Domande per tirar su
Festa nazionale. Primo pomeriggio. Cielo in travaglio, ora schiarite accecanti ora peltro minaccioso, potrebbe finire in burrasca o di nuovo inazzurrato. Il “ponte” e i suoi riti post-prandiali mi difendono dall’assillo dei “richiedenti”. Oggi e qui è per me un “buen retiro” autentico. Concorda il pino inquadrato dalla mia finestra. Assentono, nella sonnolenza, i suoi rami, ali mitemente rassegnate all’impossibilità del volo.
Ispirato al principio di una libera lettura mi inoltro qua e là nel best seller “Le nude domande della fede” di Ermes Ronchi, San Paolo, 2016. Sono gli esercizi spirituali che il noto frate dei Serviti di Santa Maria ha predicato al Papa e alla Curia Romana nella quarta settimana di Quaresima.
Le domande, da “Che cosa cercate?” (Gv 1,38) a “Come avverrà questo?” (Lc 1,34), sono una diecina. Formulate dalle labbra di Gesù di Nazaret, eccetto l’ultima avanzata dalla futura Madre, ritmano i temi delle meditazioni. Papa Francesco in un “saluto finale” riconosce al predicatore: “Non si è risparmiato, ci ha dato tanto.”
Una volta Cristina Campo – al lettore il beneficio d’inventario – ha sostenuto che per scrivere una pagina basta piazzare una citazione in apertura, un’altra a metà e una terza in conclusione e poi collegarle. A me piacciono le citazioni istantanee che ravvivano gli argomenti più che sorreggerne le campate. Censirle permette di sondare le fonti dell’autore. Spigolarle è un gioco proficuo.
Voglio provarci, con questo libro di Ronchi, ovviamente non attingendo alla profusione di quelle bibliche, ovviamente predominanti, né a quelle appena sfiorate. Voglio lasciarle ognuna al suo assolo, gustarne l’adamantina concentrazione e la capacità d’irradiazione. Il lettore pazienti e ne faccia qualche buon uso. Eccole di seguito.
“La fede è nell’infinita passione per l’esistente” (Søren Kierkegaard); “Se sei un uomo libero allora sei pronto a metterti in cammino” (Henry David Thoreau); “Sbagliarci su Dio è il peggio che ci possa capitare, perché poi ci sbagliamo su tutto, sulla storia, sull’uomo, su noi stessi, sul bene e sul male, sulla vita …” (David Maria Turoldo); “Io mi aspetto che qualche volta i cristiani accarezzino il mondo in contropelo” (Leonardo Sciascia); “Non da come mi parla di Dio, ma da come mi parla delle cose della vita io capisco se una persona ha soggiornato in Dio” (Simone Weil); “L’annunciatore deve farsi infinitamente piccolo, solo così l’annuncio sarà infinitamente grande” (Giovanni Vannucci); “State molto attenti a far piangere una donna perché Dio conta le sue lacrime. La donna è uscita dalla costola dell’uomo, non dai piedi per essere calpestata non dalla testa per essere superiore ma dal fianco per essere uguale. Un po’ più in basso del braccio per essere protetta, dal lato del cuore per essere amata” (Roberto Benigni); “Tutto ciò che non serve pesa” (Madre Teresa di Calcutta); “Dove c’è la misericordia c’è Dio; dove c’è rigore e severità forse ci sono i ministri di Dio, ma Dio non c’è (Deus deest)” (Sant’Ambrogio); “Signore disarmali e disarmaci” (I sei monaci trappisti martiri di Tibhirine); “La legge tutta è preceduta da un “sei amato” e seguita da un “amerai”. Sei amato, fondazione della legge; amerai, il suo compimento. Chiunque astrae la legge da questo fondamento amerà il contrario della vita” (Paul Beauchamp); “Il quotidiano è ciò che più intimamente ci rivela” (Michel de Certeau).
Nel processo di sedimentazione di questa spiritualità per il Pontefice e i suoi collaboratori sono accumulati anche aneddoti provenienti dalle tradizioni del monachesimo orientale e dei chassidim.
Un’allertante considerazione di san Bernardo intitolata “La fontana pubblica” introduce alle meditazioni che sono aperte e chiuse ricorrendo a composizioni poetiche di Jan Twardowski, Luigi Verdi, Giovanni Vannucci, Dietrich Bonhoeffer, Adriana Zarri e Tonino Bello, con l’aggiunta di quelle non meno felici dello stesso Ronchi.
Le riflessioni scorrono auree non solo per la qualità dei contenuti ma anche grazie al lirismo sotteso costantemente al loro flusso, spoglio di compiacenze estetizzanti. A chi conosce i Padri Serviti è noto che non pochi fra loro si abbeverano alle fonti della poesia cui non è estranea una specifica devozione mariana.
Davanti a questa narrazione nuova e insieme antica, centripeta e centrifuga, ce lo figuriamo Papa Bergoglio perduto nella preziosa esplorazione guidata da un figlio come lui del Santo Popolo fedele di Dio ma raccogliendo in cuore l’eco profonda dell’intera umanità di cui non può dimenticare gli ingorghi molteplici e i sogni di comunione.
Torna conto di soffermarsi sulla penultima meditazione presa dalla domanda tre volte e diversamente reiterata da Cristo a Simone in riva al lago. È un tête – à – tête amoroso in cui il Maestro tenta di involare il discepolo nella vertigine della perfetta pro-esistenza, il mistero della sua persona, mentre lui, cuor generoso, per sempre accompagnato dal ricordo del triplice rinnegamento interrotto dal canto del gallo, prigioniero di una limitatezza che non ha ancora conosciuto l’irruzione di Pentecoste, è incapace di estrarre una risposta adeguata.
La prima domanda di Cristo, “Mi ami (agâpas me) più di costoro?” contiene il verbo dell’amore supremo e una comparazione. Simone confessa solo “Ti voglio bene (philô se) lo sai”.
La seconda domanda si restringe, “Mi ami (agâpas me)?” rinunciando a paragoni. La risposta di Simone permane: “Philô se”.
Gesù nella terza domanda rinuncia al verbo dell’agàpe e
ripiega sul verbo greco dell’amicizia ancora invalicabile per Simone. Il predicatore chiosa questa l’anticlimax: “Gesù, mendicante di amore, mendicante senza pretese, conosce la mia povertà, conosce che là, solo là, sa nella povertà, sono me stesso, e mi chiede la verità di un po’ di amicizia”.
Non dimenticare che Pietro sarà rivestito dell’agàpe che gli si disvela ma non osa, allorché limpido testimone di Cristo giacerà all’ingiù su una croce rovesciata come è stato tramandato. Impossibile amare Cristo impunemente, per ridirla con Padre Turoldo il poeta confratello di Ermes Ronchi.
Basilio Gavazzeni
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