Le eccellenze del Made in Italy, il nettare divino
Se lo si va a raccontare ai giovani, agli incompetenti o, peggio ancora, agli stranieri si corre il rischio di ricevere sberleffi o di essere trattati alla pari dello scemo del villaggio.
Ebbene, in Italia abbiamo compreso che il nettare degli dei andava trattato con dovuto rispetto e non il metanolo da martedì 18 marzo 1986 allorquando Alberto Nobili, il sostituto procuratore della Repubblica di Milano, avvia le indagini su alcuni casi di avvelenamento e decessi.
Il sospetto è che si tratti del settore alimentare: vino modificato con il metanolo. Il metanolo, o alcol metilico, è una sostanza liquida velenosa che produce lesioni, anche gravi, al fegato, al cuore, sulla retina e sul sistema nervoso.
Aggiungendo il metanolo la gradazione alcolica del vino subisce un notevole incremento.
Si registreranno 23 morti dovute al diabolico cocktail, oltre a centinaia di persone vittime di avvelenamento e intossicazione.
Nel giro di pochi giorni il cerchio si allarga e ricevono avvisi giudiziari diversi titolari di aziende vitivinicole. Era consuetudine irrobustire la gradazione alcoolica con lo zucchero ma il metanolo costava parecchio meno.
Da quel marzo ‘86 i controlli di Nas e Guardia di Finanza si sono moltiplicati e molti agricoltori hanno compreso che il vino bisogna produrlo dai grappoli d’uva. Il reato è servito a modificare pensieri e produzione.
Sino agli inizi degli anni Novanta i vignerons, vignaioli, francesi sono i padroni incontrastati dei principali mercati internazionali e dato che noi italiani sappiamo trarre sempre insegnamento dagli errori commessi per rimetterci in marcia, recuperare e raggiungere il podio, ecco che in meno di un quarto di secolo li abbiamo affiancati e, loro malgrado, superati.
I cugini della Gallia godono di un enorme vantaggio nei nostri confronti: posseggono senso civico e sanno fare squadra. Gli va dato atto.
Ogni qualvolta superano la dogana si presentano compatti e in formazione completa: i produttori (di qualsiasi genere e natura), i politici, i banchieri.
Noi ci presentiamo sul facsimile dell’armata Brancaleone: i produttori ci sono e con il miglior abito del guardaroba, i politici disertano perché impegnati nella buvette di Montecitorio, i banchieri per quelle date avevano già fissato altri appuntamenti.
Le nostre aziende quasi mai oltre confine sono accompagnati da ministri, da alti dirigenti di istituti bancari, devono sbrigarsela da sole, diventa una gara del tipo concorrenti allo sbaraglio.
I francesi, al contrario, viaggiano insieme a tre, quattro ministri, mezza dozzina di vice ministri, alti dirigenti di istituti finanziari a iosa, un’equipe che al solo vederli desta ammirazione e rispetto.
Noi incutiamo tenerezza, come i martinitt risorgimentali. Qualche malalingua ipotizza che forse è meglio così.
Ecco perché i nostri industriali, produttori, impresari, sono i migliori al mondo, perché il Made in Italy, le eccellenze della penisola, i brand che tutti ci invidiano, sono cresciuti, si sono affermati in tutto il pianeta con l’unico ausilio delle loro menti e delle loro braccia. Fossero stati fortunati ad avere al loro fianco una classe politica adeguata e dei banchieri lungimiranti, avremmo sbaragliato la concorrenza prima ancora di scendere in pista. Ma tant’è.
Poiché siamo superbravi riusciamo anche a coprire le defaillance pubbliche.
Vi è un ente nazionale, l’Ice Istituto nazionale per il Commercio Estero che ha il compito di agevolare, sviluppare e promuovere i rapporti economici e commerciali italiani con l’estero, con particolare attenzione alle esigenze delle piccole e medie imprese, dei loro consorzi e raggruppamenti, e opera al fine di sviluppare l’internazionalizzazione delle imprese italiane nonché la commercializzazione dei beni e servizi italiani nei mercati internazionali.
Così recita la cartella stampa. Così dovrebbe essere.
Silvana Ballotta è un’esperta di Made in Italy, di economia e di marketing.
Spesso è in giro per il mondo a studiare in quale maniera le aziende nazionali possono entrare sui mercati esteri e rafforzare le posizioni.
Matura notevole esperienza con la Banca Mondiale dopo di che crea BS Business Strategies (stranamente le iniziali coincidono con le sue) e si specializza nella consulenza e nell’offrire supporto a quelle società ed aziende interessate all’export, cura maggiormente il settore agroalimentare ed il lusso.
Si occupa della gestione dei fondi comunitari per la promozione e assistenza nei processi di export specie verso i Paesi Emergenti.
Di recente ha aperto a Shangai la Taste Italy Wine Academy, una scuola per gli appassionati cinesi amanti del nostro maestoso nettare e del Made in Italy.
La BS ha sede a Firenze in stanze che si affacciano sull’Arno, si trova subito dopo Ponte Vecchio e di fronte alla Galleria degli Uffizi. I balconi superpanoramici aprono la mente ed incrementano le iniziative, è il caso di dire: se rimango un altro paio d’ore in ufficio lo spirito non ne risente.
“Ho sempre desiderato intrattenere rapporti con i paesi orientali, forse ce l’ho nel dna. Mi è sempre piaciuto operare e programmare scambi e progetti con quelle regioni affascinanti, ho iniziato col marketing per passare poi alla ricerca fondi per programmi concreti, infine interessarmi di fondi europei”.
Mi accoglie nel suo bureau che definire raffinata galleria d’arte moderna forse non è tanto esagerato, tele e sculture del presente magnificamente incastonate in un palazzo rinascimentale.
“Andando in giro per il mondo con gli occhi aperti e le orecchie vigili (trasformeranno le più piccole scosse in grandi esperienze, recitava Vasilij Kandinskij, ndr) si percepiscono segnali ed esigenze concrete che poi occorre trasformare in business. La buona stella mi offerto una mano con un marito addentrato nel settore vitivinicolo in un territorio, Orvieto, di ottima tradizione per cui ho conosciuto l’ambiente dal di dentro, con i suoi pregi ed i suoi difetti. Ovvio che sono stata agevolata inizialmente, però sono vantaggi che se non si sfruttano si smarriscono nel vuoto”.
Tutto il pianeta è a conoscenza della scarsa funzionalità della pubblica amministrazione italiana, dei lacci della burocrazia nostrana, a tal punto che a volte pare intenda bloccare le idee e le iniziative dell’imprenditoria privata, che ne sia quasi infastidita. Così sembra.
“Il pubblico ed il privato devono muoversi nella stessa direzione e possibilmente con l’identica andatura, è un traguardo che bisogna raggiungere il prima possibile. Se l’economia genera utili è tutto il sistema Italia che ne trae vantaggio, chi in maniera diretta e chi in maniera indiretta. A volte gli industriali pare che siano una barchetta in pieno oceano, per fortuna i nostri imprenditori sanno coniugare perfettamente qualità e quantità ed i risultati ci premiano”.
Oramai già da qualche anno abbiamo ridotto il gap che ci differenziava dai francesi, in 30 anni siamo riusciti a cogliere risultati importanti con numeri di massimo rispetto, oggi i cuginetti ci osservano parecchio meno dall’alto in basso. Dappertutto tranne che in Cina. I cinesi nel 2015 hanno importato vino per 1836 milioni di Euro, la Francia ne ha esportato 813, l’Australia 408, il Cile 210, la Spagna 117 (in cinque anni ci ha superato) e noi appena 91 milioni.
“Sì, i francesi se ne sono accorti prima di noi ed hanno creduto in quell’area investendo parecchio sul mercato cinese. Non è un territorio facile, nel senso che ancora non hanno maturato cultura e tradizione per il vino per cui manca una certa stabilità e continuità di mercato, non sarà agevole colmare il divario che ci separa dai francesi ma ci proviamo. Proprio in questi giorni un nostro progetto presentato in partnership con Vinitaly-Veronafiere si è posizionato al primo posto nella graduatoria del bando nazionale della misura comunitaria Ocm Vino – Promozione sui mercati dei Paesi Terzi. Un’iniziativa che coinvolge 73 aziende di 13 regioni, Italian Wine Channel è una progettualità che mette in campo risorse per quasi 3,5 milioni di euro per il 2016-17 e prevede azioni mirate al mercato strategico di Cina e Hong Kong. Noi ci muoviamo e seminiamo, lo facciamo con professionalità ed impegno”.
Non è un paesaggio pianeggiante quello cinese, Giorgio Armani, che pure è un brand indiscusso, ammirato e seguito in Cina, per rientrare dai capitali investiti dovrà attendere un decennio. Situazione diversa, invece, è quella della Russia dove noi con l’agroalimentare avevamo conseguito risultati e numeri importanti poi per la questione con l’Ucraina gli scambi si interrompono e scatta l’embargo.
Una randellata miliardaria, l’Italia ci ha rimesso dal luglio 2014 qualcosa come 3,6 miliardi di euro.
“Per noi il mercato russo è importante. Diverse aziende vitivinicole sono in sofferenza, avevano raggiunto ottimi accordi ed instaurato cordialissimi rapporti. Ora, pare, stiano giungendo segnali di disgelo. Putin si sta muovendo in Crimea ove stanno piantando centinaia e centinaia di ettari di vigneti, naturalmente i primi anni si preoccuperanno esclusivamente della quantità ma poi punteranno anche alla qualità, per cui bisogna seguire bene gli sviluppi”.
La montagna Brexit ha partorito un topolino?
“Difficile da stabilire, sinora i segnali provenienti da oltre Manica appaiono poco chiari, a volte si legge che vogliono indire un nuovo referendum. Per il momento grossi scossoni non se ne sono registrati”.
La Corea invece fa ben sperare.
“In prospettiva i segnali sono fortemente positivi, però il vino non è come una maglia o una camicia, la indossi e ti piace, il vino necessita di tempo, di pazienza, serve predisposizione e cultura, a berlo basta un attimo a prepararlo servono anni”.
Oltre 500 aziende sinora hanno utilizzato la professionalità, la conoscenza e l’esperienza di Silvana Ballotta e di Business Strategies, aziende che producono oltre 100 milioni di bottiglie l’anno delle quali il 75% è destinato all’export, numeri che pongono SB leader ai vertici nazionali per la gestione dei fondi comunitari per la promozione.
Anche questo è Made in Italy.
Bruno Galante
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