Da Conte a Ventura, per ora l’Italia batte la Svezia
Antonio Conte e Giampiero Ventura. Due personaggi molto diversi, ma con una bella dote in comune: una profonda conoscenza del calcio, quello che si gioca sul campo e si sbroglia, anche a parole forti, negli spogliatoi, non certo quello gridato a parole o polemico.
Antonio Conte trasmette il testimone della guida della Nazionale maggiore a Giampiero Ventura. Anche un po’ simbolico il passaggio: da un ex trainer bianconero vincente a un ex trainer granata capace pure lui, nel rispetto delle dovute proporzioni, di ottenere buone cose. Sotto certi versi, poi, una trasmissione anche singolare, dal momento che, contrariamente da come di solito accade, è il più giovane che imbecca il più maturo.
Gli auspici, al momento, sembrano favorevoli. L’Italia, proprio sul filo di lana, supera la Svezia agli Europei di Francia, al termine di un match tirato e fortemente voluto vincente dal gruppo, che ha lottato fino all’ultimo palpito di gioco. Il gol, assai bello, del naturalizzato Eder ha spalancato la strada ai nostri giocatori ormai tranquilli e garantiti nel certo prosieguo del torneo.
Un primo tempo in soggezione che ha fatto immediatamente rimangiare – come volubile è il football – a non pochi commentatori le sperticate, fin esagerate, lodi intonate dopo la franca vittoria contro il Belgio.
In effetti, l’Italia è apparsa, sin da subito, intimidita dalla pressione, anche fisica, degli svedesi e la presenza in campo dello spauracchio Ibrahimovic ha certamente contribuito a paralizzare gambe e cervelli dei nostri.
Immaginare, conosciuto il tipo, che le pareti degli spogliatoi azzurri di Tolosa abbiano stentato a insonorizzare le sgridate di Conte nell’intervallo è cosa facile.
Ma l’effetto c’è stato, eccome. Entrati in campo per la seconda frazione con rinnovato spirito, gli azzurri hanno cambiato registro, imponendo il loro gioco.
Certo, non è stata partita da fuochi d’artificio, ma schietta e vera, ruspante. Qualche duello rusticano, ora qua e là per il campo, ma sempre tanto fair play, come quello dimostrato, e ben evidenziato dalle riprese televisive, dalle due tifoserie a tratti mescolate e comunque festanti sugli spalti dello stadio.
Strigliate che anche Ventura sa fare e ha saputo a più riprese impartire nel lustro in cui è stato al timone del Torino del presidente Cairo. Giunto in un momento difficile, per via delle reiterate delusioni subite dalla tifoseria granata, Ventura a suon di carote e frustate ha subito ricondotto la squadra nell’olimpo del calcio.
Dopo averne consolidato la permanenza, ha agguantato anche la partecipazione all’Europa League, riproponendo i colori granata nell’arena europea. L’egregia figura rimediata dalla squadra non ha fatto che ulteriormente consolidare un’altra stagione nella massima serie. Senza scordare, poi, la sua spiccata propensione a valutare i giovani e a rilanciare giocatori che si sono spersi, ricavandone atleti di valore. Le plusvalenze accreditate alle casse granata negli anni della sua direzione tecnica parlano chiaro, con piena soddisfazione del presidente Cairo.
Conte, uomo di lotta a tutto tondo, ha mal sopportato il breve “esilio” in azzurro.
Quando il “mal di panchina” ti possiede, se non puoi vivere, giorno per giorno, con i tuoi atleti ti senti fuori posto, come a disagio. Per quanto modi e tempi possano essere parsi ai più fuori posto, il suo annuncio di tornare a guidare un club è stato come un suo passionale autodafé. È come se avesse detto: devo friggere su una panchina ogni domenica non ogni tanto, centellinando la conoscenza dei miei ragazzi.
Ventura, più pacato e riflessivo, per via di carattere e soprattutto di primavere maturate, sembra più propenso ad accettare il sacrificio, tenuto anche in conto non solo la ghiotta opportunità, ma la possibilità di chiudere una lunga e densa carriera nel migliore e più appetito dei modi, quali che saranno i risultati conseguiti.
D’altra parte, pare gli sia stato soprattutto chiesto di rispolverare la vecchia scuola italiana, quella che sapeva valutare e far crescere, con intelligenza e acume, le più belle speranze nostrane.
In attesa della terza sfida del girone per passare quindi alle ostilità più severe delle fasi successive, l’Italia del calcio si goda questo bel momento.
Alla faccia di Marco Travaglio che ha pubblicamente affermato di tifare contro. Una forma di aristocratico snobismo gratuito, che credo non sia piaciuta proprio a nessuno.
Franco Ossola
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