati in maniera semplice ma analitica.
UNIVERSITÀ
Tanti italiani vanno a studiare all’estero, ma c’è anche chi guarda all’Italia, diamo un’occhiata al mondo universitario (dati Unesco):
- circa 77.000 studenti internazionali studiano nelle università italiane;
- circa 48.000 studenti italiani studiano nelle università straniere.
Se ci mettiamo in competizione con le altre nazioni, vediamo che l’Italia, per quanto riguarda l’attrarre studenti stranieri, è al 10° posto, dietro nell’ordine a USA, UK, Australia, Francia, Germania, Giappone, Russia, Canada e Cina. Fin qui non direi che possiamo lamentarci più di tanto, anzi il saldo è positivo.
Conosco personalmente molti ragazzi e ragazze stranieri che fin da bambini hanno sognato di venire a studiare in Italia, e che grazie all’Erasmus o alla loro iniziativa personale realizzano il nostro scopo. Ma cosa vengono a studiare? La lingua italiana, arte, moda, design, ecc. Devo ancora vivere l’esperienza di conoscere qualcuno che venga qui a studiare ingegneria, informatica o altre scienze legate alla tecnologia. Ce ne saranno di certo, ma credo che siano pochini. Per quanto limitata possa essere la mia esperienza personale, ne deduco che l’attrattiva italiana resta fortissima nel campo umanistico, ma molto debole in quello scientifico.
LAVORO
Passiamo ora al mondo del lavoro, analizzando quanti neolaureati lasciano il nostro paese e quanti ne arrivano ogni anno (fonti OCSE):
- Circa 90.000 laureati tra i 25 e i 34 anni ogni anno lasciano l’Italia
- Circa 126.000 laureati stranieri ogni anno approdano in Italia
Ecco che anche qui il saldo è sorprendentemente positivo: ogni anno per ogni 10 laureati che “fuggono” dall’Italia, ne arrivano 14 dall’estero! Interessante, no? Ma, anche in questo caso, l’Italia non si piazza bene nei confronti degli altri paesi avanzati, dato che l’Italia si piazza al 19° posto: per ogni 10 laureati che escono dal rispettivo paese, ne arrivano 170 negli USA, 101 in Australia, 73 in Israele, e così via. Saldi e proporzioni decisamente migliori, indice di un’attrattiva ben più forte rispetto all’Italia.
Anche in questo caso, conosco personalmente molti laureati che vengono a lavorare in Italia. Divido il mio ufficio con un Ingegnere inglese laureato a Londra e con 5 anni di lavoro alle spalle negli Stati Uniti… ma le svariate decine di altri laureati che lavorano qui sono storici, storici dell’arte, filosofi, impiegati o direttori di istituzioni museali e altre figure del campo umanistico.
RICERCA
Ecco che le note dolenti vengono dalla ricerca, ovvero da quelli che fanno carriera universitaria o lavorano nelle aziende che investono nel futuro (stime del CNR):
- Ogni anno circa 3000 ricercatori italiani cercano fortuna all’estero, il 16% del totale;
- Ogni anno circa 500 ricercatori stranieri approdano in Italia, il 3% del totale.
Il saldo è quindi del negativo del 13%. Confrontandosi con quello che avviene in giro, possiamo citare i saldi positivi dei paesi attira-ricercatori come Regno Unito (+8%), Germania (+20%) e persino Spagna (+1%). Davvero sconfortante.
Posso raccontare un’esperienza personale? È successo quasi 30 anni fa, ma da quello che so la situazione non è cambiata di molto. Avevo da poco conseguito la laurea quando il mio relatore mi fece capire che era un bel po’ che non “piazzava” un ricercatore, e che quell’anno “toccava a lui”. Quindi, che mi fossi preparato oppure no, l’esame per ricercatore l’avrei passato comunque e avrei beccato la borsa di studio. Non mi presentai neanche… ma torniamo a noi: un ricercatore straniero che viene a sapere che in Italia le borse vengono assegnate per clientela, molto probabilmente viaggerà verso altre nazioni dove vigono criteri di onesta meritocrazia.
In conclusione, non credo che la fuga dei cervelli sia in sé un male. Mi piace credere che in un mondo libero la circolazione degli studenti, dei laureati, dei ricercatori, dei lavoratori e quindi delle idee e delle esperienza, sia un fenomeno del tutto positivo e da incentivare. Il problema nasce quando l’emorragia non è compensata da un flusso entrante di quantità e valore paragonabili! L’Italia ha quindi bisogno di rendere le proprie università, centri di ricerca e aziende più attrattive per criteri di selezione, retribuzione e stimoli. Solo a quel punto il saldo tornerà ampiamente positivo e la fuga dei cervelli sarà percepita in maniera diversa.
Giovanni Trambusti