Komboloi Monastiraki e le favole greche
Komboloi nome di un antico gioco greco inventato per cercare la felicità: le preoccupazioni scorrono, come scorrono le “perle” di questo gioco fra le dita. Molte le sensazioni belle, brutte, molto brutte, bellissime che sono rimaste chiuse nel cuore e nella mente per una mia incapacità di poter dipingere tutto; perché la vita più volte può superare l’immaginazione.
Viaggio sul ponte di una nave greca: Isabella ne era rimasta letteralmente sconvolta tanto quasi da pensare a rinunciare o almeno rinviare il tutto, ma inutilmente la nostra prenotazione era già partita.
Mi ricordo perfettamente come se fosse ora l’attimo preciso in cui mi sono seduta su una piccola sediolina sul ponte della nave; ringhiera davanti a me, due sbarre azzurre oltre le quali intravedevo il mare; le sensazioni sparite: Isabella non aveva ancora messo l’animo in pace e mi lascia quasi di corsa, per tornare pochi minuti dopo, gridando dalla gioia: “c’è un grande salone bar, andiamo lì”
Nella mente nemmeno un pensiero solo l’atto meccanico di prendere la mia “salsiccia” ( così avevo battezzato quella strana valigia-sacco, che da tanti anni mi accompagnava nei viaggi ) e di precipitarmi dietro Isabella.
Dietro di noi un ragazzo alto. Siete italiane? ci domanda con discreta pronuncia romana “io sono olandese ma ho vissuto a Roma tanti anni”.
C’è tanta gente: francesi, arabi, un ragazzo greco che studia musica a Parigi: Solomos Makis. È da lui che apprendiamo le prime notizie sulla Grecia: per me è anche il mio primo insegnante di greco: tre parole e sarà questo più o meno poi, il ritmo che seguirò per cercare di conoscere questa lingua.
Facciamo amicizia anche con una simpaticissima coppia: lei greca, lui italiano; lei volitiva, lui simpatico marinero da lunga data.
Una sbirciatina ai posti poltrona: sono quasi tutti liberi e alla domanda rivolta al capitano se possiamo fare un cambio da Deck a poltrona ci viene risposto “potete scegliere liberamente” questa volta la dea bendata se l’era proprio tolta la benda e ci stava guardando.
Frigorifero sottozero, la notte un freddo!
Io e Isabella avevamo messo sotto la camicetta un’altra maglietta, sopra la maglia di lana ed io in più l’impermeabile di carta trasparente col cappuccio; un addormentarci piegate stirate e poi finalmente al mattino l’uscita sul ponte e la prima aria di mare respirata senza più tante ansie.
La schiuma del mare, il cielo, tanto sole, la nostra prima tintarella al sapore di sole di Deck; l’arrivo appena in tempo di portare i bagagli e la partenza per Atene su un pullman non nuovissimo, ma che sta ancora tutto in piedi.
Patrasso-Atene dai finestrini un paesaggio selvaggio, aspro una terra coperta di moltissimi ulivi, poi il seguire le coste, l’azzurro del mare, il fermarsi allo stretto di Corinto, la foto scattata da Paolo, un veneziano appassionato di pesca subacquea e infine l’arrivo ad Atene di notte.
Cerchiamo di fermare un taxi, ma al nostro indirizzo sembrano non capire, un poliziotto si offre per telefonare a questo fantomatico Hotel e dopo aver scritto la località ci riporta sulla strada per fermarci un taxi.
L’autista non è molto simpatico, fa più volte il giro dei caseggiati; di notte per la prima volta l’Acropoli illuminata appena intravista, la stanchezza prevale ed anche la noia per questi giri imprevisti di taxi, finalmente l’autista si decide a trovare l’Hotel Hera.
Il venditore di spugne oggi si è messo in testa uno strano cappello di spugna e nel farci la foto insieme a lui invita me ed Isabella ad indossarne un altro uguale.
“Italiane ?”.
“Sì”.
“Mi ricorderai quando farai il bagno”, mi dice mentre compro una delle sue gialle, forate, spugne di mare.
Mi convince proprio, anzi il modo di vendere di questi greci, mi rimprovera Isabella, mi sta convincendo un po’ troppo; sto comprando sempre!
Ma mi piace, mi piace tremendamente questo modo antico del “contrattare”.
Le donne in strada dalle ampie gonne portano in mano ricami di tovaglie, coperte e le stendono lì davanti ai tuoi occhi facendo in modo che il sole giochi tra scherzi di fili bianchi, ricami; venditori di gelati girano con carretti bianchi e ogni volta, per il cliente che passa, tirano fuori ghiaccioli incartati in tovagliolini giallo limone, rosa, fragola; parlano, non capisco, non riesco a comprendere, mi dispiace tanto.
Un uomo in cappello vende komboloi, un antico gioco dei greci; più perle di ambra, di legno d’ulivo, di metallo, di plastica, tenute insieme da un filo; le perle si fanno scorrere tra le dita. Se ne ode il rumore una, due, tre, cinque, poi a destra, a sinistra del palmo della mano si fanno girare: rumore e movimento per far scorrere le preoccupazioni, un’invenzione per provare a cercare la felicità.
Komboloi, ambre gialle, legno d’ulivo.
Un vecchio, seduto dietro una scatola di cartone ha in mostra delle scatoline cinesi, rosse, rotonde: medicina
portentosa per tutto. Basta spalmarne un po’, mi spiega dandomi un foglio scritto in giapponese, cinese e naturalmente inglese.
Anche questa volta, nonostante Isabella cerca di trattenermi, compro due scatoline e perdo la mia margherita gialla: la prenderanno? Una donna regala bolle trasparenti di sapone, tante, tantissime.
Vendono di tutto: soldi arrugginiti, frigoriferi scalcagnati, libri consumati, chiavi in disuso; siamo a Monastiraki il grande mercato di Atene con un pizzico di arabo.
La frutta sui carretti verdi di legno: nerissime ciliegie, le pesche vellutate, la bilancia sotto l’ombrellone, il cavallo, la carrozza agghindata con i fiocchi: madame, lady, signorina. Paracalò, gentleman, chiamano per entrare, per vedere, per comprare.
Davanti all’entrata del metrò uno stuolo di venditori ambulanti, tanti orologi alla rinfusa, c’è chi spolvera gli occhiali messi lì in bella mostra con cura, con amore, mi ritornano in mente le favole arabe di Alì Babà e i quaranta ladroni.
Passano pope, capelli lunghissimi la barba, l’aspetto maestoso sotto tonache larghe che arrivano sino ai piedi. Zucche, frutta secca, calzini, rame, marmo, legno, vetro.
La carrozza agghindata a festa sta facendo girare le sue ruote, faccio appena in tempo a fotografarla contro luce.
All’angolo di Nikis Street un giornalaio, un venditore di gialle pannocchie e un lustrascarpe.
Le pannocchie, alcune ancora avvolte nel verde, altre belle arancione acceso, altre ancora sulla piastra dai chicchi color nero le rigira con maestria, tenendo, in mano le grandi pinze.
I prezzi diversi a seconda della grandezza. Le sceglie vi aggiunge un po’ di sale e noi via per la strada a sgranocchiarle facendole girare tra le mani.
In basso seduto sul piccolo scalino della grande agenzia di viaggi, il lustrascarpe. Un mobiletto al centro per appoggiare le scarpe, di lato bottigliette dai tappi colorati: bianco, azzurro, verde, scatole rotonde piatte di lucido, due spazzoloni e alcuni cenci colorati arcobaleno.
I clienti si fermano e lui comincia con la pezza poi lucida, e poi le due spazzole dalle setole morbide che si muovono giù su, su giù, da destra a sinistra in avanti-indietro.
Mi ero abituata a vederlo ogni mattina, ma non ci eravamo mai parlati.
“Buongiorno” eppure tutte le volte all’angolo di Nikis Street rubavo un minuto di tempo a quei tre “esseri umani”, al giornalaio, al venditore di pannocchie e al lustrascarpe.
Carmelina Rotundo
Bel racconto! Sembra quasi di essere lì