Smascherare azzardo e usura
Sul gioco d’azzardo non posso che riassumere, saccheggiandola, l’appassionata relazione che Paolo Ruffini, direttore di TV2000, ha consegnato e letto ai rappresentanti delle Fondazioni Antiusura convocate a Roma dalla Consulta Nazionale Antiusura il 28 giugno 2016.
Nel 2015 gli italiani hanno immolato, azzardando, oltre 88 miliardi di euro. Ben 420 mila slot machine piazzate in 83 mila locali “generalisti”ne hanno ingoiato la metà. Vi sono anche 52 mila video lotterie installate in locali, oh stranezza!, “dedicati”.
I giocatori abituali sono 16 milioni. Ciascuno spende mediamente 5.500 euro l’anno. Quelli patologici sono 800 mila, ma sulle loro orme pestano quelli a rischio: 3 milioni.
L’azzardo potrebbe dirsi la terza industria italiana, fattura 100 miliardi, pari al 4% del pil nazionale, aggiudicandosi anche 8 miliardi di tasse. La spesa complessiva corrisponde al 12% della spesa delle famiglie italiane, sovrasta quelle dell’abbigliamento e delle calzature, si eleva a 60% di quella alimentare. Insomma lesina quelle sui consumi di prima necessità e per il sostentamento delle persone e delle famiglie.
Dovrebbero fare impressione questi numeri, se immaginassimo i volti che li reggono. Sono una contabilità e un panorama umano che gli strumenti di comunicazione sociale trascurano, anzi censurano, favorendo la distrazione e, alla fine, la resa della società civile.
La comunicazione non dovrebbe ignorare che l’80% degli Italiani è scottato dal problema, che le quote di denaro fornite all’azzardo crescono di giorno in giorno, che l’azzardo pullula fittamente nella vita quotidiana.
Paolo Ruffini si sofferma intensamente sul dovere della responsabilità che è coerenza e senso.
Secondo lui l’occhio della responsabilità deve soverchiare la disattenzione sul degrado delle sale Bingo, sulla rassegnazione con la quale si sopporta che i bar siano divenuti luoghi dove troppi anziani rimediano alla solitudine accompagnandosi alle macchinette, sulla sottrazione dei fondi destinati al recupero dei feriti patologici dell’azzardo.
Una responsabilità onniveggente e audace deve smascherare la slargata schizofrenia in cui si radica il male dell’azzardo.
“Ecco io credo che la nostra responsabilità riguardi la connivenza con la quale i mezzi di comunicazione hanno costruito (attivamente o passivamente, facendo o omettendo) una cultura fondata sull’azzardo da una parte e sulla finanza speculativa dall’altra”.
È straripata una cultura che “ha slegato il denaro dal lavoro, il premio dal merito, la rendita dall’impresa”.
Davanti alla coltivata imponenza del mito della fortuna perché stupirsi della moltitudine ipnotizzata dall’azzardo, con la truce faccia medusea serpentescamente lungocrinita di Lotto, Superenalotto, Gratta e Vinci, Bingo, Videopoker, Casinò, più connessione a internet da personal computer, scommesse di ogni genere, entro e fuori della legalità, e programmi televisivi consacrati all’azzardo, pilastri dello stesso servizio pubblico?
Game on, game over, avanti popolone bue, dietro al mostruoso pifferaio.
I giocatori, infilati in un gigantesco tunnel mentale, appaiono sedotti da un piacere polimorfo e, nello stesso tempo, in ginocchio davanti al dio Denaro. Così tiranneggiati finiscono nei meccanismi della usurocrazia.
Addio centralità della persona nel contesto armonico e luminoso del bene comune!
È uno stile di vita che mina le fondamenta della comunità. Quanti indebitati e usurati hanno cominciato a precipitare dall’esposizione fatale all’azzardo! Come non elogiare baristi, tabaccai, negozianti che respingono l’intrusione delle macchinette e i sindaci creativi che ne ostacolano la marcia nelle loro città?
La responsabilità produce alternative nella verità. C’è da demitizzare tout court certa pubblicità, da informare correttamente sulla probabilità di vincere, da informare che le macchinette fanno guadagnare solo chi le possiede, da raccontare che, nell’ombra, tramano le micro e macro criminalità, da boicottare i non-luoghi dell’azzardo, da riscoprire le celebrazioni della relazionalità, da contrastare a muso duro gli operatori del mondo dello spettacolo che promuovono l’azzardo.
Con tanta nebbia dintorno, Ruffini sostiene, rifacendosi a Christiane Amanpour, che l’unica esclusiva che possiamo veramente difendere è il rapporto vero, diretto con le persone, in particolare con quelle antiazzardo, come sono da almeno due decenni i volontari delle Fondazioni Antiusura.
C’è da sfidare legislatori e governanti.
Vi sono due partite aperte su cui accendere ogni attenzione: una perché si riconosca ai sindaci il potere di regolare l’azzardo in nome della tutela dei loro concittadini, l’altra perché ci si adoperi a limitare drasticamente l’ingannevole pubblicità di ogni azzardo.
Tuttavia un maggiore lavoro culturale ci attende: si tratta di rispettare la dignità delle persone e le buone pratiche che suscita. Ciò vale soprattutto per le narrazioni dei grandi comunicatori, ma non può escludersi per i minimi.
Paolo Ruffini recupera un verbo inglese di pregnanza purtroppo svilita: “to share”, partecipare, condividere. Share è la percentuale di persone dedite a un canale televisivo in rapporto al numero totale di spettatori nella stessa fascia oraria. Serve a pesare gli investimenti pubblicitari.
Troppo spesso prescinde da quel che è offerto alla condivisione.
“Mentre invece se c’è una grandezza da misurare è quella della pienezza, della bellezza di questa condivisione. Ed è una grandezza che sta nella sua unicità.”
Occorrerebbe costruire uno share, una condivisione, una prossimità unica non di massa ma con le persone “tutte intere e una per una”. “Insiemità” la definisce Ruffini. Solidale e libera da ogni determinismo.
“I care” scriveva uno sulla lavagna della sua scuola per i figli del popolo.
Basilio Gavazzeni
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