Ragionevoli dubbi su sterlina, rublo ed euro
In questi giorni di caldo sopportabile gli economisti e i politici europei sono alla ricerca del bandolo della matassa finanziaria a seguito degli ultimi avvenimenti susseguitisi nel vecchio continente.
Tre le notizie che destano maggiore apprensione: il Brexit, l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, l’embargo russo prorogato sino al 31 dicembre 2017 ed infine la futura posizione della Germania all’interno dell’UE.
Il primo punto è il Brexit.
Il Brexit, sta per Britain (Bretagna) ed exit (uscita), di oggi sta ad indicare l’esito del referendum tramite il quale il 51,9 degli inglesi ha espresso la volontà di isolarsi completamente dai vecchi compagni di merenda, dopo 30 anni passati insieme ai politici continentali.
Per tre decenni hanno vissuto con un piede all’interno dell’Unione e con l’altro a giocherellare con l’intento di trarre il maggior numero di vantaggi possibili.
Posizione equivoca e di comodo.
Nessuno mai dei primi ministri e presidenti che si sono succeduti in Europa ha mai voluto fare chiarezza sulla posizione e sul ruolo dei britannici. Forse per convenienza, forse per timore o forse per tornaconti di parte.
Avessero detto in maniera semplice e chiara che o ci si sposa e si ufficializza il legame oppure ognuno nella propria dimora, invece la fidanzata anglosassone quando le piaceva o ne aveva voglia o poteva, si presentava a casa del moroso per cibare e consumare, altrimenti flirtava ora con gli americani ora con i soci del Commonwealth ora con i potenti di turno.
Ed è il giochino che, pare, vogliano continuare a fare.
Il passo successivo al referendum è l’approvazione da parte del Parlamento. I politici della Regina Elisabetta stanno facendo il gioco delle tre carte, nessuno sino ad ora ha dichiarato apertamente di voler rispettare la volontà dei votanti.
Da Bruxelles sollecitano ad accelerare, ma è un sollecito sussurrato, sottovoce e con scarsa incisività. Non da moglie o compagna tradita e ferita, ma da separati in casa a seconda dell’atmosfera e del vento.
E qualora il Parlamento inglese non votasse a favore del Brexit?
Dal punto di vista commerciale l’isola di Sua Maestà è un partner importante per l’Italia e la svalutazione della sterlina rallenterebbe non poco il nostro export mentre favorirebbe l’import.
Altra questione calda è l’immigrazione che di là della Manica hanno bloccato più volte all’imbocco del Tunnel anche con metodi non precisamente da Oxford College.
Di solito noi italiani veniamo accusati di furberia ma è una pratica adottata ovunque e da chicchessia ed i sudditi londinesi non ne sono esenti. Non si tratta di erigersi a paladini della correttezza ma tutti questi signori d’Oltralpe che alla minima occasione elevano l’indice accusatorio nei nostri confronti bisogna che la smettano perché non hanno nulla da insegnare e nulla da omaggiare.
Quantomeno ci troviamo tutti sullo stesso pianerottolo.
Il secondo punto è l’embargo russo.
Sono oltre due anni che Vladimir Putin ha introdotto l’embargo nei confronti dell’Unione Europea. Un embargo che è stato prorogato sino al 31 dicembre 2017 e che penalizza maggiormente l’agroalimentare italiano.
L’altro giorno a Verona si è svolta una manifestazione, 10 mila partecipanti, organizzata dalla Coldiretti contro la guerra fredda del Cremlino e contro l’incapacità dei governanti di Bruxelles e di Roma a trovare soluzioni, e, colmo delle contraddizioni, alla manifestazione ha partecipato anche il ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina. Quasi ad affermare che sciopero contro le mie decisioni e i miei provvedimenti.
L’esempio pratico delle italiche incoerenze e delle assurdità della pubblica amministrazione.
Per quanti avessero scordato le ragioni dell’embargo, esso risale al luglio 2014 come risposta all’annessione della Crimea da parte della Russia. A marzo 2014 in Crimea si tiene un referendum, tipo Brexit, per uscire dall’Ucraina ed entrare in Russia, dato che la maggioranza della penisola è di stirpe russa il 95% dei votanti decide di abbandonare l’Ucraina e prendere cittadinanza russa.
Unione Europea e Stati Uniti stabiliscono che il referendum è illegale e non lo condividono, seguono delle blande trattative che sfociano nella riapertura della guerra fredda.
La Crimea è paragonabile al Kosovo che storicamente è una provincia della Serbia ma che è occupata da oltre il 90% da popolazione di etnia albanese.
E se un domani in Sicilia o Sardegna il 75% della popolazione divenisse di etnia magrebina?
Usa e Ue bloccano l’import dei prodotti della Madre Russia e Vladimir Putin blocca i prodotti provenienti dall’Europa, in questo tourbillon l’Italia ci ha rimesso qualcosa come 3,6 miliardi di euro solo per sottostare alle decisioni che superstipendiati politici hanno adottato a Bruxelles.
Non vi è stato alcun politico di spessore che abbia avuto il coraggio e la capacità di sedersi attorno ad un tavolo alla ricerca di soluzioni intelligenti e vantaggiose, abbassando i muri e allungando i ponti.
Ad oggi nulla è mutato in Crimea e nulla si prevede possa mutare nell’immediato.
A zero è servito l’embargo nei confronti dei benestanti moscoviti i quali ricchi erano e più ricchi sono diventati, sono i nostri agricoltori, i nostri allevatori, i nostri industriali del tessile e della moda che imprecano, educatamente e senza clamori, contro le decisioni di Roma e di Bruxelles.
Il terzo punto è la Germania.
Nei mesi scorsi il settore automobilistico è stato investito dallo tsunami Volkswagen, il vituperato scandalo dieselgate. La casa di Wolfsbourg fu costretta a ritirare dal mercato 11 milioni di autovetture, in sostanza i teutonici fanno i furbetti e falsificano i test per le emissioni di gas tossici negli stabilimenti, poi su strada si verifica che le emissioni sono superiori da 10 a 40 volte in più.
Volkswagen ammette il tarocco. Come responsabile viene additato l’amministratore delegato Martin Winterkorn.
Nessun politico è a conoscenza del trucchetto, nessuno vede, sente e parla.
Nelle ultime ore il Fmi, Fondo Monetario Internazionale, ha definito il gruppo bancario tedesco Deutsche Bank come “una delle banche importanti a livello globale che più di tutti contribuisce ai rischi sistemici”. Una banca che nel recente passato è stata coinvolta in diversi scandali e intrallazzi di natura finanziaria.
Tra l’altro è indagata dalla Procura di Trani su presunte operazioni della DB su titoli di Stato italiani.
Una delle vicende più clamorose è stata quella della manipolazione dei tassi di riferimento del mercato interbancario, Libor ed Euribor, che hanno causato da parte delle autorità europee ed americane multe per oltre 3,5 miliardi.
Il colosso finanziario tedesco ha chiuso il bilancio 2015 con una perdita netta di 6,8 miliardi di euro.
I grossi investitori internazionali sono in fibrillazione e qualcuno paventa una seconda Lehman Brothers.
La signora Angela Merkel non perde occasione per bacchettare chiunque entri nel raggio del suo bastoncino giallo, rosso e nero e si autoproclama la regina d’Europa, ma da domani che, forse, non avrà come antagonista la regina, quella autentica, Elisabetta corre il rischio di trasformare il suo potere in strapotere.
Su Volkswagen e Deutsche Bank la signora Merkel non desidera argomentare, tanto sa che in caso di necessità vi sono le bisacce europee per attingere.
I problemi della Grecia ancora non sono stati risolti, quelli del Portogallo nemmeno, la Spagna è alle prese con la formazione di un governo instabile e con il dilemma della Catalogna, in Ungheria avanzano le destre estreme. In Francia Marine Le Pen cavalca i disagi sociali della destra, malcontenti che si espandono a macchia d’olio.
È un’Europa che non potrà sopravvivere a lungo se continua a preoccuparsi solo dei poteri forti economici e finanziari gestiti da una ristretta cerchia di superpotenti che non vivono la quotidianità del misero stipendio, dell’invasione extracomunitaria, ma che godono di privilegi feudali che nel XXI secolo sono inammissibili ed incomprensibili.
Britannia docet.
la Redazione
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