Shimon Peres, il pioniere ed il costruttore di pace
Si potrebbero dire molte cose su Shimon Peres. E tutte adesso risulterebbero vuote, retoriche inconcludenti, tutte inadatte per descrivere un uomo che ha fatto la storia di uno Stato e di un popolo, che ha lottato sempre e comunque per costruire una pace possibile nella terra in cui, come diceva Ben Gurion: chi non crede ai miracoli non è realista.
Se n’è andato l’ultimo grande vecchio eroe di Israele, il fine diplomatico che non ha mai lesinato di dialogare con i nemici pur di salvare una terra e un’identità. Ho tanti aneddoti, riposti nella memoria di molti amici e nella mia personale, ma mi piace ricordare il presidente con una sua frase: “Il grande contributo degli ebrei alla storia è l’insoddisfazione, ogni cosa che esiste noi cerchiamo di cambiarla in meglio”.
Qui si riassume tutta la cifra, la storia e la politica di Shimon Peres.
Una vita, la sua, spesa tutta per il sogno sionista di un focolare ebraico in Palestina.
Nato il 2 agosto 1923 a Visneva, un paesino bielorusso, quando questa città apparteneva ancora alla Polonia, da Yitzhak, ricco commerciante di legname, e Sara Perski, libraia. Il padre emigrò nel 1932 in Palestina e la sua famiglia lo seguì nel 1934, insediandosi a Tel Aviv cinque anni prima dell’occupazione della Polonia da parte dei nazisti.
È stato sposato con Sonya Gelman, figlia di un docente alla scuola di Ben Shemen.
Ha trascorso diversi anni nel kibbutz Geva e nell’Alumot, di cui fu uno dei fondatori, qui venne scelto da Levi Eshkol tra gli organizzatori del movimento giovanile laburista Hanoar Haoved, nel 1943 eletto segretario e fu delegato nel 1946 al 22º Congresso Mondiale Sionista dove incontrò David Ben-Gurion. Nel 1947 arruolato nell’Haganah (nucleo delle future Forze di Difesa Israeliane), scelto da Ben-Gurion insieme ad altri giovani e nominato come responsabile per il personale e l’acquisto delle armi. Nel 1948, divenne capo della marina israeliana durante la guerra di indipendenza del nuovo Stato israeliano.
Nel 1959 eletto alla Knesset, come membro del Partito Mapai. Fino al 1965 lavorò al Ministero della Difesa. Nel 1969 è nominato Ministro dell’Assorbimento e nel 1970 Ministro dei Trasporti e Comunicazioni.
Dopo che Golda Meir aveva dato le dimissioni da Primo Ministro nel 1974 a causa delle conseguenze della Guerra del Kippur, Peres ebbe la possibilità di candidarsi come premier, si trovò di fronte come rivale Yitzhak Rabin, collega di partito, ma eterno avversario nella leadership del Partito Laburista e del Governo.
Peres, in questa occasione, perse per 298 voti a 254 ma ottenne la carica di Ministro della Difesa nel governo Rabin dopo un breve periodo come Ministro dell’Informazione.
La sua attività diplomatica in questi anni fu molto viva: rinforzò e rivitalizzò le forze di difesa israeliane e partecipò ai negoziati di pace con l’Egitto. Nel 1977 ottenne per la prima volta la carica di Primo Ministro ad interim per breve periodo, dopo le dimissioni di Rabin.
Alle elezioni del 1984 Peres divenne Primo Ministro, ma, nonostante la maggioranza ricevuta dalle urne e a causa della grave situazione economica, si costituì una coalizione di governo formata dal Partito Laburista, dal partito avversario Likud e da altri partiti minori.
Nel 1994, in seguito agli Accordi di Oslo, Shimon Peres raggiunse l’apice della carriera politica e gli fu assegnato il Premio Nobel per la Pace con Yitzhak Rabin e Yasser Arafat. È rimasto difensore deciso degli accordi e dell’Autorità Palestinese dopo l’inizio delle due Intifada. Tuttavia sostenne la politica di Ariel Sharon di usare le forze armate israeliane per contrastare la guerriglia palestinese e per sradicarne l’infrastruttura politica e militare.
In questi anni Peres è stato spesso “ambasciatore” non ufficiale di Israele, soprattutto quando si trovava all’opposizione, grazie al prestigio acquistato nell’opinione pubblica internazionale e negli ambienti diplomatici.
Dopo la sconfitta del Partito Laburista di Barak da parte di Ariel Sharon nelle elezioni del 2001, Peres ha costruito ancora una volta il suo ritorno sulle scene politiche sostituendo Barak alla leadership di partito.
Il 13 giugno 2007 è stato eletto presidente dello Stato di Israele, con 86 voti a favore e 23 contrari al secondo scrutinio come unico candidato. Peres è stato il nono presidente di Israele da luglio 2007, concludendo una carriera parlamentare cominciata nel 1959.
Il 13 settembre 2016 viene colto da un’ischemia cerebrale e ricoverato in coma indotto presso il Tel Aviv HaShomer Hospital. Muore il 28 settembre.
Nella sua lunga carriera diplomatica ha provato soprattutto a risolvere il problema di Gaza e per un certo tempo ha sperato che re Hussein di Giordania potesse essere un partner nei negoziati con gli Arabi e con Yasser Arafat. Lo incontrò segretamente a Londra nel 1987 e cercò una base di negoziazione con lui. Ben presto scoppiò la prima Intifada e la plausibilità di re Hussein come partner di Israele nella risoluzione del problema di Gaza svanì. In seguito Peres si mosse sempre più verso un dialogo con l’OLP anche se evitò di prendere un impegno diretto fino al 1993.
Il successo in questa direzione politica e diplomatica Peres lo ottenne con gli Accordi di Oslo a cui è sempre stato molto vicino più di qualsiasi altro politico di Israele. È rimasto sempre coerente agli accordi e all’Autorità Palestinese anche durante la Prima Intifada e la Seconda Intifada.
Ha sempre appoggiato la politica militare di Ariel Sharon per una difesa israeliana contro i kamikaze palestinesi. In pratica accanto allo sviluppo economico e alla pacificazione della zona, Peres ha sempre puntato anche alla sicurezza interna ad ogni costo.
Peres sembra muoversi soprattutto su livelli diplomatici, comprendendo che l’azione dura e violenta verso i territori occupati non produce grossi risultati e che per difendere il nucleo dello Stato d’Israele occorre fare delle concessioni a discapito dei coloni.
Sono tanti gli aneddoti personali e privati. Come ricorda, un mio giovane amico israeliano, Dario, un ebreo italiano che da due anni vive in Israele, e che ha sempre coltivato la passione del giornalismo e della storia, Peres conobbe Ben Gurion che era poco più di un ragazzino, facendo autostop lungo una strada assolata e polverosa come migliaia ce ne sono in Israele. Solo che allora Israele non c’era, era ancora un sogno in gestazione che trovò la forza per alzarsi e camminare nelle braccia di una generazione di pionieri che con oggi perde il suo ultimo illustre rappresentante.
Quell’incontro casuale, ma che ci piace pensare non sia avvenuto del tutto per caso, cambiò per sempre la vita di quel giovane uomo, e in prospettiva quella di tutti noi cittadini di questo Stato. Era decisamente un mondo diverso, senza autisti e senza auto blu, dove anche un leader come Ben Gurion non tirava dritto davanti a un pollice alzato.
Lo stato d’Israele che conosciamo oggi è nato anche nello spazio angusto di quell’abitacolo, nello scambio di conversazione tra due uomini, nel bene e nel male eccentrici ed eccezionali.
Il vecchio Shimon sapeva cogliere il respiro della storia, nei momenti più drammatici dello Stato di Israele ha sempre cercato una via di dialogo, anche per dare ai militari il tempo di preparare la strada per una nuova difesa. Non era l’uomo della pace ad ogni costo, sapeva di dover morire a se stesso per andare incontro al nemico storico.
Dietro gli accordi di Oslo del 1993, che aprirono una stagione di speranze, poi finite nella nebbia sotto il fuoco degli attentati dei terroristi di Hamas, c’era lui, era lui il grande tessitore degli accordi preparatori di Ginevra e degli incontri informali della diplomazia parallela.
Era lui, insieme al generale che non sorrideva mai, Yitzhak Rabin, a predisporre il raid israeliano di Entebbe che nel 1977 con un’operazione di commando denominata “Tunderball” salvò gli ebrei prigionieri in Uganda, dove trovò la morte il colonnello Yoni Netanyahu, fratello dell’attuale primo ministro israeliano, caduto per coprire la fuga dei compagni. Era lui, infine a credere nell’alleanza tra le due grandi matrici d’Israele, quella conservatrice del Likud, identificata da Ariel Sharon, e quella laburista che lui stesso rappresentava.
Con questo ultimo sogno, dopo il Premio Nobel per la pace dette vita insieme con Sharon alla formazione di centro Kadima, con cui voleva superare l’impasse politica della classe dirigente israeliana. Quest’ultima utopia si è infranta con la morte prima di Sharon e poi di Peres.
Da ultimo voglio annotare un ricordo americano del presidente. Era cugino di sangue di Laureen Bacall, una delle attrici più belle e più pagate di Hollywood, la moglie di Humphrey Bogart. Quando andò al Queens, a New York, per i suoi funerali, rifiutò di rispondere ai giornalisti:
“Sono qui in forma assolutamente privata”, disse. Anche questo era Shimon Peres, schivo e granitico, affabile ed enigmatico, a volte anche amletico.
Per quanto possa apparire sconfortante oggi, senza più Padri fondatori la politica israeliana è chiamata ad un esame di maturità che richiede pragmatismo e lungimiranza. La pace non è mai apparsa così lontana, ma dobbiamo continuare a credere come faceva Shimon Peres, che non ci siano reali alternative ad una pace possibile. Il vecchio polacco, laico e sionista lo sapeva. E senza di lui oggi siamo tutti più orfani è più soli. Con un sogno di libertà che non muore, ma che deve ogni giorno confrontarsi con una realtà di guerra.
Tutto il mondo piange l’ultimo grande Vecchio di Israele. Anche il presidente dell’autorità nazionale palestinese Abu Mazen partecipa ai suoi funerali. La bara avvolta nella bandiera. Forse anche da morto Peres servirà la pace.
Che la terra ti sia lieve, Presidente.
“Am Israel Chai, lo spirito d’Israele, vive”
Michele Pacciano
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