Sentire il profumo della rosa
Mi si chiede una riflessione sull’appena trascorso Giubileo. Non mi è possibile tracciare un bilancio dell’evento fortissimamente voluto e condotto da Papa Francesco. Altri già provvede al censimento e alla complessiva lettura di una rivoluzione culturale i cui semi sono destinati a rigenerare lunghe fioriture.
Non si spegne la misericordia che discende dall’alto e che abbiamo il dovere di spartire. Chi è stato raggiunto dall’incanto del perdono ha un manifesto di luce da affiggere alle porte della quotidianità e da incarnare con decisione.
Passiamo le stagioni della vita. Guai a restare impigliati negli sconforti delle nostre logiche. È facile affiochirsi davanti alle raffiche delle perdite e dei lutti, nelle ignave pratiche del vuoto e delle sue colorate orchestrazioni.
Può essere che l’inondazione della grazia giubilare ci abbia solo lambiti. Forse il nostro affaccendarci umano, troppo umano, ancora una volta ci ha nascosto la perdurante glaciazione della nostra coscienza. Forse siamo restati inebetiti a filare discorsi senza senso e inerti, davanti alla grande fogna aperta dell’umanità più iniqua.
Ci siamo rintanati al buio in un cantuccio di stanza, mentre trascorreva una fiumana di luce tutta inclusiva. Ma non siamo stanchi delle nostre notti, per chiedere addirittura un sussidio di buio contro un fulgore che non percuote, non abbacina, è la perfetta compagnia dello sguardo spirituale e sa di fragranza primaverile?
Luce, noi ti lodiamo, sostanza di Dio. Continua imperterrita a parlare la lingua delle origini dell’universo accarezzando le nostre nuche e mettendo in rotta i mostri che salgono di continuo dagli inferi. Batti alle finestre delle nostre case o ai finestrini dei nostri viaggi, così che schiudiamo le persiane o leviamo gli occhi annegati nei computer.
Fa’ che, come Lazzaro uscito dal sepolcro, ritroviamo noi stessi, sciogliendoci dalle bende funebri per incontrarci con gli altri stupiti dal prodigio o terrorizzati dalla lima del tempo o vacillanti per le sempiterne disperazioni.
Chi è affrancato costruisce libertà e diritto. È attento all’irresistibile richiamo del cordiale e pragmatico genio del buon Samaritano.
Certo, si ha l’impressione di sperperare il proprio sé, chinati sui cupi gorghi altrui, si teme la vertigine e la rovina e l’agguato, da parte dell’onda inclemente. Eppure a noi tocca prenderci cura dei frammenti di esistenza che giungono a urtare il legno della nostra navigazione.
Non c’è nulla di più puro e di affascinante in noi dell’impulso di prendersi cura, di proteggere e di mettere al riparo. Si premia da solo nell’esecuzione illuminata dal discernimento che sa fare i conti con la realtà e smontare la ragnatela delle perplessità sterili.
Nessun arzigogolìo può sottrarci a questa vocazione calata su di noi il giorno avventurato del Battesimo, agli inizi della storia personale, nel mio caso il giorno stesso della mia nascita.
Non è stata la somma dei giorni a produrre questo risultato. C’è stata tanta confusione da parte mia! Se mi volto a guardare, non posso non accorgermi come la grazia di quel giorno continui a surclassare le mie miserie così che mi tocca in sorte una naturale capacità di giocarmi tutto per gli altri.
L’amore di Dio è la soluzione più felice al problema dei giorni seppure irto e scardinante. Lo confesso, constatando la penuria di passione per Dio che ci infesta, me stesso prima degli altri. Con il poeta David Maria Turoldo dell’ultima stagione, dico:
“svelami come
pur malato mortalmente di te
abbia potuto
essere a te infedele
tradirti nel mentre stesso
che dicevo di amarti!
O forse anche il peccato
è un gesto folle per cercarti?”
Ah, perché non è sempre Giubileo, per noi, peccatori coriacei ma “grognard” ostinatamente al séguito di nostro Signore Gesù Cristo, condottiero dei nostri passi? E già Papa Francesco risponde da par suo. Un poeta ha scritto che solo chi ha l’anima purificata sente il profumo della rosa del mondo.
Basilio Gavazzeni
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