Il giornalista magno e Papa Francesco
Dopo la recita del Mattutino, medito. Oggi sull’incontro di Eugenio Scalfari con Papa Francesco. Si veda “la Repubblica” di venerdì 11 novembre. Supero di slancio la premessa del giornalista. Di Trump, non ancora eletto, e del sì e del no, incombenti, ho già fatto troppo tema. Conosco che cosa ne pensa il giornale.
Graziosi convenevoli aprono l’intervista. Si ritrovano in buona salute i due, nonostante gli strapazzi della vita. “È il Signore che decide” dice l’uno. “E sora nostra corporale” aggiunge l’altro. E il primo: “Sì, corporale”.
Interrogato su Trump, il Papa: “Io non do giudizi sulle persone e sugli uomini politici, voglio solo capire quali sono le sofferenze che il loro modo di procedere causa ai poveri e agli esclusi”. Dichiara che profughi e immigranti costituiscono la sua preoccupazione principale.
Vi sono sofferenze e disagi che lui si adopera per far rimuovere. Ma i provvedimenti spesso sono avversati da popolazioni che temono la sottrazione del lavoro e la riduzione del salario. I poveri dei Paesi ricchi osteggiano l’accoglienza dei loro simili provenienti da Paesi poveri. Abbattere i muri e costruire i ponti, incrementare il benessere e condividerlo, ridurre le disuguaglianze e accrescere diritti e libertà, questo gli sta a cuore.
Il giornalista gli chiede che cosa sradichi e smuova tanti disperati e se il fenomeno si esaurirà prima o poi. Il Papa è d’accordo con lui che sono le disuguaglianze nate nei Paesi ricchi che costringono i popoli all’esodo e crede nella loro integrazione dopo alcune generazioni. “Un meticciato universale nel senso positivo del termine”: la definizione proposta da Scalfari è approvata dal Papa. Se non universale, sarà più diffusa di oggi, comunque prodotta dalle disuguaglianze che sono “il male maggiore che esiste nel mondo”.
È il denaro che contrasta il benessere nell’uguaglianza.
Il Papa, tempo fa, disse al giornalista che, nei nostri tempi di buio, bisogna amare il prossimo più di noi stessi. Perciò vagheggia una società caratterizzata dall’uguaglianza.
Ma non sarebbe un ideale marxiano? La risposta: “Più volte è stato detto e la mia risposta è sempre stata che, semmai, sono i comunisti che la pensano come i cristiani. Cristo ha parlato di una società dove i poveri, i deboli, gli esclusi, siano loro a decidere”. Auspica in sostanza che il popolo dei poveri entri direttamente nella politica vera e propria? “Sì, è così. Non nel cosiddetto politichese, le beghe per il potere, l’egoismo, la demagogia, il denaro, ma la politica altra, creativa, le grandi visioni.”
Scalfari che, qualche giorno fa, ha registrato l’ammirazione del Papa per Martin Luther King e come ha stigmatizzato i movimenti contrapposti ma speculari del Ku Klux Klan e delle Pantere Nere, riporta la lunga citazione fatta di quel profeta del riscatto non–violento: “Quando ti elevi a livello dell’amore, della sua grande bellezza e potere, l’unica cosa che cerchi è di sconfiggere i sistemi maligni. Le persone che sono intrappolate in quel sistema le ami, però cerchi di sconfiggere quel sistema: odio per odio intensifica solo l’esistenza dell’odio e del male nell’universo. Se io ti colpisco e tu mi colpisci e io restituisco il colpo e tu mi restituisci il colpo, e così di seguito, è evidente che si continua all’infinito. Da qualche parte qualcuno deve avere un po’ di buonsenso e quella è la persona forte, capace di spezzare la catena dell’odio, la catena del male”.
Ma se i poveri e gli esclusi devono trasformare la politica in una democratica realizzazione dell’uguaglianza, uno scontro sarà inevitabile: “è in gioco il potere e il potere, Lei stesso lo ha detto, comporta guerra”.
Il Papa allora precisa che non ha mai pensato a guerra e armi. Se sangue si verserà sarà quello dei martiri cristiani come accade per mano dei carnefici dell’Isis.
Se è vero che molti Paesi ricorrono alle armi contro l’Isis, e gli ebrei contro gli arabi, e questi gli uni contro gli altri, ciò non è appropriato per i cristiani.
“Noi cristiani siamo sempre stati martiri, eppure la nostra fede nel corso dei secoli ha conquistato gran parte del mondo. Certo ci sono state guerre sostenute dalla Chiesa contro altre religioni e ci sono state perfino guerre dentro la nostra religione. La più crudele fu la strage di San Bartolomeo e purtroppo molte altre analoghe. Ma avvenivano quando le varie religioni e la nostra, come e a volte più delle altre, anteponevano il potere temporale alla fede e alla misericordia”.
Scalfari insiste: l’entrata in politica implica lo scontro sia pure pacifico con avversari perché è in gioco il potere necessario per vincere.
A questo punto il Papa: “Ora lei dimentica che esiste anche l’amore. Spesso l’amore convince e quindi vince anche quanti siamo ora. I cattolici? Sono un miliardo e mezzo, i protestanti delle varie confessioni ottocento milioni; gli ortodossi sono trecentomila, poi ci sono le altre confessioni come anglicani, valdesi, copti. Tutti loro compresi, i cristiani raggiungono due miliardi e mezzo di credenti e forse più. Ci sono voluti armi e guerre? No. Martiri? Sì, e molti”.
Con Gesù Cristo, “il martire dei martiri”, i cristiani hanno seminato la fede. Il Papa si guarda bene dal chiedere martiri. Pensa che chi sposerà la politica per i poveri, per l’uguaglianza e la libertà, distinguerà la politica dalla fede e dovrà provvedere ai poveri, prescindendo dalla loro fede. Occorrerà sostenere i bisogni urgenti e vitali di tutti. “Come potremo e come sapremo”.
Si innalza, senza glissare, il Papa, sull’opinione che lui “ha parecchi avversari dentro la Chiesa”: “Avversari non direi. La fede ci unifica tutti. Naturalmente ciascuno di noi individui vede le stesse cose in modo diverso: il quadro oggettivamente è il medesimo ma soggettivamente è diverso”.
Si lasciano “con un abbraccio pieno d’affetto” il giornalista magno e il Papa di cui ha scritto che è rivoluzionario e ora riconosce profeta e qualcosa di più, trattenendo la penna. Il primo raccomanda all’altro che si riposi talvolta e il secondo gli restituisce la stessa raccomandazione, “perché un non credente come lei deve essere più lontano possibile da morte corporale”.
Finisco la mia meditazione. Niente allumacature su un dialogo così esemplare fra due grandi contemporanei. Sento solo di essere grato e di ritornare nell’agone quotidiano più provveduto di speranza.
Basilio Gavazzeni
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