L’amatriciana nei nostri cuori
Queste mie righe vengono da una lunga riflessione, sofferta e animata. I pensieri che si affollano nella mia testa dopo quello che è successo, come per tutti noi, sono di grande dolore e di empatia nei confronti delle vittime del terremoto. Di quanti hanno perso familiari e amici ma anche di quelli che non hanno più niente, che hanno perso affetti, casa, oggetti di una vita, lavoro.
Trovare un aggancio per un articolo è più che scontato: Amatrice uguale amatriciana, ma come fare a scrivere di cucina in questi momenti?
Dopo una pausa riflessiva, ho deciso di parlarne ma con il preciso intento di rispettare e esaltare la storia e la cultura di una zona, che non è solo di Amatrice ma anche di tutto l’intorno di paesi coinvolti in quel territorio che appartiene a tre regioni del nostro bellissimo centro Italia, Lazio, Marche e Umbria.
Proprio dalla regionalità voglio iniziare.
L’amatriciana, pur avendo il nome del paese, di cui purtroppo tanto si parla, viene dai più considerato un piatto romano, infatti lo vediamo proposto dalla totalità delle trattorie e osterie della capitale nelle versioni più disparate, ognuna delle quali sbandierata come l’originale.
Ma da dove viene? Qual è la prima delle ricette di amatriciana che troviamo nei ricettari antichi?
Su suggerimento della docente di storia della cucina della mia scuola, Annamaria Evangelista, ho consultato un testo interessantissimo sulle parole della cucina italiana a cura di Massimo Arcangeli.
Sull’amatriciana i suoi studi e ricerche hanno portato intanto a determinare che è improprio considerarlo un piatto laziale in quanto Amatrice si trovava nella provincia de L’Aquila fino al 1927 e solo successivamente è entrata a far parte della provincia di Rieti e quindi del Lazio.
Questo piatto, perciò, è stato portato a Roma dai pastori abruzzesi e laziali, gli amatriciani, appunto, tanto che “matriciani” in romanesco vuol dire osterie.
L’espressione all’amatriciana o alla matriciana, come a volte viene accettato perché di uso comune, vuol dire all’italiana talvolta con valenza leggermente negativa, un po’ come dire alla buona, semplice, rozzo. Quindi la ricetta è talmente popolare sia in Italia che all’estero che il suo nome ha assunto altri significati.
Si trova già in una rivista americana del 1921 che la descrive dando suggerimenti su come sostituire il guanciale e dove trovare il pecorino romano.
In Italia la troviamo citata da Eugenio Rontini alla fine dell’800, come cibo da briganti ma la cui descrizione corrisponde al “cacio e pepe”.
Dare una ricetta precisa del sugo per la pasta all’amatriciana è impossibile.
Come tutti i piatti italiani tradizionali ogni luogo, quartiere, famiglia e addirittura persona ne da una versione diversa e tutte appellate come “quella vera“.
Non vorrei scatenare le ire degli esperti e mi limiterò a darne tre versioni gentilmente raccontate da altrettanti amici romani in modo da togliermi ogni responsabilità.
Intanto è bene precisare che prima dell’avvento del pomodoro l’amatriciana era quella che adesso si identifica con la Gricia, quindi l’amatriciana rossa la si può considerare la versione moderna della Gricia, il nuovo del passato diventa il tradizionale del presente e l’evoluzione del cibo va avanti.
Torniamo alla ricetta, due gli ingredienti fondamentali: il guanciale, speziato di pepe e talvolta di peperoncino e tenuto a stagionare in prossimità del caminetto tanto che ne assume un leggero tono affumicato, e il pecorino romano.
Il pomodoro è sempre presente nell’amatriciana e non nella Gricia e, grande dilemma, la cipolla, c’è o non c’è? Che ognuno decida ciò che preferisce!
Per 4 persone:
– 120 g di guanciale tagliato a dadini,
– 1 cucchiaio di olio evo,
– 1 cipolla media rossa, tritata o affettata,
– 400 g di passata di pomodoro (per ottenere un buon risultato meglio fatta in casa o pomodori in scatola bio e poi passati col passaverdura),
– pepe nero macinato fresco,
– sale q.b.,
– pecorino romano q.b., grattugiato fresco.
In un tegame dal fondo spesso grande abbastanza che possa contenere tutta la salsa, mettere l’olio e il guanciale. All’inizio far sudare il guanciale poi farlo diventare croccante nel modo desiderato. Toglierlo dal tegame e metterci la cipolla. Far rosolare a fuoco medio fino a doratura leggera, circa 15 minuti. Mettere la passata di pomodoro e fare tirare per circa 20 minuti e infine rimettere il guanciale con tutto il grasso che lo circonda. Regolare di sale e pepe. Con questa salsa condire la pasta preferita, bucatini, spaghetti o altro, comunque è buonissima. Servire con abbondante pecorino.
Versione 2
La stessa ricetta ma senza cipolla.
Versione 3
La stessa ma cipolla bianca battuta insieme a una parte del guanciale e maggiorana come aroma.
Gabriella Mari
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