Giovanni Vernassa il Teatro e la pseudo crisi
Oggi in Italia tre teatri si dividono il primato degli afflussi: il Sistina di Roma, l’Augusteo di Napoli ed il Verdi di Firenze. È una corsa impari vista la dimensione delle tre capitali regionali.
La costruzione dei primi due è di epoca recente mentre quello fiorentino risale a metà dell’Ottocento.
Tre cartelloni di eccellenti compagnie, tre cartelloni che ad ogni spettacolo gremiscono sala e palchi in ogni ordine di posto. Ciò per dimostrare che se vi è coraggio imprenditoriale, capacità amministrative e ottima conoscenza del settore i bilanci si chiudono sempre in attivo.
Nella capitale mondiale del Rinascimento taluni particolari sono perfettamente a conoscenza degli organizzatori e dei programmatori della stagione teatrale per cui si avventurano a cuor sereno ad offrire la cena la sera della prima ad ognuna delle 12 compagnie facenti parte del pacchetto riservato agli abbonati. Firenze è l’unica città che persevera in questa tradizione.
È vero che sono numerosi teatri sul territorio nazionale sono stati costretti per ragioni economiche e finanziarie a cessare l’attività e chiudere la partita Iva, ma se si andasse ad esaminare caso per caso ci si accorgerebbe che la professionalità latita alla pari del coraggio imprenditoriale.
Di questo ed altro ne ho discusso con Giovanni Vernassa tra i maggiori imprenditori teatrali nazionali. Il padre Sergio, anche lui organizzatore teatrale, gli ha trasmesso la passione e il mestiere, innanzitutto l’amore e la passione per il palcoscenico ed in un secondo momento la professionalità e la correttezza. Oggi cura gli interessi di numerosi teatri del Centro e del Nord Italia.
Insieme a Claudio Bertini, Massimo Gramigni e Lorenzo Luzzetti ha costituito, circa 20 anni fa, una società che gestisce l’attività teatrale del Verdi, e con altre società gestisce alcuni palcoscenici tra i più importanti della Liguria, dell’Emilia e della Toscana.
Ancor prima di iniziare la piacevole conversazione ci tiene a precisarmi che se in tutti questi anni hanno ottenuto dei risultati favorevoli il merito in gran parte è da ascrivere sul conto dei collaboratori.
L’approccio mi piace, evidenziare che si fa gioco di squadra e che i meriti e i trionfi vanno spartiti con tutti i dipendenti è un gran segnale di maturità, di professionalità e di organizzazione.
Parte subito a ruota libera, evidentemente con la stampa ha notevole dimestichezza ed è avvezzo alle domande, specie quelle di avvio che in genere servono per riscaldare i motori.
“Abbiamo una consuetudine ben radicata: quella di riunirci spesso e discutere a lungo anche di particolari che a prima vista potrebbero apparire insignificanti o marginali ma che immessi nel mosaico globale rivestono la loro importanza. Siamo organizzati in maniera tale che dobbiamo essere veloci nel recepire i segnali che provengono dalla platea, gli umori, le battute, i desideri. Visto che parliamo di materia non scientifica ma umorale, ritengo sia necessario afferrare tutto ciò che svolazza nell’aria”.
Se Firenze ha tradizioni consolidate nel teatro e ad ogni stagione le conferme giungono dal botteghino sta a significare che gli organizzatori premiano il pubblico ed il pubblico premia gli organizzatori.
Il Verdi di Firenze dopo il Sistina di Roma e l’Augusteo di Napoli è il teatro con maggior numero di abbonati su tutto il territorio nazionale.
“Il nostro cartellone prevede 12 spettacoli in abbonamento e 20 fuori abbonamento, per la semplice ragione che ci preme accontentare quanti sono possono seguire con assiduità le rappresentazioni e non ne saltano nemmeno una, come pure andiamo incontro a quanti che non pongono il teatro al primo posto nella graduatoria del divertimento oppure sono impossibilitati a presenziare per tutta la stagione”.
Da anni qualcuno si diverte a raccontare di crisi dello spettacolo, di bilanci in rosso, di problemi economici e finanziari. Probabilmente trascura un particolare, che ovunque si vada sono necessarie due doti: la capacità e la correttezza. Entrambe indispensabili, qualora difettasse una delle due di strada se ne percorre pochina.
“Abbiamo una media di 1200 spettatori a spettacolo e riempiamo il teatro con una media dell’80% segno che la semina è proceduta con serietà e professionalità. Ma non solo commedie, in passato abbiamo effettuato parecchie dirette tv, sono stati ospiti Quelli del calcio condotto da Fabio Fazio, alcuni programmi televisivi guidati da Giorgio Panariello, da Leonardo Pieraccioni. Con la Rai si è collaborato spesso. Nel periodo in cui il Teatro Comunale è stato chiuso abbiamo ospitato la lirica, durante la Seconda Guerra il Verdi è stato spesso l’unico teatro di Firenze per cui in questi spazi si concentravano tutte le attività artistiche della città”.
Certo la lirica è importante, ma per voi i consensi sono pervenuti da un altro settore.
“Il nostro legame con la lirica è storico, tant’è che la prima rappresentazione in assoluto è stata un’opera verdiana, il Viscardello (è il primo titolo che fu dato al Rigoletto per motivi di censura su libretto di Francesco Maria Piave e tratto dal dramma di Victor Hugo Le roi s’amuse, ndr) nel 1854, e si narra che lo stesso Giuseppe Verdi ci abbia onorato con la sua presenza e direzione, ma su questo non esiste documentazione o certezza comprovata. Il legame tuttora è in essere, tant’è che la proprietà delle mura dello stabile appartiene all’ORT, Orchestra della Toscana”.
Sergio Vernassa, il padre di Giovanni, nel 1974-75 presentò la commedia musicale Aggiungi un posto a tavola, di Pietro Garinei e Sandro Giovannini, musicata da Armando Travajoli, costumi di Giulio Coltellacci, coreografie di Gino Landi, ed interpretata magistralmente da Jonny Dorelli, Paolo Panelli, Bice Valori e Jenny Tamburi. Un successo strepitoso.
A distanza di tre decenni, nel 2004-05, per dare continuità all’idea paterna la commedia torna nella città del Giglio con Giulio Scarpati, Chiara Noschese, Enzo Garinei, Max Giusti, Margot Sikabonyi e visto che lo spettacolo nonostante sia stato visto e rivisto più di una volta continua imperterrito a mietere consensi, Giovanni Vernassa e soci lo hanno riproposto nel 2015-16 e ad aprile ha riempito di nuovo la platea e la cassa.
“Come dicevo poc’anzi, ci piace ascoltare i pareri del pubblico, ci fermiamo volentieri a discorrere a fine serata, ascoltiamo e valutiamo i suggerimenti, i consigli, come pure le critiche costruttive. I nostri collaboratori scendono in platea, all’uscita si fermano a parlare. Abbiamo studiato e realizzato un questionario che a fine stagione facciamo compilare per delle valutazioni sui singoli attori, sulle compagnie, sugli spettacoli, è uno strumento che prendiamo in altissima considerazione perché ci consente di analizzare a fondo l’andamento di un’annata teatrale. Riusciamo a comprendere dove sono stati commessi errori e quali sono le indicazioni che dobbiamo seguire”.
D’altronde oggi coi mezzi informatici tutto è più agevolato, il tempo è ottimizzato al massimo e le comunicazioni celerissime quasi in tempo reale.
“Ricordo da bambino che il mio babbo si recava spesso a Roma, a Napoli e in altre città importanti per andare ad assistere agli spettacoli, poi una volta calato il sipario raggiungeva i camerini per mettersi d’accordo con attori e impresari sulle date in cui dovevano trasferirsi a Firenze e dopo due, tre mesi anche il pubblico del Verdi poteva godersi talune scene. Erano tempi pionieristici. Esisteva maggiormente il contatto umano, ci si parlava guardandosi negli occhi, oggi tanto è mutato”.
Il teatro era anche una scuola con regole che non potevano essere trasgredite, esisteva il rispetto del ruolo: tu maestro, io alunno. Forse il distacco tra maestro ed alunno a volte era esagerato ma oggi si è passati dalla parte inversa, la democrazia è vantaggiosa ma servono i paletti per non sconfinare in sistemi anarcoidi e improduttivi.
“In passato abbiamo avuto grandi attori perché hanno svolto tanta gavetta e con umiltà, i giovani si posizionavano dietro le quinte ed in silenzio assistevano alle recite, si rubavano le battute e i tempi, il mestiere lo si imparava giorno dopo giorno. I primi attori venivano rispettati ed esisteva una sorta di barriera invisibile tra loro ed il resto della compagnia, oggi quelle regole sono saltate. Sono pochissimi quelli che ancora rubano il mestiere. Gli ultimi arrivati e le nuove leve li vedi girare sempre col cellulare in mano a ridere e scherzare, distrazioni che non ti consentono di concentrarsi e di apprendere”.
Giovanni ha potuto applaudire i personaggi più illustri di ieri e quelli di oggi, non gli è sfuggito nessuno, da Totò a Macario, da Gino Bramieri a Walter Chiari, da Wanda Osiris a Mariangela Melato, e per finire a Massimo Ghini, a Vincenzo Salemme, Claudia Gerini, Lorella Cuccarini, Alessandro Gasmann ed il resto delle nuove generazioni.
“Sì, sì, li ho visti tutti. Non esiste un attore o una attrice del passato e del presente che non abbia calcato i legni del Verdi, inoltre con quasi tutti loro esiste un rapporto che va oltre l’aspetto lavorativo. Il bravo attore, o attrice, deve saper regalare sorrisi ed emozioni, nel momento in cui riesce a centrare i due obiettivi palchi e platee faranno il tutto esaurito. Vi è una fascia di attori posizionati un gradino sopra la media, ma per me Paolo Poli rimane il più grande del panorama italiano, dal punto di vista professionale una spanna sopra gli altri e dal punto di vista umano una persona ammirevole, un gran signore. Era il primo ad entrare a teatro e l’ultimo ad uscire, un esempio di passione ed abnegazione che non ho riscontrato in nessun altro, inoltre è vissuto nel periodo di massimo fulgore per il teatro e per il cinema per cui ha conosciuto le stelle più lucenti del firmamento artistico ed ha imparato l’utile ed il dilettevole, la sua umiltà gli ha consentito di carpire frasi e gesti da tutta quella miriade di personaggi nazionali e internazionali che ha frequentato. È stato un faro che ha tracciato il cammino a tantissimi del settore”.
Poi l’onda ha principiato la discesa ed in tanti si sono rivolti alla politica per ottenere finanziamenti e agevolazioni.
“Sono contrario alle elemosine ed alle elargizioni, in questo ambiente serve professionalità e passione qualora viene meno una delle due si deva cambiare aria, dedicarsi ad altre professioni. Gli errori si pagano, magari non oggi, ma alla distanza di sicuro ti si presenta il conto. Per anni sono stati proposti ai ragazzi spettacoli obbrobriosi e di pessimo gusto, naturalmente ai giovani quelle scene rimangono ben impresse nella memoria e si disaffeziona convinto che tutto il teatro sia quel genere di marciume. Sono scelte politiche che nulla hanno a che vedere con la qualità teatrale. Per quanti anni un determinato colore politico ha tentato di impadronirsi della cultura e dell’arte, teatro compreso? Hanno elargito esclusivamente a quanti si tesseravano per quella bandiera ma nel contempo il botteghino piangeva”.
Ora l’orizzonte appare meno fosco.
“Abbiamo raggiunto taluni accordi con le scuole, però anche lì ci sono delle trappole perché se incontri un professore o una professoressa che ama il teatro allora trasmette sensazioni calde se accade il contrario i frutti tardano a maturare. Vi è chi obietta che andare a teatro costi un patrimonio, fa parte della fantasia perniciosa in quanto il prezzo del biglietto parte da 15 ad un massimo di 37 euro e francamente non mi pare proibitivo, trascorrere una serata con 20 euro non penso voglia significare svenarsi. Sono ottimista e sono convinto che il futuro ci riserverà grosse soddisfazioni e gratifiche premianti”.
Si nota lontano un miglio la sua passione per il teatro e per quell’ambiente ove a volte non si riesce a comprendere il sofisticato velo che separa l’immaginario dalla realtà. Giovanni merita credito e rispetto non fosse altro che per i 3000 (tremila) e passa spettacoli ai quali ha assistito. Roba da Guinness.
Il teatro non è altro che il disperato sforzo dell’uomo di dare un senso alla vita, come amava ripetere il grande Eduardo.
Bruno Galante
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