Dovere dell’intelligenza
“Studi Cattolici”, mensile di studi e attualità, diretto incessantemente da Cesare Cavalleri, nel numero di luglio-agosto del suo anno 60°, ha proposto ai lettori un inedito quasi testamentario di Emanuele Samek Ludovici sulle regole “per educarsi all’intelligenza”. È la trascrizione dell’ultima conferenza pubblica che il trentottenne pensatore svolse poche settimane prima dell’incidente stradale del 17 aprile 1981 per cui finì in sala chirurgica morendovi il 5 maggio.
Chi ne ha letto almeno il saggio “Metamorfosi della gnosi” sa quale filosofo perdette il mondo. Certo Augusto Del Noce e Vittorio Mathieu ne furono consapevoli.
C’è qualcuno che non desidera essere intelligente? C’è qualcuno che non ritiene di essere intelligente? E non si ambisce tutti d’esserlo di più? Ben vengano regole per propiziare l’intelligenza: se non altro possono almeno placcare le sortite della nostra stupidità di cui ci informa con abbondanza di “scienzaggini” Piergiorgio Odifreddi.
Samek Ludovici offre 13 regole osservando che servono in particolare alle donne cui accade che siano succube di “un’immagine che non le aiuta a interpretarsi come esseri intelligenti” quando invece “lo sono quanto gli uomini se non qualche volta di più”. Le compendio con minime integrazioni.
- 1. Prima di tutto ricordiamoci che l’intelligenza è un dovere, non è facoltativa. “Meglio un infelice intelligente che un uomo felice ma idiota, ingannato.”
- 2. Educhiamo noi stessi e gli altri a un linguaggio significativo. Chi non dispone di parole non ha le cose. “La perdita delle nostre capacità di significare attraverso il nostro linguaggio nel mondo è una perdita del mondo.” Per questo motivo Samek Ludovici si sofferma a smascherare la stupidità linguistica del turpiloquio e a stigmatizzare la miseria linguistica di molti ragazzi.
- 3. Bisogna avere uno stile. Nel teatro dell’esistenza non conta tanto il ruolo che abbiamo quanto “come” lo recitiamo. Importa che lo interpretiamo “come Dio vuole che lo facciamo”. Plotino sosteneva questo in uno dei suoi trattati sulla Provvidenza. Un buon antidoto alla competitività che ci avvelena.
- 4. Occorre sorvegliare la fantasia negativa, quel fantasticare che è fuga dalla vita, dalle persone dalla parte e dal luogo che ci sono assegnati. “Madame Bovary” di Flaubert presenta un’analisi classica di simile deriva. Un autore spirituale la chiama la “mistica del magari”. È importante “escludere il fantasticare, accettare la nostra esistenza come un destino, accettare le opere da compiere, le persone che amiamo, quelle che ci stanno intorno, perché a loro dobbiamo rendere la nostra esistenza. Il controllo della fantasia ci dà il senso della realtà […] perché è andando contro l’ostacolo che divento grande perché faccio lo sforzo di superarlo.”
- 5. La quinta regola è l’educazione alla volontà di verità, a quel voler sapere come stanno le cose che è la caratteristica di ogni uomo in quanto filosofo, come affermava Aristotele. Già Carlo Cipolla nel 1976 fissava 5 leggi fondamentali della stupidità umana. Samek Ludovici, invece, indica 5 regole per individuare lo stupido.
Primo: lo stupido ci danneggia senza saperlo.
Secondo: lo stupido è più pericoloso del malvagio perché questi talvolta si riposa, l’altro è sempre all’opera.
Terzo: lo stupido non sa mai di essere stupido.
Quarto: si è stupidi indipendentemente dalla posizione sociale e da ciò che si possiede.
Quinto: l’intelligente capisce perché lo stupido fa carriera. - 6. Dobbiamo sapere rettificarci. È intelligente non chi non sbaglia, ma chi sa rettificare. La “retractatio” ha trovato la fedeltà degli spiriti più nobili e geniali. Si potrebbe aggiungere che anche correggere gli altri sviluppa l’intelligenza e, per di più, è squisita opera di misericordia spirituale.
- 7. All’intelligenza è essenziale una certa solitudine. L’amicizia e la compagnia sono preziose, ma è da soli che scopriamo ciò che è fondamentale per le nostre persone. Pascal diceva che non riuscire a stare da solo in una stanza è il problema dell’uomo.
- 8. Non può mancare “l’educazione all’autoironia”. “Non essere così seri come un tedesco morto un giorno prima” diceva Heine. Non ignoriamo la dimensione giocosa dell’esistenza, non prendiamoci troppo sul serio.
- 9. Facciamo attenzione a non infliggere sofferenze agli altri. La Rochefoucauld, moralista principe del ‘600, scriveva: “Non c’è uomo tanto intelligente da conoscere il male che fa.” Samek Ludovici rovescia in positivo l’aforisma: “l’uomo intelligente dispiega tutti i suoi sforzi per poter conoscere e prevedere tutto il male che fa”. Eccoci sospinti nella virtù della carità: alla fine si diventa estremamente delicati con gli altri.
- 10. Capire che “l’intelligenza da sola non basta”. Chesterton in “Ortodossia” trafiggeva l’intelligente stupido: “Il pazzo non è colui che ha perso la ragione, ma è colui che ha perso tutto eccetto la ragione”.
- 11. La regola undicesima “ci permette di supporre che a essere intelligenti siano gli altri e non noi”. Solo chi è intelligente scopre l’intelligenza negli altri. È intelligente perché sa ammirare e non cede all’invidia. È meschinità non riconoscere l’intelligenza altrui, è magnanimità riconoscerla e inchinarsi. Così può succedere che un uomo che si considera senza genio condivida la grandezza del genio avendo il genio del genio: quel che Gustave Thibon riconosceva a se stesso davanti a quel prodigio di intelligenza che fu Simone Weil.
- 12. Bisogna educarci allo spirito di meraviglia. In sostanza si deve recuperare il meglio dell’infanzia, lo stupore tipico dei bambini, “quello di chi entra nella stanza la mattina di Natale e vede nell’angelo di cartone un angelo vero”. Meravigliarci perché esistiamo, “ringraziare per il fatto che ci siamo”
- 13. Infine si diventa intelligenti “se ci esercitiamo a contemplare la morte” che più di ogni evento fa capire la vita che possediamo e conduciamo. Da tale capacità di contemplazione sorge la capacità di discernere tra ciò che è importante e ciò che non lo è, fra le cose necessarie e le cose risibili.
Sì, c’è da curare l’intelligenza, non dimenticando le insidie della stupidità. Alessandro Spina, il grande scrittore siriano-maronita, chiudeva una sua recensione citando una confidenza del filosofo e mistico Al-Ghazali:
“Gesù mi ha detto: Non mi è stato impossibile riportare in vita i morti, ma mi è stato impossibile guarire lo stupido”.
Basilio Gavazzeni
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