4 novembre 1966 l’Arno devasta Firenze
La sera di giovedì 3 novembre 1966 al cinema Arlecchino proiettano “Le piacevoli notti” con Gina Lollobrigida, Vittorio Gassman e Ugo Tognazzi regia di Crispino e Lucignani mentre al Capitol gli appassionati giallisti possono godersi un film di Alfred Hitchcock “Il sipario strappato” con due protagonisti eccezionali Julie Andrews e Paul Newman.
Su Firenze e Arezzo in 48 ore stanno venendo giù secchiate d’acqua impressionante.
A Badia Agnano (Arezzo) 437 mm in due giorni, parecchio più che in un mese piovoso come novembre, e in 24 ore 338 mm, a Camaldoli 209 mm, a Stia 207 mm, a Vallombrosa 203 mm, a San Giovanni Valdarno 227 mm, a Fiesole 182 mm, a Bagno a Ripoli 180 mm, a Firenze 173 mm.
L’Arno nel Casentino quella sera poco piacevole, a dispetto della pellicola di Crispino e Lucignani, a Subbiano raggiunge l’altezza di 10,58 m., il livello di guardia scattava a 3,50 m.
La Sieve, il maggiore affluente dell’Arno prima di Firenze, a Fornacina è a 6,90 m con un livello di guardia a 3,50.
La mattina del 4 novembre poco prima delle 5 straripa a Firenze Sud nella zona Rovezzano, sul lungarno Acciaioli e sul lungarno delle Grazie.
Chi abita nei seminterrati e al piano terra chiude tutto e cerca un riparo più tranquillo. In una manciata di ore due terzi della città è sommersa dalla furia dell’Arno alcuni quartieri si trasformano in lago melmoso.
Immensi patrimoni dell’arte e della cultura rischiano di scomparire. La capitale mondiale del Rinascimento è in ginocchio.
Il fiume porta e trasporta di tutto, a tratti sembra vi siano isole galleggianti e in movimento, tronchi e rami giganteschi incutono timore.
La preoccupazione maggiore dei fiorentini è tutta per Ponte Vecchio. Riuscirà a reggere la forza d’urto della piena?
Manca l’acqua, interrotti i collegamenti telefonici, l’erogazione dell’energia elettrica avviene solo in quelle zone posizionate di alcuni metri sopra il livello dell’Arno.
Chiuse quasi tutte le strade statali e provinciali, i treni sono bloccati come pure l’Autostrada del Sole nel tratto fiorentino. La situazione negli ospedali è drammatica.
Lo Stato centrale è assente, la pubblica amministrazione lenta e inefficiente.
Come sempre accade sono i Vigili del Fuoco a tamponare e intervenire con spirito di sacrificio ammirevole, instancabili e indomiti. Tutti meritevoli di medaglia e pergamena con bordo dorato.
Gran parte delle botteghe subiscono l’alluvione, la ricchezza artigianale fiorentina finisce sotto il fango.
La Biblioteca Nazionale con i suoi milioni di volumi è tra le prime ad essere colpite, un patrimonio immenso della cultura italiana e mondiale galleggia paurosamente.
La Basilica di Santa Croce, Pantheon delle glorie artistiche italiane, diventa un laghetto con il Crocifisso del Cimabue travolto dal fango e con una importante parte pittorica irrecuperabile.
Anche Piazza Duomo subisce l’umiliazione. Alcune formelle della Porta del Paradiso, del Ghiberti, del Battistero si staccano e finiscono nella melma dove rimangono per diversi giorni.
Si calcola che siano esondati 70 milioni di metri di acqua, si conteranno 17 morti a Firenze e 18 in provincia. Uno stuolo innumerevole di persone rimane senza casa, senza bottega, senza attività.
Un disastro nella comunicazione, nessuno è stato in grado di prevedere quello che poi accade, nessuno informa su quello che sta succedendo, all’alba del 4 la radio zitta, la televisione zitta.
Eppure le avvisaglie concrete nell’aretino vi erano state. Molti fiorentini si accorgono dello straripamento dalla finestra o mentre si trovano in strada.
Don Giampietro Ganucci, parroco di San Niccolò sotto il Piazzale Michelangelo, alle 5 riceve una telefonata corre in chiesa prende il Santissimo, i registri dei battesimi e dei matrimoni e li mette al riparo.
In poche ore l’acqua in alcune zone supera i 5 metri.
Su tutti i ponti è vietato circolare.
Ponte Vecchio regge l’urto delle prime ondate. La paura è l’acqua che continua a crescere ma anche, o forse soprattutto, tutto ciò che trascina specie quei tronconi che possono divenire dei siluri.
Firenze politica vive giornate turbolente, le elezioni comunali del novembre 1964 hanno creato scompiglio. Viene eletto sindaco prima Lelio Lagorio poi Adriano Monarca ed il il 1° agosto ‘66 Piero Bargellini che era stato assessore con Giorgio La Pira.
Dato che il fato sovente si diverte con gli scalognati Palazzo Bargellini in Santa Croce è uno dei primi palazzi ad essere alluvionato. Di buon ora il neo sindaco esce di casa e riesce a raggiungere Palazzo Vecchio, vi rimarrà tre giorni, da dentro al cuore di Firenze guiderà i soccorsi e dirigerà i primi interventi ininterrottamente per 72 ore.
Con lo scorrere delle lancette tutto il mondo viene a conoscenza del disastro che si è abbattuto sulla capitale planetaria della cultura, dell’arte, della bellezza.
A Roma non capiscono o sottovalutano la furia dell’Arno, tergiversano, discutono, prendono tempo. Il primo politico a raggiungere la città è il ministro del Bilancio Giovanni Pieraccini, il governo è affidato ad Aldo Moro, giunge solo il tardo pomeriggio in Piazza San Marco. Sarà il solo ed unico uomo di governo. Qualche giorno dopo arriverà il Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat. Gli altri ministri e politici sono affaccendati altrove.
Per tutta la giornata del 4 novembre il dio pluvio non smette di riversare sulla Toscana le sue riserve, solamente nel tardo pomeriggio e nella serata il cielo si apre e cessa di piovere sul territorio, ora i fiorentini tirano un sospiro di sollievo.
Alle 21,50 l’Arno smette di incutere paura e principia ad indietreggiare.
Ponte Vecchio ha retto anche questa volta. Dopo dieci secoli e tante alluvioni è ancora integro e resistente, uno splendido esempio per costruttori, architetti, ingegneri e palazzinari.
La notte trascorre insonne per tutti e all’indomani l’unico desiderio è quello di tornare alla normalità, di riprendere la quotidianità, di riappropriarsi del centro storico, di farla tornare a risplendere.
Nessun fiorentino rimarrà con le mani pulite e gli abiti lindi e immacolati, il fango che si è appropriato di tutto e di tutti lentamente sarà rispedito indietro.
A fianco dei fiorentini a spalare e detergere caleranno in città centinaia e centinaia di giovani, di studenti, di volontari, di innamorati dell’Arno.
Giovanni Grazzini il 10 novembre sul Corriere della Sera scrive un pezzo che a molti è rimasto impresso nel cuore e nella mente: “Chi viene, anche il più cinico, anche il più torpido, capisce subito che d’ora innanzi non sarà più permesso a nessuno fare dei sarcasmi sui giovani beats. Perché questa stessa gioventù oggi ha dato un esempio meraviglioso, spinta dalla gioia di mostrarsi utile, di prestare la propria forza e il proprio entusiasmo per la salvezza di un bene comune. Onore ai beats, onore agli angeli del fango”.
Dalla devastazione dell’Arno rinasce Firenze più bella e più ammirata, con qualche ferita ancora aperta, fiorentini e Angeli del Fango gomito a gomito a mangiare nello stesso piatto, a infangarsi alla identica maniera, a spalare con la grinta e col sorriso.
È l’orgoglio italiano, la fratellanza del dolore, la voglia di ripartire, l’entusiasmo nel superare i momentacci, tutto questo ci onora e ci contraddistingue.
Nonostante una classe politica assente e disinteressata.
Bruno Galante
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