L’islam che avanza
Aisha è una ragazza marocchina di vent’anni. Diplomatasi con 100 e lode, frequenta brillantemente il campus di Ingegneria Biomedica di Pisa. Suo padre è un ingegnere che raccoglie i meloni nel Sud, regolarmente assunto da una grande azienda agricola.
Ali è un rifugiato politico del Burkina Faso, dove è fuggito da guerra e morte mettendo a repentaglio la propria vita. Dopo il lazzaretto di Lampedusa è arrivato in un piccolo paese del Sud ed è stato assunto in piena regola da una media impresa che si occupa di giardinaggio e che vanta diversi appalti di cura del verde pubblico. Alı è tornato in Africa, si è sposato e ha portato la moglie qui in Italia. Da qualche mese è nato anche il piccolo Farid. Per lui, si spera, il futuro sarà migliore.
Alì e anche la star della squadra locale di calcetto nata attorno all’oratorio.
Due storie di bella immigrazione, di accoglienza da e alle periferie del mondo.
Non si vuol fare buonismo o politicamente corretto, i numeri dell’immigrazione sono allarmanti il fenomeno deve essere controllato e strutturato.
La speranza va organizzata come dice Papa Francesco altrimenti diventa disillusione e gli effetti sarebbero devastanti incalcolabili.
Migliaia di disperati premono ai confini di Ventimiglia e di Como perché l’Italia sta diventando un luogo di transito verso la Germania e i paesi europei più ricchi, vi è tutto il mondo del volontariato e del terzo settore che si muove nel silenzio e porta aiuto a chi ha bisogno.
Ma per quanto tempo potranno resistere?
I bambini che muoiono sul mare sono un pugno nello stomaco la nostra buona coscienza.
Una domanda, però, si pone: fino a che punto saremo disposti ad accogliere e a tollerare?
Alle nostre porte si combatte una guerra globale e gli immigrati non ne sono immuni.
Si deve cercare fino all’ultimo una via mediana di dialogo e non cedere alla pancia, ma il confronto serio impone chiarezza senza facili strumentalizzazioni dall’una o dall’altra parte.
Sia chiaro: non ho nulla contro l’islam in generale ma alcune precisazioni vanno fatte, in Italia è una religione che conosciamo poco e male.
La religione di Maometto non è un monolite. Quella che si sta combattendo a livello terroristico con migliaia di morti musulmani e cristiani è una guerra interna alla fede di Maometto, quella eterna tra sciti e sunniti.
Dietro l’Isis c’è sicuramente una parte consistente dell’Arabia Saudita e dei ricchi Emirati.
Quello islamico per sua natura non è un credo moderato. Tutto il politicamente corretto che noi ostentiamo, dall’altra parte viene vissuto come segno di debolezza ed arrendevolezza.
Perché non cominciamo a porre dei paletti e rivendicare la nostra identità giudaico-cristiana?
Iniziamo a porre una domanda senza infingimenti: come mai si pretende da noi l’autorizzazione a costruire moschee dovunque, senza capire bene chi ci sia alle spalle che finanzia e da dove provengono i fondi per edificarle, quando nei paesi di fede islamica non ci è permesso, specie nelle terre arabe, di porre neanche una pietra che richiami la cristianità?
Riflettiamoci. Laicamente.
Senza riesumare la battaglia di Lepanto, ma neanche invocando a vuoto un multiculturalismo indifferenziato.
Sul finire dell’estate sta scoppiando l’ennesima polemica sulle donne velate in spiaggia.
Al di là del buon gusto, si avanzano dei problemi di sicurezza, credo che sia un falso problema.
Ognuno è libero di bagnarsi come crede, senza imporre alcuna censura che vada oltre il pubblico decoro. Pensiamo più alla sostanza.
L’integrazione mancata in alcune realtà assume toni realmente drammatici. Gli esempi non mancano.
Michele Pacciano
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