Lutero 1517 – 2017 e il melo dell’Ecumenismo
Parliamo di Lutero, rifacendoci totalmente, mutuandone le stesse parole, a Walter Kasper (Martin Lutero. Una prospettiva ecumenica, Queriniana, 2016). Per i cattolici Lutero è stato il responsabile della divisione cristiana in Occidente. Da tempo, tuttavia, gli studiosi cattolici, ne riconoscono la fondamentale istanza religiosa, ne assimilano la dottrina più pura e non calcano scorrettamente la mano sulla responsabilità della separazione. Tira una giusta aria ecumenica.
Quando Lutero nasce (1483) è l’autunno del Medioevo. Il papato ha sofferto lo scisma d’Occidente (1378-1417), il nominalismo infesta la teologia, è caduta Costantinopoli (1453). Ma ci sono anche i prodromi di una nuova era. Con la ripresa di Granada (1492) si conclude la “Reconquista” e Cristoforo Colombo scopre le Nuove Indie. Johannes Gutenberg (1400-1468) inventa la stampa, mentre Copernico (1473-1543) rivoluziona le scienze della natura. In Spagna appare la poliglotta Bibbia di Alcalá, in Italia accestisce un evangelismo “ante litteram”, in Germania si diffonde la “devotio moderna”, già si traduce la Bibbia e si accende una pietà mistica a cui il giovane Lutero sarà sensibile. Il Rinascimento con l’Umanesimo si riversa dovunque, pullula un fervido interesse per gli antichi, si leggono le Scritture in ebraico e in greco.
Pico della Mirandola insedia l’uomo al centro della cosmovisione, Erasmo da Rotterdam impersona un Umanesimo cristiano che colliderà con la Riforma protestante.
La novità di Lutero? “Con inaudita energia pone al centro la più centrale di tutte le questioni: la questione su Dio”. Come trovare un Dio misericordioso? Ne è tormentato. Altro che la questione delle indulgenze! “Il giusto per fede vivrà”. Cfr. Rm. 1,17. La giustizia di Dio rende giusto l’uomo con la sua propria grazia e misericordia. È la cosiddetta esperienza della torre, culmine di un lungo processo. Tramite Agostino, Lutero “riscopre qualcosa di originariamente cattolico”. Con tale retroterra, le 95 tesi sull’indulgenza del 1517, affisse alla porta della chiesa del castello di Wittenberg, non si ripromettono una rivoluzione, ma una discussione accademica sul rinnovamento della cristianità. La loro eco travolge Lutero, a causa di incontrollabili dinamiche storiche. In realtà a Lutero importano solo il vangelo, il messaggio della croce, la penitenza, la chiamata alla conversione del Nostro Signore e Maestro Gesù. Lutero è un uomo che desidera un rinnovamento, la conoscenza di Cristo e del solo Cristo.
Nonostante certa virulenza del linguaggio le sue istanze l’apparentano ai rinnovatori cattolici quali Francesco d’Assisi e i suoi.
Purtroppo si arriva alla spaccatura. Wolfhart Pannenberg ritiene che la nascita di una chiesa luterana non significhi il successo ma il fallimento della Riforma protestante. Molteplici sono le cause. All’appello di Lutero alla penitenza e alle riforme, Roma risponde con polemiche e condanne. Lutero va convincendosi di essere ingaggiato nel combattimento ultimo fra Cristo l’Anticristo (2 Ts 2,4). Diviene il Riformatore. Contesta a Roma la competenza unica per la Riforma, sviluppa una concezione particolare del sacerdozio di tutti i battezzati riferendosi a 1 Pt, 5.9, mettendo in discussione il ministero del Papa, la concezione cattolica della chiesa e dello stesso ministero e rifiutando l’ordinamento sacramentale. “La chiesa è nascosta, i Santi rimangono ignoti” scrive nel De servo arbitrio. L’ordinamento gerarchico è allora superabile per amore del vangelo. Nel 1520 la Bolla di scomunica viene posta al rogo. Nel 1521 la scomunica raggiunge Lutero che a Worms, davanti alla dieta imperiale, replica: “Qui sto fermo. Non posso fare altro. Dio mi aiuti. Amen”.
Ciononostante rimangono aperte molte porte. Il Lutero più maturo riconosce l’istituzione del ministero da parte di Gesù e l’importanza dell’ordinazione. Così risulta dalla Confessio Augustana (1530). Melantone sta tentando di arrivare all’unità con il papa e l’imperatore. Lutero pone solo la condizione di fare spazio al vangelo. Il tentativo fallisce. Troppo tardi viene convocato il Concilio di Trento (1545-1563).
Già nel 1520 Lutero ha affidato la riforma ai maggiorenti delle città imperiali, ai nobili non al popolo. Nel 1526 i prìncipi hanno preso in mano la riforma. Un ordinamento di emergenza seguìto al rifiuto dei vescovi. Lutero è sicuro che la parola di Dio prevarrà da sola. Tale ordinamento invece durerà per secoli. I prìncipi assurgeranno a governatori territoriali della Chiesa. Nella pace di Augusta (1555) il principio “cuius regio, eius religio” diverrà legge religiosa dell’impero. Ai signori del territorio sarà riconosciuto il diritto di scegliere fra religione cattolica e religione luterana, mentre la libertà religiosa del singolo sarà oppressa. Insomma un Medioevo senza papa e senza imperatore. Da tale particolarismo sorgerà un giorno il nazionalismo. Ancor vivo Lutero, il suo movimento si divide. Il confessionalismo prevale sulla chiesa separata. Nel popolo la separazione crescerà gradualmente. Solo nel XVII secolo sarà netta.
Anche la Chiesa Cattolica rischierà di soggiacere al particolarismo e al localismo. Saranno le missioni in America latina, Africa e Asia a salvarla. Oggi i limiti confessionali sono saltati. Per l’individualismo dei nostri giorni ogni confine ecclesial-confessionale è irrilevante.
Kasper riferisce che in Germania vi è il tentativo di trasformare Lutero in un eroe della storia della libertà e dell’Età moderna. Tuttavia lui richiamava alla coscienza prigioniera della parola di Dio, non alla coscienza autonoma, così che, medievalmente arroccato sulla unitaria “societas christiana”, invocò l’intervento dell’autorità secolare contro i contadini in rivolta, gli anabattisti e gli entusiasti.
Lutero nel De servo arbitrio (1525) contro il De libero arbitrio (1524) di Erasmo proclama la libertà che viene dalla grazia di Dio, non l’autodeterminazione dell’Umanesimo. Lutero sosteneva la sua tesi con linguaggio e immagini talvolta intollerabili, per esempio paragonando l’uomo a un animale da sella che viene cavalcato o da Dio o dal diavolo. La teonomia secondo Lutero e l’autonomia secondo Umanesimo erano contrapposte. Le attenuazioni o i ribaltamenti posteriori per far di Lutero il simbolo della moderna cultura liberale è difficilmente condivisibile.
Kasper scrive con franchezza: “La storia della libertà non incominciò nel 1517”. La Riforma cattolica non fu solo la reazione a Lutero. Ha radici nel Medioevo e percorsi propri. Dopo la guerra dei Trent’anni (1618-1648), la cultura barocca, mediata dai Gesuiti, espresse altamente nelle arti la soggettività moderna. Recarono il loro contributo Ignazio di Loyola, Teresa d’Ávila, Giovanni della Croce, Francesco di Sales e la stessa Scolastica del tempo. Si pensi al contributo dato alla modernità da Cartesio e Blaise Pascal e dai grandi classici della loro terra e spagnoli e italiani impregnati di cattolicesimo. Ernst Troeltsch arriva a concludere “che proprio nell’epoca confessionale le patrie prime della civiltà moderna, l’Italia, la Francia e la Spagna, erano cattoliche”.
Contro il luteranismo confessionale, succube dell’intreccio di chiesa e autorità secolare, insorsero gli anabattisti e le chiese libere di impronta calvinista, a cui risale la Dichiarazione americana di indipendenza (1776) che reclamò un ordinamento liberale sulla base dei diritti umani conferiti da Dio. Li avevano preceduti, duecento anni prima, i teologi domenicani di Salamanca e il patrono degli Indios, il grande Bartolomé de Las Casas. La modernità ha molti padri e molte madri, non solo Lutero.
Nello stesso luteranesimo tanto di cappello a Melantone fine umanista. E poi ci fu l’apporto degli emancipati illuminismi inglese e francese e degli scienziati come Copernico e Galilei. Walter Kasper, che ben conosce lo sbocco relativista e scettico del moderno nel postmoderno, è dell’opinione che Erasmo alla distanza abbia prevalso su Lutero che gli rimproverava scetticismo e che a certe odierne manifestazioni della storia della libertà “opporrebbe energicamente la libertà teonomica del cristiano, liberata dalla grazia e prigioniera della parola di Dio”. In questo senso Lutero è estraneo alla modernità, ma proprio per questo è ecumenicamente attuale.
Ecumene è il mondo abitato, gli si addice l’universalismo, non il particolarismo. È riscoperta della “cattolicità originaria”. “Cattolico”, per Ignazio di Antiochia che introdusse la parola nel Cristianesimo, è dove regna Gesù Cristo, centro inizio e fine di ogni realtà (Ef 1,10; Col 1,15-20), riconciliatore del mondo con Dio (2 Cor 5,19). Non ha senso l’autoreferenzialità di chiese confessionali quando ognuna è “ecclesia semper renovanda et reformanda”. C’è tanto da scambiarsi. I fraintendimenti ostacolano. Uniti nel volere l’unità, non si è uniti in ciò in cui consiste l’unità. Ma regredire al confessionalismo sarebbe una catastrofe, mentre si diffonde un “ecumenismo secolare” a cui non importano le differenze confessionali e che prova a estromettere il cristianesimo dalla sfera pubblica e si ingigantisce un globalismo che assume le parvenze del disordine e della prevaricazione.
Esiste già un “ecumenismo del sangue”: da parte di una violenza ammantata di religione, i cristiani subiscono la massima persecuzione in cui non si distinguono le confessioni.
Una sfida si erge davanti all’ecumenismo: è necessario contrapporre il messaggio universale dell’amore e dell’impegno per la giustizia, la pace e la libertà. Kasper ricorda che qualcuno ha proposto di celebrare nel 2017 una comune festa di Cristo. Si può attualizzare Lutero rinunciando agli scambi di tesi e antitesi. Con papa Francesco il cattolicesimo rilancia l’ecclesiologia del santo Popolo di Dio, la sinodalità, l’unità non uniforme a somiglianza del poliedro. Il vangelo della grazia e della misericordia e l’appello alla conversione e al rinnovamento che premono al Papa corrispondono alle autentiche istanze di Lutero. Se i fratelli luterani recupereranno egualmente il meglio pensiero di Lutero, anche la questione del rapporto fra chiesa, ministero ed eucarestia sarà ripresa con profitto e cordialità. Kasper conclude: “Nel 2017 non siamo più, come nel 1517, sulla via della separazione, ma su quella dell’unità”. Non ha mancato di citare un sereno proposito di Lutero: “Se anche sapessi che il mondo finirà domani, pianterei lo stesso nel mio giardino una pianta di mele”.
Basilio Gavazzeni
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