Nonni, padri, madri, figli e figlie, tutti prof universitari
Oramai è divenuta usanza consolidata quella di accusare la classe politica al governo sul mancato investimento nella cultura e nella scuola. Ci si lamenta sempre che una parte della meglio gioventù studentesca preferisce studiare e proseguire oltre i confini nazionali ed europei. La colpa è del ministro e del suo governo.
Di certo non sono esenti da colpe tutti quei politici che negli ultimi decenni si sono alternati alla guida dello Stato, da sinistra a destra e da destra a sinistra. Se nelle tantissime graduatorie degli atenei manco per sbaglio figura una nostra università tra le prime dieci non può essere solo e tutta colpa della classe politica, sarebbe da sciocchi addossare il 101% ai partiti. Perché sempre e comunque gli stanziamenti ci sono, si tratta poi di comprendere come vengono utilizzati e se qualcuno si prende la briga di controllare.
Diverse volte il Miur, Ministero Istruzione Università e Ricerca, ha bacchettato i magnifici rettori per lo spreco ed il disinteresse mostrato nell’interesse collettivo per privilegiarne pochi o pochissimi.
Per rendere meglio il pensiero forse è sufficiente rammentare che in Italia vi sono 95 università ma da noi si laureano meno studenti che in Cile, che vi è un super proliferare di sedi distaccate anche nei villaggi sperduti delle estreme periferie.
Per poi accorgersi che vi sono oltre 5.000 corsi di laurea, alcuni con 2 o 3 studenti, e che sono oltre il doppio degli altri Paesi europei.
Tutta questa genialità ed inventiva principalmente per creare cattedre e posti per professori non tenendo in alcuna considerazione l’interesse dello studente, ovviamente ciò agevola lo spreco e lo sperperio del danaro di tutti noi.
Se poi apriamo i cassetti della memoria e rispolveriamo le prime università del globo e ci accorgiamo che le più antiche sono state aperte nella penisola, allora ci coglie lo scoramento. Oggi nelle graduatorie figuriamo, le migliori, intorno al 200° posto, roba da non farsi vedere in giro per evitare fischi e pernacchie.
Naturalmente vi sono le eccezioni e le eccellenze ma è solo perché abbiamo chi non guarda al tornaconto personale o familiare o di clan ma a quello della collettività. Forse non sono troppi ma ve ne sono. La meritocrazia spessissimo nella pubblica amministrazione è un termine sconosciuto ma in qualche vocabolario lo si trova.
Raffaele Cantone, responsabile dell’Anac, l’Autorità Nazionale AntiCorruzione, di recente ha dichiarato che sono subissati da esposti e denunce su questioni universitarie e particolarmente sui concorsi. Ha citato un esempio che fotografa alcune realtà: “In un’università del Sud è stato istituzionalizzato uno ‘scambio’, in una facoltà giuridica è stata istituita una cattedra di storia greca mentre in una facoltà letteraria è stata inserita una cattedra di istituzioni di diritto pubblico. Entrambi i titolari erano figli di professori di altre università”. È stata attuata la regola del do ut des, io do una cosa a te e tu una a me.
Poi succede che vi è gente con titoli e meriti che resta alla finestra per anni o che nauseata da tanto marciume preferisce deporre tutto in valigia e salire sul primo aereo.
Quanto vergognoso e penalizzante sia un certo apparato universitario lo si riscontra nelle omonimie, tra gli oltre 61.000 professori ci sono 7.000 casi di omonimia, però da questa casistica sono escluse le mogli che portano un cognome differente ma che rappresentano un numero considerevole.
Il tarlo universitario è definito nepotismo.
Pochissimi anni fa all’ateneo barese scoppiò parentopoli, si scoprì che nella stessa facoltà dirigevano e gestivano otto componenti della identica dinastia, tutti e otto geni e scienziati, incarichi che si tramandano di generazione in generazione.
D’altronde è anche giusto così perché se in quegli alberi genealogici sono assenti i cretini e gli imbecilli ed in compenso esiste una rigogliosa fioritura di supermenti e di quozienti intellettivi di gran lunga superiori alla media, per il bene collettivo nazionale è giusto che mettano a disposizione dell’Italia tutta il loro sapere e il loro altruismo.
Poco importa se la corruzione e le baronie generano ed incrementano la fuga di cervelli.
Federico Formenti è un professore associato di Scienze Motorie al King’s College di Londra, è in giro per il mondo da tredici anni, dottorato a Manchester, quattro anni di post-dottorato ad Oxford, una barcata di pubblicazioni scientifiche. Curriculum di massimo rispetto.
Pur di rientrare in Italia accetta il declassamento e partecipa ad un concorso da ricercatore in Metodi e Didattiche delle attività sportive nel 2010 a Verona.
Formenti è in possesso dei requisiti, detiene titoli e meriti. La commissione assegna l’incarico ad una laureata in Fisica che c’entra come i cavoli a merenda. Presenta ricorso al Tar di Venezia nel 2012 e questo gli da ragione.
Rifanno il concorso e la commissione ancora una volta premia la laureata in Fisica. Secondo ricorso e seconda ragione nel 2015. L’università fa ricorso al Consiglio di Stato che gli da torto. A questo punto logica e buon senso sostengono che l’incarico da ricercatore dovrebbe essere assegnato al prof 39enne. Ma a Verona ancora non si sono convinti e non hanno deciso.
Federico Formenti è solo uno dei tanti.
la Redazione
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