La Milano del calcio con gli occhi a mandorla
Quando gli anni incominciano a pesare, a volte diventa difficile entrare con comprensione in certe vicende che ci accadono intorno.
Tralasciando i grandi problemi politici, sociali ed economici che ci assillano e occupandoci, molto più semplicemente, di calcio, per chi ne ha fatto un momento importante della propria vita, dedicandovi tempo ed energia, adeguarsi a taluni improvvisi e decisivi cambiamenti diventa arduo.
La tradizione del football italiano, pur avendo radici esterofile, ha però sempre avuto proprietà radicate, nostrane.
Se l’esempio della Juventus domina in assoluto su questo fronte, con la famiglia Agnelli che se ne occupa ormai quasi da un secolo, è anche vero che nel restante dei casi le proprietà hanno sempre parlato italiano, salvo rarissimi esempi che, pure, non mi sovvengono.
Il campanilismo, l’affetto viscerale, che gli italiani sentono verso le squadre da loro amate sono proverbiali e la tradizione che ciascuna di esse si porta appresso è vitale, storica.
Sono ormai molte le squadre di calcio, importanti e meno, che hanno varcato da qualche anno la soglia del secolo ed è evidente come in cento anni si siano consolidate saldissime storie.
Vicende ricche di personaggi e avvenimenti, di aneddoti e situazioni tipicamente nostrane; legate alla città, al folclore, fatti che hanno cementato attorno a ciascun club uno stile, un modo di essere, una tradizione, storica e sportiva, diversa per ciascuno.
Il senso di appartenenza, di questo si sta parlando.
Un sentimento che rende unici i tifosi di ogni squadra, perché si portano dietro una storia diversa, più o meno intensa che sia.
Il passaggio di questi giorni delle due prestigiose squadre di Milano a proprietà cinesi rompe definitivamente un argine, valica un segno.
Riconduce definitivamente e per sempre anche il calcio italiano in quel solco che ha una sola connotazione: affari.
Riporta a una realtà che per i tifosi tradizionalisti è cruda, anche se evidentissima da tempo: una squadra di calcio altro non è che un’impresa d’affari e come tale va trattata, con buona pace del popolo tifoso quando ancora creda di vederci qualcosa di diverso.
Non c’è spazio per altro, figuriamoci per i sentimentalismi.
Scordatevi il passato.
A Milano non si parlerà più meneghino, ma cinese; non più battute in dialetto o rimpatriate di ex.
Le regole sono cambiate.
Che potrà mai importare alla nuova presidenza, così lontana e distaccata per cultura e tradizione, la lunga, gloriosa storia del Milan e dell’Inter?
Immagino nulla.
Non ho sentito ancora le opinioni delle tifoserie, ma non credo ci sia grande gioia, somma soddisfazione.
Sappiamo, con quanto detto, di essere “antiqui”, ma al cuor tifoso è difficile comandare.
Già l’invasione straniera dei calciatori ci appare deleteria, minando alla radice la tradizione calcistica nostrana, figuriamoci la proprietà.
Ma così, oggi, va il mondo, dietro a danaro e profitto, non certo a cuore o tradizioni.
Franco Ossola
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