Facendo “sistema” i nostri vini conquistano il mondo
Se l’Italia ha ottenuto risultati eccellenti a livello planetario nel settore dell’agroalimentare e vitivinicolo è anche perché è riuscita a fare sistema e squadra. In pochissimi lustri abbiamo scalato la graduatoria ed oggi in diversi comparti occupiamo posizioni dominanti.
Quello che è accaduto per la vigna ed il vino è un qualcosa di unico. Nel giro di 30 anni siamo passati dalla polvere, e forse anche al di sotto della polvere, alle galassie delle eccellenze. Rimane ancora tanto da fare ma soprattutto non ci si può sedere sui primati e sui risultati conquistati.
Ne ho parlato con Antonio Rallo, dal 17 maggio presidente dell’Uiv, Unione Italiana Vini. L’Uiv è una sigla poco conosciuta al di fuori degli specialisti della materia però nasce nel 1895 ed è l’insieme di 500 aziende che significano il 70% del nettare italiano esportato, è l’insieme di tre Federazioni (Commercio Vinicolo, Industriali Vinicoli oltre a Viticoltori e Produttori Vinicoli).
L’impegno è quello di tutelare gli interessi politici, garantire lo sviluppo settoriale in linea con le regole della trasparenza e del libero mercato, ma innanzitutto promuovere la cultura della vite e del vino nella penisola e nel mondo. La sua rete di laboratori, con Verona sede centrale, è in grado di garantire quotidianamente la genuinità e la qualità sensoriale dei prodotti, specie sulle produzioni a denominazione di origine e indicazione geografica, come pure collabora con la Grande distribuzione organizzata per la scelta e il monitoraggio della costanza qualitativa delle forniture.
Succede a Domenico Zonin e rimarrà in carica per tre anni. Tra i meriti di Zonin vi è quello di aver saputo coinvolgere le aziende alla vita associativa, aver saputo affrontare le tematiche del momento, come pure assumere decisioni rapide sugli orientamenti politici e veloci nel fornire risposte alle istituzioni, al mercato e alla politica.
Antonio Rallo vive tra le vigne e le botti da cinque generazioni, classe 1967 è ad di Donnafugata che possiede vigneti e cantine a Contessa Entellina, Pantelleria e Marsala.
Le previsioni per la vendemmia 2016 sono favorevoli alla qualità ed anche alla qualità, un’ottima annata simile a quella del 2015. In attesa di conoscere i prossimi dati guardiamo a ciò che succede oggi con uno sguardo a ieri.
I francesi hanno scoperto con larghissimo anticipo il mercato cinese che, nel 2015, ha importato vino per 1836 milioni di Euro: la Francia ne ha esportato 813, e noi appena 91 milioni. Quanti anni ci vorranno per colmare questo gap? Come mai una sottovalutazione così errata?
“I francesi hanno iniziato molto tempo prima di noi ad esportare le loro eccellenze nel mondo e, quindi, in Cina. La nostra, invece, è una storia recente che inizia attorno agli anni 2000 quando la Francia era già molto affermata sul mercato cinese. Quindi non parlerei di sottovalutazione: siamo solo partiti, e quindi arrivati, molto più tardi. Certamente però, oggi, il differenziale con i francesi è consistente e dobbiamo recuperarlo, ma non tanto per una sfida nazionalistica con i cugini d’oltralpe quanto perché, la Cina, rappresenta un mercato complesso ma con potenzialità di crescita straordinarie. Ed affermarsi in quel paese significa consolidare le fondamenta per lo sviluppo futuro del nostro export. Previsioni temporali è difficile farne perché le variabili nei mercati internazionali sono sempre tante e imprevedibili. Però, l’esperienza che abbiamo avuto, ad esempio, con il grande festival promosso dal colosso internet di Alibaba, lo scorso 9 settembre, ha dimostrato che, quando ci muoviamo come sistema paese, arriviamo subito a risultati positivi. In quel giorno il gap lo abbiamo colmato e ci siamo collocati appena sotto i francesi. Adesso dobbiamo rendere strutturale questo successo episodico, ma tutte le premesse di un buon lavoro tra imprese e istituzioni, oggi, ci sono”.
Ci siamo riconfermati primi nel vino e nelle bollicine come quantità, ma nella qualità?
“I record che ormai da diversi anni sta mietendo il nostro export testimonia quanto l’eccellenza dei vini italiani sia riconosciuta e affermata a livello internazionale. Il problema non è la qualità, sulla quale non temiamo confronti, ma il valore. Mi piace, a tal proposito, ricordare l’aneddoto raccontato da Matteo Renzi all’ultimo Vinitaly sull’incontro col presidente francese ‘Quando ho detto a François Hollande: Il nostro vino è migliore di quello francese’, mi ha risposto: ‘Forse, ma il nostro è più caro‘. E ha vinto lui’. In questo scambio di battute è racchiusa, la nostra sfida del futuro, che si gioca sul valore che il vino italiano riuscirà a conquistarsi nei diversi mercati internazionali. E nella battaglia del valore non entra in gioco solo la qualità organolettica percepita dal consumatore, ma un complesso di fattori immateriali, vedi storia, territorio, tradizioni, enogastronomia, turismo, di cui siamo ricchi ma che dobbiamo imparare a proporre in maniera ancora più organizzata ed efficace”.
Sinora il Brexit è stata la montagna che ha partorito il topolino, ma in futuro il topolino crescerà?
“È presto per dirlo, anche se i timori sono fondati. Il Regno Unito è il terzo mercato di esportazione del vino italiano (3,2 milioni di ettolitri per 746 milioni di euro nel 2015), il primo per gli spumanti, e nel semestre gennaio-giugno 2016, siamo cresciuti del 12% in valore, passando dai 233,7 a 261,7 milioni di sterline, confermandoci al secondo posto dopo la Francia con uno share assestatosi al 21%. La Gran Bretagna è un paese, strategico per le nostre esportazioni. Ma nutriamo due preoccupazioni: la prima legata all’indebolimento della sterlina sull’euro che porterebbe un aumento del prezzo dei vini italiani rispetto a quelli di altri paesi; la seconda, riguarda gli accordi commerciali che si stabiliranno con il Regno Unito a conclusione del percorso del Brexit, previsto non prima del 2018. Abbiamo due anni per lavorare con le istituzioni italiane ed europee al fine di raggiungere un accordo soddisfacente soprattutto sui temi della tassazione, della semplificazione amministrativa e della libera circolazione delle merci. Ci siamo già attivati in sede di Comité Vin, la federazione europea del settore vitivinicolo, con i colleghi inglesi della Wsta, Wine and Spirits Trade Association, per definire una linea comune che garantisca il consolidamento e il miglioramento dei rapporti commerciali con la Gran Bretagna, perlomeno nel nostro comparto. Le premesse ci sono: a differenza dei valori dell’interscambio complessivo Gran Bretagna-Ue che, attualmente sono a favore del continente, il settore vino-superalcolici è in equilibrio grazie alla quota di export inglese rappresentata dal whisky”.
Noi italiani siamo insuperabili come individualisti, molto meno se dobbiamo presentarci in gruppo e, sembra, che non riusciamo a capire che lo stare insieme genera benefici per tutti. Gli imprenditori spessissimo all’estero sono allo sbaraglio, non supportati adeguatamente dalla classe politica e dalle banche, a differenza dei francesi che riescono a fare squadra in modo massiccio: è tanto difficile smuovere questo macigno?
“Sono diversi i fattori la cui convergenza, in passato e purtroppo ancora oggi, rallenta la costruzione di un ‘sistema paese’ in grado di supportare efficacemente la valorizzazione dei nostri prodotti all’estero: poca sensibilità della politica e delle istituzioni pubbliche ma anche private, vedi banche, assicurazioni, ecc., inefficienza dell’apparato burocratico-amministrativo. Così come un atteggiamento degli imprenditori che non ha favorito lo sviluppo di gruppi, associazioni e consorzi per la promozione delle nostre produzioni all’estero. Negli ultimi tempi qualcosa è cambiata. L’Expo di Milano, il piano straordinario di promozione del Made in Italy messo a punto dalla ministro Calenda, il Testo Unico del vino, sono solo alcuni esempi felici di come l’atteggiamento complessivo stia cambiando con risultati positivi. Dovuto anche ad una rivalutazione ‘culturale’ del wine & food italiano nell’opinione pubblica così come nella classe politica, del Paese. Adesso dobbiamo proseguire su questa strada”.
Meglio tardi che mai si potrebbe dire, intanto godiamoci questi risultati in attesa delle prossime manifestazioni fieristiche che dovrebbero confermare il trend di crescita e le recenti ottime performance.
Bruno Galante
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