Manuela campionessa di volontà ed entusiasmo
“Senti Bruno, volevo fare la foto da incorniciare in un quadretto d’argento con trafiletto d’oro, una di quelle figate che procurano camionate di stupore, dopo una giornata trascorsa sotto un cielo azzurro cobalto Mare Nostrum, un sole che non smette mai di accarezzarti e bruciacchiarti dall’alba al tramonto. In un’isola che assomiglia tanto all’eden e che ti stimola sino all’inverosimile, ecco in simili condizioni psicologiche ci si dimentica della realtà e di quello che ti circonda. Ti siedi su un muretto incurante del rischio che corri e senza neppure muovere le labbra e le palpebre ti ritrovi in fondo a un dirupo”.
È iniziata così la confabulazione con Manuela.
Chi è Manuela?
Manuela Migliaccio oggi è una ragazza 31enne che ha voluto e saputo superare tanti di quegli ostacoli da consentirle di ritenersi corazzata e favorita dalla dea bendata. Una ragazza che detesta piagnucolare e ignora il lamento, che si rimbocca le maniche e agisce invece di cicalare.
Nel corso degli anni mi è capitato diverse volte di intervistare giovani, di ambo i sessi, tartassati e scudisciati dalla sorte avversa. In molti di loro le cicatrici sono state lente a rimarginarsi, in qualcuno anche a distanza di anni il liquido rossastro prosegue a fuoriuscire, in pochi la superficie si è ristabilita seppure nel substrato il dolore è rimasto pressoché identico. Solo in pochissimi la memoria e la forza di volontà hanno archiviato il vecchio e hanno badato principalmente al domani, sono pochissimi ma ve ne sono e diventano un punto di riferimento e di stimolo per quanti giornalmente devono affrontare il dolore e la sofferenza, quella vera.
Non ho avuto dubbi ad inserire Manuela in quest’ultima categoria.
Il suo timbro di voce, il suo sarcasmo, la sua ironia sottile e vellutata, per alcuni tratti mi hanno indotto a credere che stessi parlando con un’altra persona, magari con una ragazza appena rientrata da 20 giorni di vacanza nei fiordi norvegesi a contatto con la natura, col mare e con le aurore boreali.
Invece Manuela di vicissitudini e di sofferenze ne ha da raccontare e da commercializzare, e non poche.
Partiamo da quell’estate 2009 in Grecia, in una delle più ammalianti isole elleniche: Patmos, un consunto di storia e di mitologia.
In una delle grotte di Patmos si tramanda che Giovanni l’Evangelista avrebbe scritto l’Apocalisse ma è pure l’isola del Dodecaneso dove la mitologia ci menziona che in questo angolo incantevole Oreste, figlio di Agamennone, dopo aver ucciso la madre fedifraga Clitennestra si rifugiò a Patmos per sfuggire alle vendicatrici Erinni.
È un anno particolare, la 31enne ha vissuto giornate altalenanti e desidera restare lontano da affetti e ambiente. Chiede alla sua amica Manuela, per tale coincidenza qualcuno le ha denominate Manuela al cubo, se ha voglia di sopportarla per un paio di settimane, ottenuta risposta positiva si imbarcano.
La nostra Manuela con i viaggi e con l’estero ha una certa dimestichezza avendo iniziato a timbrare i passaporti già a 12 anni quando mamma e papà la infilano su un volo per Londra con l’intento di farle acquisire maggiore dimestichezza con la lingua di Albione. A 17 anni il primo viaggio da indipendente, questa volta la destinazione è la spianata delle piramidi egiziane, da allora non si è più fermata.
Lei è napoletana dei quartieri buoni, il padre funzionario del ministero del Tesoro, la madre casalinga, il fratello Arturo laureato in Giurisprudenza.
Non appena mette in tasca la maturità classica si trasferisce a Bologna per proseguire gli studi in Veterinaria. Bologna, la dotta e la grassa, accoglie tutti a braccia aperte e con la massima disponibilità. Nella città delle due torri si trova quasi meglio che sul Golfo del Vesuvio e stabilisce che diverrà la sua seconda dimora.
Dal suo peregrinare la Grecia ne era rimasta fuori, è giunto il momento di colmare la lacuna. All’ombra della culla della civiltà moderna trova tutto ciò che desidera. Sole d’incanto, mare limpido, cielo azzurro, bella gente, spensieratezza e relax.
Le sembra di sedere su un cucuzzolo della storia e di toccare l’infinito con le dita.
È da poco passata la mezzanotte, tra una risata e una passeggiata si siede su un muretto per immortalare la felicità che evidenzia il suo volto. Non si accorge che deve stare ferma e non arretrare, invece si spinge ancora di qualche millimetro all’indietro e precipita.
Rotola diverse volte su stessa, ruzzola per una diecina di metri e si ferma su un masso appuntito. Dolore su tutto il corpo. Prova a muovere le gambe ma non rispondono. Riprova e ancora niente. Tenta per la terza volta ma non succede nulla. Immediatamente focalizza la gravità.
Intanto due amici milanesi con i quali sino a pochissimi minuti prima ha riso e scherzato, si sono precipitati nella scarpata, si rendono conto dell’accaduto e con precauzione e lentamente la riportano in strada. Nel frattempo è giunta l’ambulanza e si dirigono verso il poliambulatorio dove cercano di somministrarle dei tranquillanti che Manuela rifiuta. Si tratta di decidere in tempi brevissimi cosa fare e come comportarsi, sono attimi decisivi e vitali.
L’altra Manuela focalizza la nuova realtà, sa perfettamente che le vacanze sono finite, si precipita in albergo e chiude le valige.
Alle 10 del mattino atterra l’elicottero per trasportarla ad Atene ma l’ospedale specializzato per affrontare l’intervento si rifiuta di accettarla perché pochi giorni prima un’operazione simile ha prodotto esiti disastrosi. Un rapido giro di telefonate e trovano la disponibilità di un reparto di neurochirurgia a Rodi. Lo stesso elicottero decolla, atterra e subito dopo aver esaminato le lastre un rapido consulto tra medici e paziente, la decisione è quella di entrare in sala operatoria.
Ogni volta prima di allontanarsi sua madre le rammenta che in qualsiasi situazione di pericolo o di necessità incappa vuole ascoltare la sua voce, deve essere lei a metterla al corrente dell’accaduto, la telefonata deve farla lei. Si attiene alle raccomandazioni materne e aggiorna mamma e papà sull’accaduto e sugli sviluppi.
Una delle prime regole per chi viaggia è quella di contattare immediatamente, in caso di pericolo bisogno necessità urgenza, l’Ambasciata o il Consolato. Manuela sa benissimo che deve rimanere lucida ed il più calma possibile per poter affrontare con razionalità, logica e risolutezza i mille problemi che piovono addosso.
Alle 13 giunge il console in ospedale. Alle 17 la seconda Manuela si precipita nella stanzetta per abbracciarla. Alle 17 e 30 entra in sala operatoria.
Questa volta il fato le sta accanto e l’intervento riesce come meglio non si può.
All’indomani mattina atterrano a Rodi mamma e papà poi di corsa in ospedale. Entrambi sono temprati e dotati di fibra d’acciaio, un attimino di sbandamento lo subisce il padre ma si riprende rapidamente.
Guai a mostrarsi triste o demoralizzato a chi è avvolto dal dolore e dalle piaghe.
Oltrepassata l’anestesia si presenta nella sua interezza la nuova realtà.
Nel nosocomio di Rodi rimane 13 giorni e per tornare in Italia l’unico mezzo è l’aereo, per un volo privato le chiedono come tariffa base 25mila euro ma dopo un giro di telefonate trovano la disponibilità di un aereo militare che decolla da Roma atterra a Rodi, prende l’inferma, riparte e riatterra all’aeroporto militare di Napoli Ugo Niutta.
Manuela ha ricevuto il dono della concretezza e della praticità, per lei il pane è il pane ed il vino è il vino. Per non entrare nel vortice della depressione e dello sconforto bisogna reagire immediatamente e con tutte le energie. Mette in pratica il suggerimento e si attiva per comprendere la nuova realtà e le ipotetiche possibilità per allontanarsi da prospettive devastanti. A 25 anni si sogna di divenire il padrone del mondo non di trascorrere il resto della vita su una carrozzina.
Principia il giro di telefonate per tutti gli ospedali nazionali che hanno dimestichezza con la sua realtà. Bisogna principiare con la riabilitazione.
Si trasferisce all’Istituto di Montecatone Ospedale di Riabilitazione, nei pressi di Imola, Bologna. Le prime due settimane la mamma la segue passo passo, in alcuni momenti la presenza è soffocante.
Poi Manuela le suggerisce di tornare a casa perché lei deve conquistarsi autonomia e indipendenza con le proprie forze.
Le visite e gli abbracci non le mancano ogni giorno è un viavai di amici e colleghi universitari.
Sette mesi volano alla svelta, il personale medico e paramedico di Montecatone, notati i confortevoli progressi della napoletana, il fine settimana le consentono di uscire per riprendere familiarità con l’ambiente esterno. Una girata per le vie cittadine, una visita al centro commerciale, una chiacchierata con gli amici, una pizza e la sera rientro.
Deve ricominciare tutto da capo, deve tornare bambina ed imparare a fare ogni cosa.
Manuela, però, è “capatosta” e se si prefigge un obiettivo si riposa solo dopo averlo agguantato. Si è messa in testa che il compleanno lo vuole festeggiare “ballando”, su una carrozzina, ma ballando. Poi ha deciso di trovarsi un nuovo appartamento per andarci a vivere da sola. Indipendenza, autonomia, libertà.
Terzo. La patente, urge frequentare una scuola guida per modificare la patente di guida.
L’altra Manuela viene spesso a trovarla però Mariagiulia è l’amica che le fa da navigatore, da secondo pilota, da manager, da consulente, da tuttofare. Non trascorre una sera senza che le due si siano incontrate. Un solo fine settimana, a novembre 2009, Manuela decide di passarlo da sola ma perché desiderava rimanere con se stessa ed il silenzio.
Supera l’esame della patente ed il 31 luglio 2010 entra in un autosalone insieme al padre per impossessarsi di una Punto Blu. Sono oramai andati due anni dalla fatidica foto sul muretto.
Pochi giorni dopo è a Civitavecchia per imbarcarsi alla volta di Barcellona, una passeggiata sulla Rambla, Plaza Catalunya, una visita alla Boqueria e poi in una delle più affascinanti regioni europee l’Andalusia e siccome Granada e Siviglia sono a pochi passi dal Portogallo visita anche la regione atlantica.
Ed è proprio su quelle strade alla guida della Punto che si rende conto che nulla le è vietato.
Al ritorno dalla penisola iberica ha un chiodo fisso: migliorare la qualità della vita.
Si attacca al pc e vi rimane ore ed ore. È alla ricerca di una sedia che le consenta di riprendere a studiare senza affaticarsi troppo. Cliccando e girando si accorge di un video nel quale un ragazzo con identiche problematiche riesce a camminare utilizzando un attrezzo poco noto: l’esoscheletro.
Il vocabolo è conosciuto quasi esclusivamente agli addetti ai lavori. In sostanza è uno scheletro tecnologico con un telaio in carbonio e alluminio e consente a chi è diventato paraplegico di tornare a camminare.
È una scoperta sensazionale che l’affascina e le apre il cuore e la fantasia.
Il viso di Manuela si illumina, il suo sguardo diventa ancor più impertinente ed il suo sorriso contagioso. Legge che presso il Centro di Riabilitazione Villa Beretta dell’Ospedale Valduce di Costa Masnaga, Lecco, stanno sperimentando lo strumento su alcuni pazienti.
Telefona e le fissano una visita a distanza di cinque mesi. La richiamano dopo quattro mesi e la sollecitano a presentarsi. Entra in palestra indossa l’esoscheletro e le suggeriscono di camminare per 500 metri. Lei, invece, in preda all’entusiasmo ne percorre 600.
Le pare di salire sull’Empire State Building. Ad un passo dal cielo.
Si trasferisce in Lombardia a Villa Beretta a giugno 2012, i risultati sono più che incoraggianti, lei ci mette l’anima, il cuore e tutte le energie fisiche. Nel Centro di Riabilitazione compie progressi ammirevoli, pur non avendo mai praticato sport, si allena tutti i giorni ore ed ore. La sua fisioterapista Laura Colombo è entusiasta dei progressi che compie; a Lugano, distante pochi chilometri in Svizzera, il 6 settembre si corre una maratonina con finalità benefiche e tra una battuta e l’altra le domanda se le piacerebbe parteciparvi. La risposta non può che essere sì.
Si presenta tutta entusiasta alla “Corsa della speranza” ma la realtà le chiude le porte in faccia. Quando giunge al traguardo hanno già smontato palco e banchetti vari, nemmeno il premio di consolazione o una stretta di mano.
Una scugnizza imperterrita come lei non può perdersi in mezzo bicchiere d’acqua come questo.
Sotto il costante controllo medico percorre cinque chilometri al giorno.
I giornali e le tv cominciano a parlare di questa ragazza che lotta contro una realtà indesiderata.
La seconda partecipazione è alla maratona di Milano e questa volta il risultato migliora: taglia il traguardo terz’ultima. Non appena supera il palco della giuria è circondata da fotografi e cronisti.
A questo punto alza l’asticella e si prefigge il traguardo dei 10 chilometri, una distanza impegnativa anche per un atleta allenato per bene. Lei essendo “capatosta” non si spaventa.
Visto il costo impegnativo dell’esoscheletro di fabbricazione israeliana, circa 60mila euro, l’azienda costruttrice glielo concede in comodato d’uso.
Su internet scopre che un ragazzo israeliano, Radi Kauf, ha stabilito il record mondiale percorrendo, ad ottobre 2013, 10 chilometri e mezzo in 5 ore, 11 minuti e 7 secondi. Radi Kauf è anche il testimonial dell’esoscheletro che utilizza e che pesa oltre 15 chilogrammi.
La tecnologia anche in questo campo da una mano consistente e un’azienda americana, la Ekso, costruisce un apparecchio che pesa poco più della metà, però il costo triplica e va a 180mila euro.
Oramai si è messo in moto una organizzazione di primissimo livello e tutti d’accordo decidono di tentare di stabilire un nuovo record mondiale. Manuela per quattro ore al mattino e cinque giorni alla settimana è in palestra e potendo contare su Villa Beretta, il Dipartimento di Scienze Biomediche e Neuromotorie dell’Università di Bologna, il Dipartimento di Scienze per la Qualità della Vita dell’Università di Bologna, il Centro Universitario Sportivo Record di Bologna, l’Emac di Genova, l’Università di Rimini, il Comune di Rimini ed il patrocinio di Rimini Wellness sabato 4 giugno camminando sulla pista ciclabile del lungomare riminese percorre 15 chilometri in 7 ore e 33 minuti. Record mondiale. Applausi.
Spenti i riflettori torna alla normalità. Normalità che per Manuela significa studio e lavoro.
Mancano tre esami per divenire dottoressa in Veterinaria e per Natale la laurea dovrebbe essere in cassaforte.
Il lavoro glielo hanno confezionato su misura. Due amiche conterranee, le gemelle Nunzia e Santa Vannuccini, insieme al ragazzo di Santa, il fiammingo Jascha Blume, decidono di aprire nel centro di Bologna L’Altro Spazio, un locale dove all’interno lavorano ragazzi e ragazze che meritano encomi e diplomi.
Dietro il banco, costruito su misura per lei, vi è Manuela e la sua carrozzina, in cucina e in sala degli ottimi abili disabili che prima o poi vedremo nelle varie guide gastronomiche e di esercizi pubblici.
Michele Lessona fosse vissuto ai tempi nostri e avesse conosciuto Manuela Migliaccio molto probabilmente nel suo volume “Volere è potere” avrebbe scritto diverse pagine riguardante la bella partenopea dagli occhi verdi ed avrebbe preso spunto per delle considerazioni di entusiasmo.
E l’amore?
“È un problema che non mi sono mai posta, i ragazzi non mi sono mai mancati ed ho sempre adempiuto ai desideri e ai piaceri di coppia, ieri, oggi e di sicuro anche domani”.
Schietta, pronta e volitiva, una tempra che neppure le panzer division sarebbero state in grado di piegare. Che desiderare di più dalla vita?
Bruno Galante
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