Cracovia 31, la GMG la fratellanza la Misericordia
La misericordia ha un cuore giovane.
Con queste parole semplici e dirette Papa Francesco ha entusiasmato un milione e seicentomila ragazzi assiepati nella spianata di Cracovia.
Tra di loro tutti i volti di una fede e di una Chiesa giovane, tutto un mondo che si incontra e che innalza uno scroscio di applausi al nome di quel Papa che, nel centro di una Polonia rinnovata e fervida, forse ancora alla ricerca di se stessa, pensa ed organizza le Giornate Mondiali della Gioventù come quando ancora da vescovo portava in montagna i suoi ragazzi facendoli scoprire Dio nella natura.
Dal cielo Karol Wojtyla sembra accarezzare questi ragazzi in cui ha sempre visto il volto di Cristo ed il futuro della Chiesa.
La 31esima Giornata Mondiale della Gioventù segna uno spartiacque nella continuità di un disegno di salvezza che coinvolge tutta una generazione. Riconosciamo i giovani dalle bandiere Portogallo, Italia, Brasile ma sono venuti anche dagli angoli più sperduti della terra, come le Isole Kiribati nel Pacifico, che rischiano di essere inghiottite dal mare e dove una comunità poverissima e immota, si è autotassata e con l’aiuto della Chiesa intera è riuscita a mandare 24 ragazzi per vivere un’esperienza irripetibile.
Questi, dicono i sacerdoti accompagnatori, sono i miracoli del quotidiano che vediamo compiersi ogni giorno.
Padre Marco ha maturato la sua vocazione proprio nelle Giornate Mondiali della Gioventù, da Parigi a Tor Vergata, a Colonia, è cresciuto nel Movimento Neocatecumenale per una nuova realtà di fede della Chiesa.
Ma a Cracovia ci sono anche scout, focolarini appartenenti al Rinnovamento dello Spirito.
Sono giovani che hanno preso la loro vita in spalla, come il loro sacco a pelo e si sono messi in gioco dormendo sulla roccia.
Come per tornare all’essenzialità delle cose, che, ama ripetere Papa Francesco, è alla base del messaggio evangelico che non vuole giovani pensionati prima del tempo, che diventino noiosi per sé e per gli altri, ma vuole giovani impegnati a cambiare le realtà e a sognare per essersi incontrati con una persona che si chiama Gesù Cristo.
È questo, dice Papa Bergoglio, l’incontro che ti condurrà alla vita vera, senza farti sedurre dai venditori di fumo e dalle gioie passeggere, mettendoti in gioco nel tuo presente che si fa futuro.
Padre Marco ora è missionario in America e ricorda la GMG di Roma dove i giovani volontari provenienti dalle parrocchie della periferia di Tor Bella Monaca, lanciavano acqua sui pellegrini accaldati o donavano una bottiglietta di acqua gasata per placare la sete.
Uno di loro è oggi al seguito del Papa come giornalista per seguire la giornata di Cracovia, mandata in diretta da Tv2000, il canale del Vaticano, che scava dolcemente in questi volti per riprovare le stesse emozioni.
Alla Gmg di Colonia, ricorda padre Mauro, un omone abruzzese che prima di indossare la tonaca ha calcato le passerelle dell’alta moda di Milano, si mangiava da schifo e l’organizzazione era pessima. Ma quando ci ritrovammo con Benedetto XVI tutto passò in secondo piano.
A Parigi riscoprimmo anche l’anima cattolica di una Francia che ci sembrava troppo secolarizzata.
Quello che colpisce sono gli occhi e la gioia che traspare in questi ragazzi, vogliosi e capaci di tuffarsi nella vita e di farne una cosa meravigliosa come diceva Giovanni Paolo II.
Da Cracovia riparte un pezzo della meglio gioventù.
Capace di confrontarsi con un mondo che pare aver dimenticato l’amore ma che vogliono dimostrare di essere ancora capaci di stupire.
La prossima Gmg sarà a Panama, nel 2019. Molti di questi giovani saranno più maturi e forse padri di famiglia.
Ma, per favore, non perdete la tenerezza.
Michele Pacciano
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Questa è una parte del discorso che Papa Francesco ha pronunciato la notte della veglia nella spianata di Cracovia a 1.600.000 giovani venerdì 30 luglio
“Cari giovani, buona sera! È bello essere qui con voi in questa Veglia di preghiera. Alla fine della sua coraggiosa e commovente testimonianza, Rand ci ha chiesto qualcosa. Ci ha detto: “Vi chiedo sinceramente di pregare per il mio amato Paese”. Una storia segnata dalla guerra, dal dolore, dalla perdita, che termina con una richiesta: quella della preghiera. Che cosa c’è di meglio che iniziare la nostra veglia pregando?”
“Cari amici, vi invito a pregare insieme a motivo della sofferenza di tante vittime della guerra, di questa guerra che c’è oggi nel mondo, affinché una volta per tutte possiamo capire che niente giustifica il sangue di un fratello, che niente è più prezioso della persona che abbiamo accanto. E in questa richiesta di preghiera voglio ringraziare anche voi, Natalia e Miguel, perché anche voi avete condiviso con noi le vostre battaglie, le vostre guerre interiori. Ci avete presentato le vostre lotte, e come avete fatto per superarle. Voi siete segno vivo di quello che la misericordia vuole fare in noi”.
“Noi non vogliamo vincere l’odio con più odio, vincere la violenza con più violenza, vincere il terrore con più terrore. E la nostra risposta a questo mondo in guerra ha un nome: si chiama fraternità, si chiama fratellanza, si chiama comunione, si chiama famiglia”.
“Dove ci porta, la paura? Alla chiusura. E quando la paura si rintana nella chiusura, va sempre in compagnia di sua “sorella gemella”, la paralisi; sentirci paralizzati. Sentire che in questo mondo, nelle nostre città, nelle nostre comunità, non c’è più spazio per crescere, per sognare, per creare, per guardare orizzonti, in definitiva per vivere, è uno dei mali peggiori che ci possono capitare nella vita, e specialmente nella giovinezza. La paralisi ci fa perdere il gusto di godere dell’incontro, dell’amicizia, il gusto di sognare insieme, di camminare con gli altri. Ci allontana dagli altri, ci impedisce di stringere la mano, come abbiamo visto [nella coreografia], tutti chiusi in quelle piccole stanzette di vetro”
“Ma nella vita c’è un’altra paralisi ancora più pericolosa e spesso difficile da identificare, e che ci costa molto riconoscere. Mi piace chiamarla la paralisi che nasce quando si confonde la FELICITÀ con un DIVANO / KANAPA! Sì, credere che per essere felici abbiamo bisogno di un buon divano. Un divano che ci aiuti a stare comodi, tranquilli, ben sicuri. Un divano, come quelli che ci sono adesso, moderni, con massaggi per dormire inclusi, che ci garantiscano ore di tranquillità per trasferirci nel mondo dei videogiochi e passare ore di fronte al computer. Un divano contro ogni tipo di dolore e timore. Un divano che ci faccia stare chiusi in casa senza affaticarci né preoccuparci. La “divano-felicità” / “kanapa-szczęście” è probabilmente la paralisi silenziosa che ci può rovinare di più, che può rovinare di più la gioventù”.
“L’altro ieri, parlavo dei giovani che vanno in pensione a 20 anni; oggi parlo dei giovani addormentati, imbambolati, intontiti, mentre altri – forse i più vivi, ma non i più buoni – decidono il futuro per noi. Sicuramente, per molti è più facile e vantaggioso avere dei giovani imbambolati e intontiti che confondono la felicità con un divano; per molti questo risulta più conveniente che avere giovani svegli, desiderosi di rispondere, di rispondere al sogno di Dio e a tutte le aspirazioni del cuore”.
“Ma la verità è un’altra: cari giovani, non siamo venuti al mondo per “vegetare”, per passarcela comodamente, per fare della vita un divano che ci addormenti; al contrario, siamo venuti per un’altra cosa, per lasciare un’impronta. E’ molto triste passare nella vita senza lasciare un’impronta. Ma quando scegliamo la comodità, confondendo felicità con consumare, allora il prezzo che paghiamo è molto ma molto caro: perdiamo la libertà. Non siamo liberi di lasciare un’impronta. Perdiamo la libertà. Questo è il prezzo. E c’è tanta gente che vuole che i giovani non siano liberi; c’è tanta gente che non vi vuole bene, che vi vuole intontiti, imbambolati, addormentati, ma mai liberi. No, questo no! Dobbiamo difendere la nostra libertà!”.
“Amici, Gesù è il Signore del rischio, è il Signore del sempre “oltre”. Gesù non è il Signore del confort, della sicurezza e della comodità. Per seguire Gesù, bisogna avere una dose di coraggio, bisogna decidersi a cambiare il divano con un paio di scarpe che ti aiutino a camminare su strade mai sognate e nemmeno pensate, su strade che possono aprire nuovi orizzonti, capaci di contagiare gioia, quella gioia che nasce dall’amore di Dio, la gioia che lascia nel tuo cuore ogni gesto, ogni atteggiamento di misericordia. Andare per le strade seguendo la “pazzia” del nostro Dio che ci insegna a incontrarlo nell’affamato, nell’assetato, nel nudo, nel malato, nell’amico che è finito male, nel detenuto, nel profugo e nel migrante, nel vicino che è solo. Andare per le strade del nostro Dio che ci invita ad essere attori politici, persone che pensano, animatori sociali. Che ci stimola a pensare un’economia più solidale di questa. In tutti gli ambiti in cui vi trovate, l’amore di Dio ci invita a portare la Buona Notizia, facendo della propria vita un dono a Lui e agli altri. E questo significa essere coraggiosi, questo significa essere liberi!”.
“Dio aspetta qualcosa da te. Avete capito? Dio aspetta qualcosa da te, Dio vuole qualcosa da te, Dio aspetta te. Dio viene a rompere le nostre chiusure, viene ad aprire le porte delle nostre vite, delle nostre visioni, dei nostri sguardi. Dio viene ad aprire tutto ciò che ti chiude. Ti sta invitando a sognare, vuole farti vedere che il mondo con te può essere diverso. È così: se tu non ci metti il meglio di te, il mondo non sarà diverso. È una sfida”.
“Il tempo che oggi stiamo vivendo non ha bisogno di giovani-divano / młodzi kanapowi, ma di giovani con le scarpe, meglio ancora, con gli scarponcini calzati. Questo tempo accetta solo giocatori titolari in campo, non c’è posto per riserve. Il mondo di oggi vi chiede di essere protagonisti della storia perché la vita è bella sempre che vogliamo viverla, sempre che vogliamo lasciare un’impronta. La storia oggi ci chiede di difendere la nostra dignità e non lasciare che siano altri a decidere il nostro futuro. No! Noi dobbiamo decidere il nostro futuro, voi il vostro futuro!”.
“Quando il Signore ci chiama non pensa a ciò che siamo, a ciò che eravamo, a ciò che abbiamo fatto o smesso di fare. Al contrario: nel momento in cui ci chiama, Egli sta guardando tutto quello che potremmo fare, tutto l’amore che siamo capaci di contagiare. Lui scommette sempre sul futuro, sul domani. Gesù ti proietta all’orizzonte, mai al museo”.
“Abbiate il coraggio di insegnarci, abbiate il coraggio di insegnare a noi che è più facile costruire ponti che innalzare muri! Abbiamo bisogno di imparare questo”.
“Oggi Gesù, che è la via, chiama te, te, te [indica ciascuno] a lasciare la tua impronta nella storia. Lui, che è la vita, ti invita a lasciare un’impronta che riempia di vita la tua storia e quella di tanti altri. Lui, che è la verità, ti invita a lasciare le strade della separazione, della divisione, del non-senso”.
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