Comincia l’avVentura
In Nazionale il dopo Antonio Conte si chiama Giampiero Ventura.
Il presidente federale Carlo Tavecchio non ci ha pensato su troppo nell’indicarlo come l’uomo giusto per una transizione tranquilla del progetto Italia.
In un momento in cui la nostra Nazionale maggiore ha come bisogno di rifiatare per rimettersi lungo binari di rinnovata crescita, la scelta pare giusta.
Ventura lo sa e non ha certo ambizioni di rivoluzione o sconvolgimenti, tanto è vero che già ha dichiarato di non alterare, al momento, moduli e tattiche e di appoggiarsi con sicurezza su uomini già collaudati.
È chiamato però anche a rinnovare, a inserire nel telaio forze fresche e nuove, energetiche, che abbiano il tempo di respirare l’azzurro, di farlo proprio e di mostrarsi meritevoli della maglia.
Insomma un bel cantiere aperto affidato a capomastro abile ed esperto.
Ho avuto modo, per motivi geografici vivendo a Torino, di seguire molto da vicino il percorso in granata di Ventura.
Ha lasciato il Torino del presidente Cairo dopo cinque anni nei quali ha raggiunto con caparbietà e intelligenza tutti gli obiettivi che la Società e lui si erano prefissi.
Il primo anno ha disinnescato un ambiente che era una polveriera di delusioni, ha rasserenato un clima teso, una tifoseria che la sola cosa che gli chiedeva era quella di ridare un po’ di dignità al blasone. Ebbene, ha centrato da subito, con sagacia e calma, la risalita in A.
Nel secondo ha ribadito il posto della squadra nel torneo di eccellenza, incominciando a mettere in vetrina ragazzi in gamba.
Il terzo anno ha scalato la classifica arrivando al posto in Europa League.
Nel quarto la squadra ha fatto la sua bella figura in Europa, con la perla assoluta della vittoria esterna al S. Mames contro l’Atletico Bilbao; infine nel quinto ha consolidato, sebbene un po’ al ribasso, le belle prestazioni delle annate precedenti.
La fisiologia tipica del rapporto società-allenatore in uso nel nostro bel paese sostiene che un lustro sia più sufficiente e che si debba, gioco forza, cambiare, vuoi per noia, vuoi per ghiribizzo di qualcuno, vuoi per contestazioni tifosi, vuoi, così, per il gusto di farlo o della novità.
E così anche per Ventura, malgrado tutto quanto sopra elencato, è arrivato il momento della separazione dal club di Cairo.
In qualunque altro ambito lavorativo che non fosse il calcio, non solo gli si sarebbe riconosciuta la piena fiducia, ma si sarebbe incentivato il suo lavoro.
Ma il calcio, si sa, è qualcosa di strano e anomalo, dove anche i risultati conseguiti hanno valore relativo e se solo gli si adagia sopra un granello di polvere, oltre a essere scordati, diventano anche ingombrati.
Nelle sue cinque stagioni in granata Ventura ha saputo suscitare ogni forma di sentimento: dalla ammirazione alla irritazione, dalle lodi alle critiche più severe, sovente ingrate e artificiose. Da parte sua ha tirato fuori tutte le sue qualità di tecnico e di uomo.
Come trainer ha saputo infondere fiducia, lanciare molti atleti che hanno fatto sorridere le casse cairote (Darmian, Glik, Cerci, Immobile, Maksimovic, Bruno Peres…), ha saputo dare un gioco alla squadra, ha saputo anche rinnovarsi in relazione alla rosa disponibile, in alcuni momenti ha tenuto in piedi, quasi da solo, il rapporto società-media. Come personalità umana ha manifestato soprattutto saggezza, capacità comunicative al di là del banale (certe interviste ai trainer sono patetiche in fatto di risposte), infondere calma nei momenti difficili.
Ha sempre creduto nel lavoro e mostrato una certa impermeabilità alle critiche, certo di quello che stava facendo.
In questa dimensione, credo che “l’esperimento Ventura” possa essere interessante per la nostra Nazionale.
Un traghettatore sapiente ed esperto, per certi versi una voce fuori dal coro, perché pacata, meno sensibile ai trambusti che scuotono il campionato, valutato che questo in azzurro, considerata l’età, potrebbe essere il canto conclusivo di una lunghissima carriera a tutti i livelli.
Franco Ossola
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