Settimana di lutto, di strage, di paura nella indifesa Europa
La seconda settimana di luglio 2016 per l’Europa è stata una delle peggiori di questo inizio XXI secolo, tra incidenti, atti terroristici e tentato golpe si sono contati 372 morti e 1400 feriti. Sono cifre che fanno riflettere e che meritano chiarimenti e risposte adeguate.
Primo episodio martedì 12.
Alle 11,30 uno scontro frontale tra due treni della Ferrotramviaria nella tratta a nord di Bari tra Andria e Corato provoca 23 morti e 50 feriti. Lamiere incastrate, frammenti metallici sparpagliati nella campagna circostante, sangue ovunque. Scene raccapriccianti agli occhi di pompieri, soccorritori e forze dell’ordine. Scontro in parte dovuto all’errore umano dei due capistazione, dei due capitreno e dei due macchinisti. Se così non fosse stato non ci troveremmo a scrivere sul più grave incidente ferroviario che abbia colpito la Puglia. Ma col trascorrere delle ore spuntano nuovi particolari che fanno rabbrividire. Superficialità, leggerezze, magagne e forse anche di peggio. Però, su quella tratta molto difficilmente viaggiano personaggi del jet set, delle lobby che contano, dei poteri manifesti ed occulti. Il biglietto lo staccano operai, impiegati, artigiani, piccoli commercianti.
Gente comune. Solo negli ultimi minuti si viene a sapere che su quei chilometri non esiste sicurezza. Con una Direttiva del 18 marzo 2008 il Ministero prevede “specifici interventi finalizzati al necessario incremento dei livelli tecnologici delle reti regionali”. A distanza di oltre otto anni: zero interventi.
Francesco Giannella, il procuratore di Trani, sin dal primo momento ha voluto fare chiarezza: “Parlare di errore umano è corretto, ma è assolutamente riduttivo”.
Bisogna individuare chi sono i responsabili del mancato raddoppio della Andria-Corato. Sono del tutto assenti i sistemi tecnologici di controllo e blocco automatico, tant’è che si parla di incidente a ridosso di una curva, ossia vi fosse stato un rettilineo i due macchinisti si sarebbero accorti del treno che viaggiava sullo stesso binario in direzione apposta. E la tecnologia computerizzata? Su quella tratta specifica manca del tutto la segnaletica semaforica.
Raffaele Cantone, presidente dell’Anticorruzione, ha precisato che “l’incidente è frutto probabilmente di un errore umano, ma anche conseguenza di un problema atavico del nostro Paese di mettere in campo adeguate infrastrutture adeguate ed una delle ragioni di ciò è da individuarsi nella corruzione”.
Secondo episodio giovedì 14.
In Francia è festa nazionale. Ricorre l’anniversario della presa della Bastiglia del 14 luglio 1789. A Nizza sul Boulevard des Anglais, il lungomare cittadino, la gente si gode la brezza marina. Alle 22.30 il tunisino Mohamed Lahouaiej Bouhlel è alla guida di tir che travolge le barriere di accesso al Boulevard e prosegue la sua folle corsa sino a quando non è crivellato di colpi subito dopo il Negresco. Sull’asfalto giacciono 84 vittime, bambini, donne, anziani, giovani. A distanza di alcune ore l’Isis rivendica l’attentato, attraverso la sua agenzia Amaq, definendo il tunisino assassino “un suo soldato”. Ancora una volta la Francia è vittima del terrorismo islamico.
Questi i principali episodi mortali che hanno funestato l’Europa nell’ultimo ventennio.
Il primo attentato lo si è registrato il 25 luglio 1995 nella stazione metro di Parigi ad opera di un gruppo islamico algerino, si contano otto morti e 150 feriti.
11 marzo 2004. Una serie di bombe nelle stazioni ferroviarie di Atocha, El Pozo, Santa Eugenia a Madrid uccidono 191 persone e ne feriscono 2.057. Per la strage sono stati condannati 17 componenti di una cellula islamica marocchina.
7 luglio 2005. Nell’ora di punta in tre diverse stazioni della metropolitana di Londra e su un autobus un gruppo suicida legato ad Al Qaeda uccide 52 pendolari come risposta al coinvolgimento britannico in Iraq e Afganistan.
2 novembre 2011. La redazione parigina di Charlie Hebdo è distratta da una bomba molotov dopo che in copertina è apparsa una vignetta satirica del profeta Maometto, solo danni all’ufficio.
Marzo 2012. Un assassino legato ad Al Qaeda tra l’11 e il 19 marzo a Tolosa, Francia, uccide tre studenti ebrei, tre militari e un rabbino.
22 maggio 2013. Un soldato 24enne reduce dall’Afganistan viene ucciso a colpi di machete a Londra da due assassini di Al Qaeda.
24 maggio 2014. Un ex militare francese collegato col gruppo terroristico islamico siriano, armato di un kalashnikov ammazza quattro persone nel museo ebraico di Bruxelles.
7 gennaio 2015. Ancora la capitale francese sotto attacco. Di nuovo preso di mira il settimanale satirico Charlie Hebdo, sempre per le vignette irriverenti nei confronti dei musulmani. Un gruppo armato islamico legato ad Al Qaeda assale la sede del giornale e uccide 12 innocenti, a terra rimangono 11 feriti. Il 9 gennaio un complice in un supermercato ebraico kosher a Porte de Vincennes si barrica all’interno ed uccide quattro persone.
14 febbraio 2015. Gli assassini si spostano in Danimarca. A Copenaghen un delinquente islamico uccide un incolpevole e tre poliziotti durante una conferenza in cui si sta ricordando la scomunica contro Salman Rushdie e la sua presunta blasfemia. Nella notte nei pressi della sinagoga dove è in corso una cerimonia religiosa ammazzano un componente della comunità ebraica di 37 anni.
13 novembre 2015. Di nuovo la Francia e di nuovo Parigi. Poco distante dalla sede di Charlie Hebdo, nell’XI Arrondissement, si trova la sala per concerti Bataclan, in un bar del X, allo Stade de France è in corso l’amichevole Francia-Germania in notturna, al Beaumarchais e in altre due strade adiacenti si svolge un attacco coordinato militaresco inaudito. Quasi un’ora di fuoco e di terrore intorno alle 21,00. Alla fine 137 sono i morti, fra cui 7 terroristi islamici, e 368 feriti. La Francia è sotto choc e si scopre indifesa e forse anche impreparata.
22 marzo 2016. Terroristi musulmani alle 8 di mattina assaltano l’aeroporto belga di Zaventem e la metropolitana. In tutto ci sono 31 morti e oltre 250 feriti. L’intelligence nota subito larghe falle nel sistema belga di prevenzione, Bruxelles funge da base logistica e di indottrinamento.
13 giugno 2016. Ancora Parigi. Jean-Baptiste Salvaing, 42enne, è vice comandante della polizia giudiziaria a Les Mureaux, cittadina dell’Ile-de-France, situata ad ovest della capitale, e la moglie Jessica Schneider, 36enne, funzionaria della polizia locale, hanno sempre condotto una vita normale. Alle 20,30 il poliziotto sta rientrando a casa e alle spalle viene assalito dal killer che con nove pugnalate lo stende mortalmente, poi è entrato nell’abitazione ed ha preso in ostaggio la moglie ed il figlioletto di tre anni della coppia. Scatta l’allarme ed intervengono le forze speciali, a mezzanotte il blitz nella casa, le teste di cuoio dopo aver ucciso il terrorista trovano il corpo della donna con profonde ferite mortali alla gola ed il bambino in stato di choc.
Proco prima di accoltellare il poliziotto il terrorista 25enne, Larossi Abballa, sul suo profilo facebook scrive “l’Euro 2016 (si riferisce ai campionati europei di calcio) sarà un cimitero”. Minaccia ed avvertimento reale ritardato (volutamente?).
14 luglio 2016. Nizza, Boulevard des Anglais. La minaccia dell’assassino Larossi Abballa, combattente dell’Isis, si trasforma in cimitero su uno dei lungomari più affascinanti del Mediterraneo.
Su 14 attacchi terroristici islamici ben 8 sono stati compiuti in Francia, 2 in Belgio, 2 in Inghilterra, 1 in Spagna e 1 in Danimarca. Perché i francesi sono sotto tiro? Come mai Germania, Austria, Italia, Scandinavia ed il resto dell’Europa non sono stati neppure sfiorati? La Francia da secoli sbandiera laicità dello Stato, libertà, fraternità ed uguaglianza. Ha mostrato i muscoli sin dal marzo 1793 al luglio 1794 in Vandea per difendere la “laicità”. Oggi si trova a combattere una nuova religione che utilizza singoli elementi cresciuti ed educati dalla stessa Repubblica. Quella che è la preoccupante realtà francese del XXI secolo la si può facilmente osservare nelle banlieu (le periferie) delle medie e grandi città galliche. Interi quartieri in mano ai magrebini dove un cittadino “normale” ha paura di entrare, vigono le loro regole, le loro tradizioni, i loro costumi, le loro leggi.
Terzo episodio venerdì 15
Alle 22 le principali agenzie stampa internazionali battono la notizia di un tentativo di golpe in Turchia. Alcuni settori dell’esercito prendono in ostaggio il capo di Stato Maggiore nel quartier generale delle forze armate. Carri armati si avvicinano e sparano sul Parlamento, nel contempo ad Istanbul i ponti sul Bosforo vengono chiusi, l’aeroporto è bloccato, occupata la tv di Stato, elicotteri e jet militari sorvolano le principali città, si registrano diversi scontri a fuoco tra la polizia, rimasta fedele al presidente Recep Tayvip Erdogan, e parte dell’esercito ribelle. Alle 00,38 il capo di Stato Maggiore della Marina dichiara di non aderire alla sollevazione. Il presidente turco su un jet privato lascia la Turchia. Ci sono scontri tra militari pro e contro il golpe. Angela Merkel e Barack Obama danno appoggio al presidente Erdogan. Alle 2,12 il ministro degli Interni dichiara che il golpe è fallito ed i principali autori sono stati arrestati. Venti minuti dopo l’annuncio del ministro il jet di Erdogan atterra ad Istanbul e lentamente la situazione ritorna alla normalità. Alla fine ci saranno 265 morti, 1140 feriti, 2800 arresti e 2745 giudici rimossi.
Un golpe che lascia tanti dubbi e tantissimi interrogativi in un’area geografica estremamente delicata per gli equilibri tra occidente e oriente come pure tra nord e sud del pianeta.
Per alcuni dettagli, pochi ma determinanti, sembra studiato e concretizzato da dilettanti allo sbaraglio e non da professionisti e militari. Comunque la Turchia ci ha abituati a putsch e simil putsch, ci sono stati nel 1969, nel 1971, nel 1980 e poi nel 1997, tutti risolti in una bolla di sapone. Erdogan, che sta islamizzando Istanbul, dopo questa vicenda, ovviamente, acquisisce ulteriore potere nei confronti dell’Europa e degli Usa tant’è che subito ha intimato agli Stati Uniti di consegnare alla giustizia turca l’ex imam Fetullah Gulen, dove vive in esilio, ritenuto la mente del fallito golpe.
Domani è un altro giorno di certo, ma di che colore si tingerà il cielo?
Bruno Galante
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