Quell’Italia in mezzo al guado
In un anno sono nati in Italia soltanto 460000 bambini. La natalità ha una crescita pari a zero.
La famiglia cambia e si disgrega diventando spesso una monade parcellizzata con componenti ad una sola cifra. Ma il nucleo familiare rimane l’unica ancora di salvezza, di fronte alla crisi è l’unico porto sicuro a cui si ancorano giovani ed anziani.
Gli Under 20 che non studiano e non cercano lavoro, sono ancora a carico di genitori e nonni, ma anche la generazione degli over 30, sfiduciata, assopita e rancorosa stenta a lasciare mamma e papà, a spiccare il volo e a camminare con le proprie gambe.
L’impietosa fotografia dell’Istat ritrae un paese arrancante, dove chi può sceglie la via dell’emigrazione. Non si tratta solo di una partenza dal Sud al Nord, quanto anche di un esodo di ritorno verso la Germania, la Svizzera i paesi europei economicamente più floridi.
Anche le università italiane accusano un calo di iscritti e a tenere alto il livello degli atenei sono soprattutto gli studenti meridionali che andranno ad ingrossare le fila della classe dirigente prossima ventura.
Secondo le ultime stime sono 700 mila gli studenti fuori sede che dal Mezzogiorno scelgono una università del centro nord. Le mete più gettonate rimangono Firenze, Milano, e Bologna.
La generazione Erasmus che sceglie il mondo come proprio orizzonte si forma quando lascia la provincia italiana.
Chi ha il coraggio di osare sceglie soprattutto Londra come metà privilegiata per cominciare una nuova vita, ma anche le città italiane sono meta gli studenti stranieri, soprattutto le culle d’arte e le piccole patrie del bel canto come Parma e Modena dove si formano i lirici del domani, i cui studenti provengono soprattutto da Corea e Giappone.
Ma anche inglesi americani e francesi non disdegnano di venire a perfezionarsi negli atenei storici del nostro paese soprattutto per quanto riguarda le materie umanistiche e la tutela dei beni culturali. Tutta l’Italia infatti è uno scavo a cielo aperto dove la storia ti passa accanto.
Lo ripeteremo fino allo spasimo noi potremmo vivere soltanto di gastronomia e di turismo.
L’Italia problematica è anche piena di risorse che non si ha più la voglia di cercare o coltivare.
Le nostre eccellenze non sono mosche bianche ed i lavori che non si vogliono più svolgere perché li si considera usuranti degradanti e anche umilianti, li fanno gli immigrati.
A Milano nelle pizzerie napoletane lavorano pizzicagnoli e camerieri pakistani.
Nel quartiere ebraico di Roma, nello storico Portico d’Ottavia, in un rinomato ristorante kosher capita di trovare un cuoco arabo, come se si ripetesse una strana nemesi della storia.
I bambini che nascono in questa Italia a due velocità che ospita nuove povertà e offre campo a studenti di Harvard e della Georgetown University, questi ultimi sono soprattutto figli dei nostri nonni emigranti, mentre gli studenti extracomunitari a volte sono anche i più bravi a scuola perché hanno una voglia di riscatto che a noi a volte manca.
Il fenomeno è più accentuato tra le ragazze che tra i ragazzi, a primeggiare sono le giovani studentesse con il velo che diventano l’esempio di un paese multiculturale, che si sentono e sono donne italiane di religione musulmana.
Non abbiamo ancora un sindaco di origine pakistana come a Londra ma il processo di integrazione è lento e inesorabile.
Se si vuole testare la situazione dei flussi è sufficiente recarsi negli empori cinesi, sorti come funghi anche nei piccoli centri oltre che nelle cittadine medie e medio-piccole.
Vedremo sfilare una clientela eterogenea che va dai rumeni, agli indiani, ai bulgari oltre agli italiani impoveriti che si affacciano timidi a cercare prodotti a poco prezzo.
Ogni cambiamento, qualunque esso sia, non è mai molto semplice e comporta sempre delle scelte e delle rinunce. Bisogna saperlo gestire e l’Italia oggi è in mezzo al guado.
Michele Pacciano
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