Welfare aziendale: è un cambio di scena
Il welfare aziendale è un cambio di scena, poiché si determina un’insolita opportunità per
incrociare finalmente la parte umana e familiare dei lavoratori e la vita aziendale.
La crisi ha lacerato tutto quello che andava a determinare la sacralità della componente umana
che ogni lavoratore (e non dirò ogni volta /lavoratrice ma …) possiede e per questo tutto si è
deteriorato.
I livelli relazionali come i livelli di salute si sono complicati, le dinamiche umane si
sono esacerbate (vedi femminicidio e violenza aumentata su tutti i fronti) e le malattia si
pandemizzate, complice la stato psichico poco vitale che induce uno squilibrio e un abbassamento
del sistema immunitario.
Infatti la depressione tra queste ha avuto la meglio. Anche l’OMS,
Organizzazione Mondiale della Sanità, non ha potuto non dare l’allarme, quasi un anno fa, che la
depressione aveva traguardato più del 30% dell’insieme delle patologie dominanti.
Quindi crisi e modello di sviluppo a senso unico di profitto, a spremitura continua dei diritti e
dell’aspetto umano, alla fine non hanno vinto. Troppi i cadaveri fra imprese e lavoratori, e
imprenditori. Eppoi donne e bambini abusati e malmenati, disagio minorile dilagante e ambiente e
risorse naturali sofferenti.
Gli aspetti della vita e dei bisogni della famiglia, con le mille sfaccettature che questa include, è
stato un tema di battaglia personale e di tante donne che hanno chiesto i tempi della città e poi la
conciliazione dei tempi oggi più famosa come work life balance.
Ma oggi c’è un’interessante opportunità nell’ultima Legge di Stabilità (2016) con un approdo assai innovativo nei confronti di questo abbandonato universo che ha iniziato ad essere considerato di più, perché si ricava maggiore valorizzazione, serenità e aumento della fidelizzazione dei lavoratori all’azienda.
Lo strumento sono i Flexible Benefit che non costituiscono reddito e generano per i lavoratori un
incremento del potere d’acquisto rispetto a un equivalente aumento di stipendio. Così la famiglia, i
suoi attori (genitori, figli e anziani) e le sue necessità vengono tenute presenti come in una sorta di
grande catalogo specificato nell’articolo 51 del Testo Unico sulle retribuzioni della Legge di Stabilità.
Che ha previsto la conversione interamente deducibile per le aziende del premio di produttività
dei lavoratori se questo sarà il frutto di un’intesa azienda-sindacato.
E anche qui è tutta una novità quella dell’inserimento del welfare nell’ambito delle relazioni industriali, poiché viene rafforzato sia il nesso tra welfare e risultati aziendali che il rilancio della contrattazione aziendale più adatta alla società contemporanea. Alcune voci del catalogo sono: servizi di educazione e istruzione anche in età prescolare, compresi mense, frequenza a ludoteche, centri estivi e invernali e borse di studio.
Quindi se il lavoratore sceglierà questa conversione in welfare si troverà ad avere in cambio del
premio di produttività, servizi acquistati dall’azienda che dovrà organizzarsi per fornire il suo
catalogo personalizzato di offerta di questi. E come questo si andrà a realizzare, a conformare,
quanta indagine ci sarà è la sfida delle nuove prassi che si vanno ad aprire. Ma questo è solo un
versante. Perché il servizio potrebbe essere acquisito attraverso i voucher e anche questa è una
novità. Ma una circolare dell’Agenzia delle Entrate che chiarisca tutte le questioni, tra cui i
voucher, non è ancora uscita. Sembrerebbe che il voucher debba corrispondere pari pari al
servizio acquistato. Ma se per caso il servizio si discostasse dalla cifra del premio? Cioè il servizio
che il lavoratore converte è ad esempio di 400 euro ma il suo premio è minore che succede?
Sembrerebbe che questo non sia possibile. Ma forse si dovrà trovare un sistema in grado di
governare tutte queste conversioni. La sfida è arrivare a dei voucher molto flessibili? Capaci di
ammettere integrazioni personali del lavoratore? Senza che questo generi confusione tra fonti
aziendali e fonti personali nelle quote parti di acquisizione del servizio. Oppure?
La fase è estremamente interessante. Eppoi come reagiranno i lavoratori? Siamo pronti
culturalmente ad acquisire servizi in cambio di soldi? Presso un servizio-piattaforma che diventa
un’altra faccia dell’azienda?
Alcune aziende dicono, per averlo testato in altri momenti, che non si può dare in automatico un
atteggiamento recettivo da parte dei lavoratori.
Insomma una bella partita che necessità equipe multidisciplinari al lavoro, mi auguro presto,
perché l’occasione di trasformare il welfare in una condizione così ravvicinata a chi ha da fruirne è
assai interessante ed è anche un appuntamento per lo sviluppo locale.
E dall’altra …. Ce la faremo ad organizzare aziende e reti che garantiscano qualità olistica dei
servizi di welfare (Fabrica Ethica, un’utopia applicata. Costruire in modo olistico la responsabilità sociale delle imprese EdiFir maggio 2011- Edizioni Firenze) messi a catalogo dove l’impresa (forse) si trasformerà in centrale unica
d’acquisto per i lavoratori?
Cioè lo mettiamo giù un patto subito che alla famiglia più che mai bisogna dare qualità assicurata,
certificata in sicurezza alimentare, sicurezza dei luoghi dove figli e anziani svolgono attività
istruttive e ludico-ricreative, qualità alta del personale che effettua la prestazione, quindi
responsabilità sociale integrata e sempre rendicontabile delle aziende prestatrici di servizi.
Ce la faremo a cogliere questa sfida immettendo una ragione in più per far compiere un salto forte
gestionale e socialmente responsabile al non profit italiano? Che sui servizi ha saputo colmare
assenze dal 1978 in poi, quando la riforma della sanità ridusse una serie di interventi, e che da
sempre è più attento ai segnali deboli e forti della società malata.
L’Italia sta cambiando, dobbiamo cambiare anche noi scegliendo eticamente oggi, subito, la
direzione che vogliamo dare a questo nuovo corso che si apre. Uno sviluppo giusto, olisticamente
giusto, oppure un altro mordi e fuggi per un trentennio. Noo vi prego, giochiamo a fare bella e
funzionante l’Italia, ci divertiamo di più e i dolori spariscono!
Fabrizia Paloscia
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