Poco di nuovo
Questa volta, alla prima della classe, la imbattibile Juventus, non vogliamo dedicare che l’aggettivo appena sciorinato. Parlare della squadra di Allegri è diventato quasi monotono.
Più interessante soffermarci su altri temi.
Con l’ennesima sconfitta a Torino e, soprattutto, dopo le taglienti, ma precise parole del tecnico Maurizio Sarri, verrebbe da credere che per il Napoli il discorso scudetto sia già messo in archivio anche per questa stagione.
Da una parte il campo ha sentenziato, ancora una volta, quanto la Juventus sia superiore agli azzurri, facendo suo un match pur non giocando bene; dall’altra le dichiarazioni post partita del tecnico respingono in modo netto le pretese di chi (il presidente De Laurentis in prima battuta) immagina il Napoli pronto per una scalata vincente al vertice.
A parte gli impegni economici che dividono le due società è la tipologia della rosa a loro disposizione su cui Sarri si sofferma.
Mentre la Juve ha puntato su qualità elevata e, soprattutto esperienza; il Napoli, a suo dire, ha focalizzato il proprio impegno in campagna acquisti in prospettiva, assicurandosi calciatori più giovani e quindi inesperti. Ergo, pensare al titolo è lecito, ma avendo sempre in retroterra il concetto che è questione prematura. Non sappiamo bene come abbia reagito (immaginare male è per lo meno possibile) il presidente azzurro che già a caldo ha sottolineato come in estate il riassetto della squadra gli sia costato un esborso di circa 150 milioni di euro.
Se sul fronte Napoli si sta poco tranquilli, fra sconfitte e illusioni continuamente frustrate, in casa Inter non si è da meno.
La vittoria nel turno infrasettimanale con il Torino aveva illuso qualcuno che i nerazzurri si fossero improvvisamente trasformati, da branco di cani sciolti, in una squadra come si deve. Ma non si teneva conto di almeno due fattori importanti: il primo della estemporaneità di alcune situazioni favorevoli (come la prima rete di Icardi, del tutto casuale) e secondo di una caratteristica atavica dei granata: la capacità (quasi incredibile) di rivitalizzare una avversaria in crisi. Un difetto, questo, che il Torino ha come alterazione genetica nel suo dna, indipendentemente da chi gioca e da chi lo guida.
Stupisce che la dirigenza interista abbia atteso così tanto al cambio della guardia in panchina giubilando, ala fine, l’olandese Frank De Boer.
La sola scusante che ne attenuava l’indecisione stava nella sprovvedutezza che oggi sembra regnare sovrana in ogni risvolto organizzativo del Club. Fra la confusione delle lingue (una vera babele, sia in campo che nelle stanze dirigenziali) e un gioco che non è mai collaudato la frittata è servita. La sconfitta rimediata a Genova contro la Sampdoria è l’ennesimo frutto di questa gigantesca confusione di uomini e idee. Ora, a quanto pare, arriva Stefano Pioli che avrà di certo le sue belle gatte da pelare a cercare di ridare un volto ai nerazzurri.
Più chiarezza, invece, regna al Milan, dove il tecnico Montella sta riuscendo ad amalgamare un gruppo non irresistibile, ma interessante. Poche cose, ma chiare e possibilmente fatte in modo semplice. Nessun trionfalismo, né voli pindarici.
I rossoneri, trovato un discreto assetto di squadra, giocano un calcio lineare, ma non scontato, basato su buona volontà, slancio e rapidità. La collocazione in classifica, insperata in partenza, è meritata, ottenuta con una scalata continua e progressiva.
Qualche scivolata (leggi la dura batosta col Genoa) ci può stare, quel che conta è la consapevolezza di poter fare comunque bene.
Con il Milan avanzano di pari galoppo la Lazio e l’Atalanta. Le bordate implacabili di Ciro Immobile (al quinto centro consecutivo) lasciano il segno.
Il centravanti della Nazionale è in stato di grazia e tutto gli riesce al meglio e sta trascinando l’intera squadra, disposta in campo con vera perizia tattica da Simone Inzaghi.
Certo, non c’è il solo Immobile, perché attaccanti tanto pericolosi e fantasiosi come Felipe Anderson e Keita ce li hanno in pochi. Ma, oltre all’attacco, è per davvero tutto l’impianto del gioco laziale che ha valore. Salvo, a tratti, qualche sbavatura in difesa la squadra è tosta e bene organizzata. Stesso discorso, sebbene su di un gradino qualitativamente e tecnicamente più in basso, vale per l’Atalanta di Gasperini. Partita con incertezze e col freno a mano tirato, ha ora infilato una serie di risultati a dir poco stupefacenti, sia per i punti conquistati che per il gioco messo in vetrina. Merito dei tanti giovani, vogliosi e scalpitanti, che la fucina bergamasca sa sfoderare secondo le leggi dell’antica tradizione della casa che dice: se mancano i soldi i giocatori te li fai in casa.
Ah, se questo assunto di puntare sui giovani del vivaio tornasse in auge magari anche sotto la copertura di un dettato federale!
Le due gare posticipate hanno segnalato la buona salute del Cagliari, che affossa sempre di più il Palermo, e di Udinese e Torino, capaci di dare vita a uno scontro diretto senza esclusione di colpi dove i granata si scoprono scoperti in difesa e i friulani più pericolosi davanti di quanto avessero loro stesso immaginato.
Da accogliere con gioia e complimenti la prima, storica vittoria del Crotone in serie A, battere il Chievo di questi tempi non è cosa facile e riuscirci è per i calabri un segnale estremamente positivo. La lotta sarà dura ma gli uomini di Nicola la combatteranno fino alla fine, questo è certo.
Franco Ossola
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