Prima o poi ritroviamo un nonno ebreo
Se ti guardi indietro, dice un vecchio proverbio ebraico romanesco, scopri che tutti, prima o poi, ritroviamo un nonno ebreo.
Dalla Puglia gli ebrei furono cacciati nel 1492, nell’ultima grande espulsione dai regni cattolici, Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia. Nonostante le persecuzioni, la presenza ebraica nel Meridione, è ancora molto viva, incassata nelle tre nelle pietre e nei luoghi che la Giornata Europea della Cultura Ebraica di sabato scorso, 18 settembre ha reso visibili a tutti.
La memoria ebraica nel Sud vive a Napoli, ma anche a Trani, laddove gli ebrei pugliesi hanno riscoperto se stessi e sono ridiventati comunità, anche grazie all’impegno del maestro concertatore e facente funzioni di rabbino Francesco Lotoro che con una pazienza e una competenza certosina, ha raccolto tutti i brani musicali composti da ebrei deportati durante la Shoah.
Trani era un centro propulsore della cultura ebraica, fino al XV secolo aveva quattro sinagoghe. Da qualche anno è stato riaperta al culto la sinagoga in Shola Nova, da cui pare sia passato anche il grande pensatore e studioso ebreo Mnemonide.
Quando si parla di cultura ebraica vengono in mente Isaac Singer, autore del bellissimo Romanzo “La famiglia Moskat”, e premio Nobel per la letteratura del 1978, Gaucho Marx, Woody Allen, Hannah Arendt e Albert Einstein. L’ebraismo italiano ha i volti di Primo Levi, Giorgio Bassani, Eugenio Colorni, Enzo Sereni e tanti altri.
Ma la Giornata Europea della Cultura Ebraica ha anche acceso i riflettori su tante storie minime di ebrei normali, che hanno vissuto e patito la grande storia incarnandola in una vita che si fa memoria.
Gli ebrei in Italia c’erano già da molto prima dell’era cristiana.
L’ebraico è la lingua dell’anima, ma ha molti dialetti, dall’aramaico al sefardita all’yiddish degli ebrei askhenaziti dell’Europa orientale, al ladino degli ebrei delle valli.
Da studente e da giornalista ho sempre frequentato il Tempio Maggiore di Roma, molti dei miei amici sono ebrei romani. Il mio punto di riferimento ideale è sempre stato il grande ex rabbino capo di Roma Elio Toaff.
Non ci ho mai parlato ma ho sempre ascoltato le sue omelie e oggi mi piace ricordarlo come grande amico dell’ex presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, recentemente scomparso. Erano entrambi di Livorno, toscanacci dalla scorza dura e dal cuore tenero.
Ciampi, anche se può sembrare impossibile, al liceo, zoppicava in greco. Decise quindi di prendere lezioni private dal padre di Elio Toaff, professore di lettere classiche, il quale, essendo ebreo, era stato allontanato dall’insegnamento dopo le leggi razziali del 1938.
Studiando insieme Platone ed Euripide nacque tra i due ragazzi una amicizia fraterna. Elio era più grande di Carlo di 5 anni essendo nato nel 1915.
Dopo i drammatici fatti dell’8 settembre entrambi presero la decisione di aderire alla Resistenza e si ritrovarono insieme nella Brigata Giustizia e Libertà, che riuniva i partigiani di ispirazione liberale e azionista. Insieme scoprirono una delle stragi più efferate che il nazismo abbia perpetrato in Toscana, fu la loro Brigata infatti ad arrivare per prima a Sant’Anna di Stazzema, dove i tedeschi in ritirata avevano appena trucidato donne e bambini.
Gli italiani di religione ebraica, sono sempre stati una pietra miliare della nostra storia. Abbiamo anche avuto un ministro degli Esteri che nel primo Novecento cercò di scongiurare la nostra entrata nella prima guerra mondiale.
Sidney Sonnino era un finissimo diplomatico e riuscì ad ottenere una pace separata con l’Austria. Se non ci fosse stato l’attentato di Cesare Battisti noi saremmo rimasti neutrali, evitando quella che Papa Pio XI definì “L’inutile strage”.
Il ministro Sonnino era un grande italiano che non aveva mai sconfessato le sue ascendenze ebraiche.
Ma questa Giornata Europea della Cultura Ebraica, oltre che a fare memoria, è servita a scardinare vecchi e atavici pregiudizi.
L’idea pregiudiziale per cui gli ebrei siano avari, deriva, ad esempio, da un fraintendimento storico.
Siamo stati noi cristiani con la bolla di Papa Paolo IV, del 1504, a costringere gli ebrei nei ghetti e a farne solo medici e usurai perché queste due professioni erano considerate infamanti in quanto toccare i cadaveri e maneggiare denaro era ritenuto demoniaco.
Ma tutti i Papi sono stati curati da medici ebrei.
Si racconta che all’indomani dell’attentato del 1981, Giovanni Paolo II chiese di essere visitato dal medico ebreo Abolaf. A chi gli obiettava: “Santità, è ebreo!”. Il Papa avrebbe risposto: “Tutti i Papi sono stati curati da medici ebrei e anche Gesù lo era”.
Pare sia stato proprio il dottor Abolaf ad estrargli la pallottola che oggi è incastonata come ex voto nella corona della Madonna di Fatima, al cui intervento Woytjla ha sempre attribuito la sua salvezza.
La storia italiana è costellata di piccoli aneddoti che riguardano la popolazione ebraica.
Quando le truppe americane liberarono Roma, molti ufficiali statunitensi erano ebrei e gli ebrei romani che erano usciti dai conventi nei quali si erano nascosti per sfuggire alla persecuzione nazista non riuscivano a capirli, perché parlavano yiddish.
Loro capivano soltanto l’ebraico romanesco e si chiedevano stupiti: “Ma come cavolo parlano questi?”. Poi qualcuno aprì la Bibbia e cominciarono tutti a parlare ebraico. Si riconobbero e si abbracciarono.
Preferisco non raccontare ricordi personali ammantati di emozione, ma una cosa è certa, in tempi di inquietanti rigurgiti di antisemitismo, ognuno di noi dovrebbe riscoprire il suo quarto, o anche il suo sedicesimo di ebraicità. Ci ritroveremmo tutti più ricchi. Dentro.
Shalom!
Michele Pacciano
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