Femminicidio: quegli uomini bambini incapaci di crescere
25 novembre Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 17 dicembre 1999 con risoluzione 54/134. È diventata sempre più un 8 marzo. Educare contro la violenza di genere è la missione della nostra scuola, oltre che delle stesse famiglie. Bisogna far prevalere la cultura del rispetto e del reciproco riconoscimento tra uomini e donne, è un lavoro ed un obbligo della società tutta. bg
Sabrina Blotti era mia amica. Ha frequentato il mio stesso liceo. Con la sua bellezza solare ha illuminato anche la mia adolescenza. È stata barbaramente uccisa a Cervia, il 31 maggio 2012. Il suo assassino era uno pseudo amico. Un uomo che aveva scambiato la propria voglia di possesso per amore, che aveva riversato le sue frustrazioni su una donna che gli aveva al massimo dimostrato comprensione e affetto, ma la cui disponibilità ad ascoltare è stata equivocata e si è dimostrata fatale.
Sabrina è una delle 1740 vittime di femminicidio che in 10 anni hanno funestato l’Italia, da nord a sud. L’ultima vittima è una cittadina sudamericana di 29 anni uccisa ieri dal suo compagno cinquantenne che lei aveva maldestramente fatto entrare in casa per la notte.
Non voglio soffermarmi su analisi sociologiche che lasciano il tempo che trovano. Vorrei invece parlare di questi uomini, che sono vittime e carnefici allo stesso tempo.
Da dove proviene questa estrema fragilità, questo sordo autolesionismo e questa incapacità di amare che li porta a imporsi con una violenza cieca incontrollata?
Possibile che il maschio sia regredito ad uno stadio ancestrale, ove per affermare se stesso deve usare la violenza, perché non ha altro argomento, perché si sente fallito e sconfitto dalla vita, dalla quale non è riuscito a trarre un senso? Non sarà che noi maschi nell’era di internet non siamo mai cresciuti e ci comportiamo di fronte a un lutto o alla rottura di una relazione, alla pari di un bambino violento di fronte ad un giocattolo rotto?
Credo che la condanna debba essere ferma è inequivocabile, ma che oltre alle donne debbano essere curati anche i loro compagni. Lo scriveva già 20 anni fa la psicologa romana Maria Rita Parsi, nel suo libro che è diventato un bestseller, intitolato “Fragile come un maschio”.
In una società liquida, l’uomo non è più capace di guadagnarsi il proprio ruolo di capo famiglia o di punto di riferimento di un equilibrio familiare, si sente scavalcato e oberato dai propri compiti, non sa più costruire un orizzonte concreto di vita. Tutto diventa un ramo fragile e secco a cui aggrapparsi, costruendo false speranze su fuochi fatui.
Il femminicidio è sempre una sconfitta della ragione e della coscienza, di chi non sa rassegnarsi alla perdita come se una persona potesse divenire oggetto di proprietà e non soggetto di diritto.
La tua donna ti contrasta, non è come tu la vorresti? Allora cerchi di ridurla all’impotenza con la violenza, senza capire che forse il problema non è lei ma è il tuo modo di rapportarti alla coppia.
Dall’esterno è facile pontificare, senza capire che la fragilità e in agguato in tutti noi, non basta nascondersi dietro la frase “tanto a noi non succederà”. È solo un modo per sfuggire al problema, la rabbia dell’impotenza alberga nell’animo di ciascuno di noi. La differenza tra un uomo e un bambino sta nel sapersi controllare. Quando non si riesce, al primo campanello d’allarme bisogna farsi aiutare. Nessuno si salva da solo. Spesso si scambia il bisogno d’amore per amore. Se non si affrontano le proprie fragilità e il proprio buio, si raggiungerà difficilmente la luce.
Non vale l’illusione, sia da parte di un uomo che di una donna, che l’amore possa cambiare tutto, che una persona muti per il solo fatto di sentirsi amata.
Ricordo la storia esemplare di due miei amici, una coppia in crisi che non comprendeva le ragioni del non riuscire più a capirsi ed era arrivata alle soglie della separazione. Prima del passo irreparabile decisero di affidarsi ad una terapia di coppia. A metà del percorso la psicologa li pose di fronte ad un aspetto che mai avrebbero immaginato: la moglie rinfacciava al marito di non curarsi e di non amarla più come prima. Ma nessuno si era reso conto che entrambi soffrivano di un autismo di ritorno, pronunciare certe frasi e non raffrontarle poi col vissuto quotidiano, è un errore che con le persone autistiche può risultare imperdonabile.
La vita a due è sempre un rischio, ma non vale trincerarsi dietro un meccanismo di difesa asfittica, bisogna andare incontro all’altro, magari facendo un passo indietro rispetto a se stessi.
La coppia non è semplicemente un io e un tu, non è l‘incontro di due fragilità ma l’abbraccio di due libertà.
Assistiamo ad un’inversione di tendenza rispetto al trend generale, si sta verificando un incremento dei matrimoni, rispetto al dato in calo di 7 anni fa, ma di pari passo aumentano i divorzi e la durata media di un’unione matrimoniale non supera i 17 anni.
Molto spesso ci si sposa per soddisfare se stessi, per sfuggire a situazioni sgradevoli, per inseguire una tranquillità economica ed affettiva che non arriverà se non si trova una tranquillità interiore, che va ricercata prima di tutto dentro di sé e non in quello che l’altro può offrire, o garantire.
L’amore non è l’incontro di due solitudini, ma un progetto di vita pensato e vissuto in coppia, laddove una parte importante è preminente la assume un riscontro etico e spirituale di comprensione reciproca e di reciproco impegno alla ritrazione verso l’altro. Quello che manca, nella nostra frenesia quotidiana di inseguire un tempo che fugge e di esorcizzare la morte, la fatica e il dolore, è la capacità e la disponibilità al perdono, in cui ognuno si dona all’altro, si offre a chi considera un dono la vita di coppia.
Questo non nasce dall’oggi al domani, il perdono non va inteso soltanto in senso religioso ma anche in un’accezione laica e razionale dei rapporti.
È il frutto di un difficile percorso di cognizione di sé, ma forse noi, nell’era dominante di facebook e di quella che Bauman chiama la società liquida, non siamo più in grado di farlo e non abbiamo neanche voglia di sperimentarlo. In questo clima di permanente precarietà, il femminicidio diventa la punta estrema di una società fatta di individui che non sanno apprezzare il ritrovarsi.
Noi non ne siamo immuni, forse siamo stati solo più fortunati, forse solo un po’ più amati anche senza accorgercene.
Pensiamoci, riflettiamoci, prima che sia troppo tardi.
Mi viene sempre in mente una frase di Papa Francesco rivolta ai detenuti di Rebibbia: “Avrei potuto essere dall’altra parte, guardandovi mi chiedo, perché voi, e non io?”.
Ciao Sabrina, quel male che cercavi di esorcizzare con tutto ciò che ieri, ti ha travolto in un freddo mattino primaverile a Cesena.
A me hai fatto capire quanto il dramma mi sia vicino e quanto in ogni persona, uomo o donna, possa trovarsi un mostro in agguato, in cui forse si nasconde la nostra stessa incapacità di crescere.
Michele Pacciano
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