Flachi: gli sbagli si pagano (in attesa della grazia)
Francesco Flachi, Ciccio per una ristretta cerchia di amici, viene al mondo 5 mesi dopo Alessandro Del Piero e 17 mesi prima dell’altro Francesco, quello di Roma, il pupone Totti. Sono accumunati dal numero che portavano sulla spalla, il magico 10 dei campioni.
Ciccio Flachi, classe 1975, segno zodiacale ariete, è nato l’8 aprile come il cantautore di origine fiamminga Jacques Brel.
Muove i primi passi calcistici in uno dei quartieri più popolari della capitale rinascimentale, all’Isolotto con la maglia biancorossa, il presidente della società dilettantistica lo aveva visto palleggiare in campeggio a Torre del Lago e prontamente lo convince a tesserarsi con i biancorossi.
Quanti lo notavano in campo pronosticavano per lui un futuro più che roseo.
Gli osservatori della Fiorentina lo visionano diverse volte e alla fine decidono di acquistarlo per 120 milioni di lire.
Con la Viola è tesserato un ragazzo che ha scritto pagine importanti del calcio nazionale e planetario: Roberto Baggio.
Si allena assiduamente, cresce, matura ed esordisce nel 1993, in quell’anno la società di Vittorio Cecchi Gori milita nella serie cadetta, e mette a segno due reti. Di lui si racconta un gran bene e si intravede una nuova bandiera fiorentina.
Tanta tecnica e tanto talento, però la concorrenza in attacco è spigolosa, ci sono Gabriel Batistuta, Ciccio Baiano e Anselmo Robbiati.
Per irrobustire la muscolatura viene offerto in prestito al Bari per pochi mesi nel 1996-97, ritorna ma con scarsa fortuna, poche presenze e pochissimi gol, tanta panchina e molta tribuna. Anno successivo altro prestito questa volta ad Ancona, 17 presenze e 10 gol.
Nel 1998-99 ancora sull’Arno, ad allenare trova Giovanni Trapattoni che per lui non stravede, anzi non gli fa vedere nemmeno le fotocopie della panchina.
Finalmente il campionato giunge al termine e viene dirottato all’ombra della Lanterna per indossare la divisa blucerchiata.
È uno di quei grandi amori dall’impatto immediato, dopo appena un mese di preparazione estiva esordisce in Coppa Italia contro il Savoia a Torre Annunziata e firma la prima doppietta. Ultras in giuggiole e Francesco contento e beato.
Il grigiore fiorentino sembra essersi allontanato, al primo anno 28 presenze e 5 gol, in panchina siede Giampiero Ventura. La stagione successiva al suo posto c’è Gigi Cagni che stravede per il giovanotto dell’Isolotto, questi ricambia alla grande: 34 presenze e 17 reti.
A Marassi la gradinata Sud impazzisce per il giovanotto toscano, e France ricambia con classe e grinta, gol a grappoli e magliette in omaggio sotto la curva.
Doveva divenire la bandiera viola ed invece diventa la bandiera doriana.
Con quel suo ghigno misto di ironia e cabaret si convince di aver scoperto l’eden, però il malefico non bussa quando deve entrare e si presenta nei momenti meno opportuni.
Il primo temporale lo becca nel 2006 a settembre la Disciplinare lo sospende per due mesi con l’accusa di aver tentato di acquisire notizie sul risultato del derby Roma-Lazio dell’aprile 2005.
A novembre torna in campo. Francesco ha raggiunto l’età in cui si inizia a riflettere seriamente su cosa fare una volta serrato l’armadietto dello spogliatoio, oltrepassato il 30° compleanno i calciatori evitano i contrasti pesanti e tirano indietro la gamba per allungare il più possibile la carriera e i contratti.
La sberla della Disciplinare dovrebbe far riflettere e meditare. È un timbro indelebile che ti porti dietro a lungo, e che a volte ti rinfacciano deridendoti.
Il presidente della Sampdoria si chiama Riccardo Garrone mentre il direttore generale è Beppe Marotta.
Il 28 gennaio 2007 a Marassi scende l’Inter di Mancini e Ibrahimovic, dopo 6’ Gennaro Delvecchio compie la più stupida delle azioni, rifila una testata a Materazzi in stile Zidane e si fa espellere, la Samp rimane in 10 e si busca un 2-0. Al 24’ del secondo tempo Walter Novellino manda in campo Bonazzoli al posto di Flachi, al sorteggio del doping Francesco deve sottoporsi al controllo.
È una giornata in cui va tutto alla rovescia. Dalle analisi risulta positivo ad un metabolita della cocaina, ossia ha assunto sostanze stupefacenti e nello specifico si tratta di cocaina, sostanza che produce uno stato di euforia, eccitazione, loquacità, ansia, insonnia, iperattività, paranoia.
I regolamenti sono rigidi e pesanti, non consentono scorciatoie e spensieratezza.
Difatti il 21 giugno 2007 la mannaia si abbatte inesorabile sul capo di Francesco e gli troncano quel poco di carriera che gli è rimasta: per due anni dovrà restare lontano dal terreno di gioco.
Garrone e Marotta che avevano chiuso un occhio alla prima sbandata con il secondo cataclisma tagliano i ponti con il prediletto della Sud che in 279 partite ha messo a segno 112 reti.
Termina in malo modo un amore e una passione reciproca nei confronti di una maglia che rimarrà impressa nella sua memoria e nel suo cuore, a nulla varranno le sue memorie difensive, a settembre 2007 il giudice di Ultima Istanza del Coni conferma i 24 mesi.
Nell’estate 2008 si accasa ad Empoli e a febbraio 2009 è di nuovo in campo contro il Livorno. Scaduto il contratto annuale empolese si trasferisce a Brescia, ad allenare le rondinelle sino alla settima giornata c’è Alberto Cavasin poi gli subentra Beppe Iachini.
Il sabato 19 dicembre si disputa Brescia-Modena, la sera precedente durante il ritiro Francesco ha uno scambio di battute alquanto vivaci col mister.
Oramai il nostro numero 10 ha smarrito l’ottimismo, ingigantisce anche le formiche e tutto gli pare in salita. Avesse avuto accanto qualche buon suggeritore gli avrebbe consigliato di comprarsi un buon libro per distrarsi e soprassedere, invece dopo essersi scottato con la padella non trova altra soluzione che precipitare nella brace.
Ovviamente Beppe Iachini lo sistema in panchina però al 79’ lo spedisce in campo e Flachi risponde a modo suo gonfiando il sacco, le rondinelle si aggiudicano il match 1-0 e si festeggia.
Ma si tratta di momentanea euforia, al sorteggio antidoping rispunta il suo nome. Positivo.
Sono quelle cose che un po’ te le aspetti e un po’ ti affidi alla buena suerte. Questa volta il portone si chiude a doppia mandata e con sigilli in piombo.
È recidivo e per chi ha già cappottato è prevista la radiazione.
A Roma “gli vogliono bene” e gli rifilano 12 anni con una motivazione che non consente distrazioni: “Il Tribunale Nazionale Antidoping nel procedimento disciplinare a carico di Francesco Flachi, visti gli artt. 2.1 e 10.7 del Codice Wada, e rilevato l’illecito commesso, infligge all’atleta 12 anni di squalifica, con decorrenza dal 13/01/2010 e con scadenza 12/01/2022. Il TNA ha inoltre disposto la comunicazione della decisione alle parti, alla Figc e alla società di appartenenza all’epoca dei fatti (il Brescia Calcio SpA)”.
Ad aprile 2022 Francesco compirà 47 anni.
Quando gli ho telefonato per fissare un incontro e scambiare due parole con la sua consueta affabilità non ha obiettato, anzi. Sa bene che necessariamente si parlerà anche di argomenti spiacevoli, ma non ne fa un dramma.
“Oramai ho scontato più della metà della squalifica e ritengo di averlo fatto con dignità. Ho sbagliato e sto pagando. Restare 6 anni lontano dall’ambiente nel quale sono cresciuto è stata dura, però l’ho accettato”.
Se lo guardo negli occhi non abbassa le palpebre, è consapevole della realtà e la affronta con coraggio.
“Devo consultarmi con il legale perché ho intenzione di presentare la domanda di grazia. In questi 6 anni ho rispettato pienamente le disposizioni. Naturalmente non potrò più giocare però ho desiderio di prendere il patentino da allenatore e partire dalla Terza Categoria, ritengo di poter trasmettere ai ragazzi la mia esperienza calcistica ed insegnare qualcosa che possa far migliorare le doti tecniche”.
La domanda di grazia va inoltrata alla Presidenza Federale la quale valuta se ci siano o meno i presupposti per presentare il fascicolo alla Corte di Giustizia Federale e sarà questa a decidere se esprimere parere favorevole oppure dichiarare l’istanza inammissibile. Presupposto fondamentale per un parere favorevole è che il tesserato abbia scontato almeno metà della sanzione e che nel frattempo non abbia commesso altre irregolarità.
Non è da stolti lasciare socchiusa la porta del cauto ottimismo.
Francesco è riuscito a conservare un fisico asciutto ed atletico, ha messo su una scuola di calcio alla quale sono iscritti 150 ragazzetti, la sera, lavoro permettendo, quando può frequenta i campi di calcetto per quei tornei amatoriali indispensabili per non metter su pancetta e salvagente.
Il suo pubblico esercizio, Panino di categoria, è un punto di riferimento per molti appassionati di calcio e quelle volte in cui la Samp gioca a Firenze o Empoli diventa un passaggio obbligato per gli ultras doriani.
“È vero, vengono ancora a trovarmi nonostante siano trascorsi oramai quasi dieci anni dalla mia ultima apparizione con la maglia blucerchiata. Sono dimostrazione di affetto che mi riempiono di orgoglio, è un segnale evidente che qualcosa l’ho fatto di positivo per quella società. Mi sono trovato bene sin dal primo giorno e, qualora non fosse accaduta quella disavventura, forse mi sarei trasferito definitivamente a Genova che è una città che amo e dove ci siamo trovati bene”.
Un viavai continuo di ragazzi che entrano, salutano, stringono la mano, abbracciano. Pacche sulle spalle.
“Il mondo del calcio nel quale sono cresciuto io non esiste più. Ovunque vi era un’area libera si giocava, due pietre segnalavano la porta, giubbotti per terra, e via a rincorrere un pallone, sudate e scappellotti. Se un ragazzino non passava la palla o faceva un dribbling di troppo erano due ceffoni, se lo fai oggi becchi una denuncia. Se mi permettevo di fare qualcosa di leggermente anomalo a Batistuta per 15 giorni non mi rivolgeva la parola e lo sguardo. Sono stato fortunato a conoscere e frequentare grossi campioni di levatura mondiale, ho imparato parecchio da loro”.
Ovvero, di campioni neanche l’ombra?
“L’ultimo genio del pallone che abbiamo avuto in Italia è Antonio Cassano, dopo di lui non vedo nessuno che possa salire alla ribalta internazionale”.
Troppi stranieri rallentano o addirittura troncano la crescita dei nostri ragazzi?
“Non sono contrario all’acquisto di calciatori stranieri purché siano validi tecnicamente altrimenti è preferibile investire sul vivaio e sui nostri giovani. Magari sono molto dotati fisicamente però tecnicamente lasciano a desiderare. Molte società in passato puntavano sul vivaio ed hanno ottenuto risultati prestigiosi, riuscivano a sistemare i bilanci con la vendita di campioncini, oggi mi pare che quella tradizione si stia affievolendo”.
All’interno della panineria chi entra per la prima volta si aspetta di trovare cimeli calcistici attaccati alle pareti per rinfrescare la memoria e intavolare discorsi. Nulla di ciò. Solo un delizioso poster raffigurante uno slalom con la maglia doriana.
“A proposito di cimeli, a casa ho le maglie di tutti i campioni che ho incontrato ma ad una sono particolarmente affezionato. A Marassi viene il Milan di Gattuso, Pirlo, Kakà, Shevchenko, durante la gara chiedo a Paolo Maldini la maglia. Perdiamo 3-0 e a fine gara per il nervosismo mi dimentico di andare da Paolo. Nello spogliatoio ero sotto la doccia e mi chiamano perché era entrato Paolo per portarmi la maglia, un gesto che ho sempre apprezzato per l’affetto e la signorilità. I campioni vengono rispettati innanzitutto perché sono veri uomini e poi grandi calciatori”.
Spesso il suo sguardo è rivolto al poster. È ancora innamorato di Genova e della Samp.
“Ci torno spesso e volentieri, ancora mi salutano con calore. Ho abitato a Nervi e ci stavo alla grande, giornate indimenticabili. Unico impegno era quello di onorare la maglia”.
Poi c’è il derby.
“A me è andata bene, ne ho disputato 8 e ne ho persi 2, direi che non posso lamentarmi. Lo avverti nell’aria con largo anticipo, è una gara dove devi dare il massimo di te stesso, è un incontro molto sentito non solo dalle tifoserie ma da tutta la città, anche chi se ne intende poco di calcio viene coinvolto. Allo stadio la gente viene a piedi e tutta colorata, le famiglie per quel giorno si dividono i mariti da una parte e le mogli dall’altra se non sono accumunati dalla stessa maglia”.
La Juve non lascia neppure le briciole.
“Oggi non ha concorrenti, forse se Luciano Spalletti fosse andato da inizio campionato alla Roma sarebbe stato un torneo più combattuto. Ho conosciuto Beppe Marotta alla Samp e so che sbaglia poco, andando in una società super organizzata e con grosse disponibilità economiche e finanziarie i risultati si ottengono, non ci fosse stato quel quarto d’ora finale a Monaco secondo me si aggiudicava anche la Champions. La Juve è una macchina perfetta con gli uomini giusti al posto giusto, vedi Paratici, Nedved, la famiglia Agnelli. Hanno attraversato un periodo delicato ma poi la gara col Sassuolo è stata decisiva e sono ripartiti, nello spogliatoio si sono parlati e hanno ripreso la loro marcia”.
E la Fiorentina?
“Ci vuole gente che si intenda di calcio ad un certo livello, che abbia conoscenza ed esperienza, se qualcosa non va la si deve individuare subito ed intervenire. Bisogna fare quadrato tra società, giocatori, allenatore e tifosi. A Firenze difficilmente ciò si verifica ed i risultati non arrivano. Disputare gli allenamenti a porte chiuse non aiuta a migliorare il rapporto”.
Si avvicinano gli Europei.
“Ammiro molto Antonio Conte, riesce a motivarti nella maniera giusta, ti carica e poi è stato anche un grande giocatore per cui lo guardi anche con rispetto. Certo oggi in Nazionale non vi sono grosse individualità ma ha costruito un gruppo che ha ottenuto bei risultati. Secondo me ce la possiamo giocare con tutti e se superiamo bene la prima gara le soddisfazioni non mancheranno”.
Guarda impaziente l’orologio, deve correre a prendere la figlia.
Un’ultima battuta sul domani: positivo o negativo?
“Senza dubbio positivo, ho attraversato giornate difficili ma le ho superate, noi calciatori professionisti non possiamo e non dobbiamo lamentarci, la vita ci ha premiato e ci ha regalato tanto. Se poi qualcuno commette qualche bischerata è giusto che paghi e si faccia da parte”.
Bravo Francesco, la dignità non ha prezzo ed il bicchiere è sempre mezzo pieno.
Bruno Galante
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