Franco Alessandri, il pellegrino instancabile per antonomasia
Il pellegrinaggio è una tradizione cristiana che si sta diffondendo a macchia d’olio non solo in Europa. Nel breve volgere di pochissimi lustri il numero di persone che ha deciso di abbandonare le comodità domestiche ed il caos della vita quotidiana per sperimentare il silenzio e la solitudine è lievitato in modo ragguardevole.
Il peregrinus nel latino tardo era colui che si recava a Roma con finalità religiose. Dante in Vita nova XLI ne fa una descrizione dettagliata.
Nel medioevo tre erano le mete che i cristiani si prefiggevano di raggiungere: Gerusalemme, Roma e Santiago de Compostela.
Gerusalemme perché era ed è considerata la città santa, culla della religione, per aver dato i natali a Gesù Cristo, dove ha vissuto e si è manifestato.
Roma ove sono sepolti l’apostolo Pietro e Paolo di Tarso, dove la cristianità si è sviluppata ed è cresciuta.
Santiago de Compostela in Galizia perché la tradizione narra che sia sepolto l’apostolo Giacomo il Maggiore.
Altra località amata dai pellegrini medievali era Monte Sant’Angelo sul Gargano, nella grotta ove si ritiene sia apparso San Michele Arcangelo.
Il pellegrino era soggetto a rispettare delle regole molto rigide e circostanziate, doveva fare testamento, assistere ad una messa solenne, ricevere la benedizione episcopale ed un salvacondotto che lo preservava e lo agevolava. Per distinguersi doveva indossare la pellegrina, una veste ruvida che gli arrivava alle ginocchia, un cappuccio per ripararsi dall’acqua e dal sole, il bordone, un bastone per sostenersi e difendersi, e la bisaccia di pelle che diveniva la sua bauliera.
I racconti e le storie sui pellegrini sono sempre stati una via di mezzo tra il cielo e la terra, tra la quotidianità e la suggestione. Si sono scritti decine e decine di volumi, tutti intrisi di suspense e di fascino.
Nei miei due viaggi, il primo partendo da Leon ed il secondo da Saint Jean-pied-de-Port, ai piedi dei Pirenei francesi, ho incontrato e conosciuto pellegrini, da intendere uomini e donne, che mi hanno trasmesso ed insegnato tanto.
Pellegrini i cui volti sono tuttora impressi nella mia memoria e nel mio cuore, i loro sguardi sono sempre vivi e presenti nella mia vita.
È una esperienza che almeno una volta bisognerebbe acquisire, sinché lo spirito ci sorregge. Nel mio studio ho lo zaino pronto per il terzo Camino, l’ho preparato appena concluso il secondo pellegrinaggio. Camino che mi piacerebbe iniziare da Somport.
Una delle persone che il Camino mi ha fatto conoscere è un giovanotto classe 1936. È una persona stimata e corretta, se non lo conoscessi bene lo avrei potuto definire un parolaio. Avendo svolto la professione di geologo possiede un archivio ed una diligenza d’archivio ammirevole.
Ha conservato con amore le Credencial, è il documento di viaggio sul quale si appongono i timbri degli albergue ove si pernotta.
Le Compostela, invece, sono ordinatamente incorniciate e ben illuminate. La Compostela è il documento ufficiale che ti dichiara Pellegrino di Santiago.
È l’ambito riconoscimento dopo centinaia di chilometri a piedi con vesciche, strappi, tendiniti, dolori su tutto il corpo frammisti a decine di interrogativi, quella carta semipergamenata azzera le numerose domande che ti sei posto sui sentieri impervi “ma chi me lo ha fatto fare?”, e ancora “ora mi informo sul primo volo e torno a casa”.
Ebbene, questo giovanotto indomito di Compostela ne ha ben 14. Ovvero per 14 volte si è presentato alla Oficina de la Peregrinacion per consegnare la Credencial zeppa di sellos (sono i timbri personalizzati degli albergue) e ritirare i certificato di pellegrino ufficiale.
Per quel che sono le mie conoscenze oggi in Italia nessuno ha mai raggiunto o pensato di raggiungere un simile traguardo. Franco Alessandri ha percorso tutti i Camino, dal più noto – quello Francés – al meno noto, il Camino del Salvador.
Le nostre strade si sono incrociate casualmente subito dopo la pubblicazione del mio lavoro Buen Camino, da allora di tanto in tanto ci siamo incontrati e trascorso qualche momento insieme.
Sono andato a trovarlo a Settignano e mi ha accolto con il suo inconfondibile sorriso, un abbraccio, due pacche sulle spalle e a quel punto ti accorgi che il tempo si è fermato.
Suo padre era pretore sul Mugello a Borgo San Lorenzo ed era in ottimi rapporti con Padre Pio, ogni qualvolta il santo cappuccino necessitava di consigli legali si rivolgeva al babbo di Franco. Un giorno Padre Pio gli disse “vieni a Foggia a fare il giudice così potremo stare un po’ più vicini”.
Quando Giovan Gualberto scoprì di avere un tumore alla gola immediatamente si diresse a San Giovanni Rotondo ed il frate con le stimmate gli suggerì di recarsi all’ospedale di Padova e non a quello di Firenze. Seguì le indicazioni e da Padova tornò a rivivere.
Erano anni in cui il santo di Pietralcina subiva pressioni anche dal Vaticano che lo controllava in ogni circostanza. Un giorno scoprì dei fili sospetti utilizzati per registrare i suoi commenti e li recise con un coltellino. Quel famoso coltellino lo donò a Gualberto insieme ad un paio di guanti intrisi di sangue.
Una buona parte della documentazione che aveva raccolto la affidò al pretore fiorentino e questi per timore di attentati o di aggressione di tanto in tanto girava armato.
Franco a San Giovanni Rotondo, a differenza del babbo, non ci è andato spesso. Una volta, era già giovanotto, Padre Pio gli disse “Tu verrai a trovare l’acqua per la Casa della Divina Provvidenza”. Si era da poco iscritto a Geologia ed il santo non poteva saperlo in alcuna maniera.
Con la fede Franco ha avuto un rapporto altalenante. Un avvicinarsi ed un allontanarsi.
Nel 2001 alcuni amici lo convincono a sperimentare i viottoli spagnoli. Ad aprile è a O Cebreiro e da quel giorno il Camino diventa la sua costante. L’anno successivo raggiunge Bayonne in treno e da qui si sposta a Saint Jean-pied-de-Port. Nel villaggio francese con vista sui Pirenei avviene la sua guarigione dal lavoro. Comprende che oltre al lavoro vi sono altri valori altrettanto o forse più importanti del lavoro, c’è la casa, c’è la famiglia, ci sono i figli.
Capisce che deve distaccarsi dalla scrivania e dalla professione.
“Mi resi conto che la vita non è solo l’impegno e l’attaccamento al lavoro. Vi sono altre gratifiche e soddisfazioni che arricchiscono e maturano. Su quei sentieri lontano dalla quotidianità, dallo stress, dagli impegni e dalle scadenze ho aperto gli occhi su nuove realtà. Il silenzio, la riflessione, il sacrificio anche fisico, mi hanno fatto comprendere che era giunto il momento di dare una sterzata alla vita e modificare programmi e tracciato. Ho seguito ciò che avvertivo nell’animo ed ho raggiunto nuovi traguardi. Ecco questo è stato il mio Camino”.
Mentre parla si nota e trapela il benessere che ha conseguito nella penisola iberica. Ogni tanto mi tocca interromperlo per arginare la sua irruenza dialettica e la sua voglia di esternazione. Quasi che mi stesse aspettando per riversare su di me racconti e notizie celate da anni. È comunque piacevole ascoltarlo per la sua pacatezza e per la chiarezza espositiva, la sua memoria è integra ed apre i cassetti dei ricordi con naturalezza e precisione.
Si sofferma su un episodio che ha lasciato una traccia indelebile nel suo animo.
Lorenzo lo conobbe che era un ragazzetto di tredici anni, si incontravano spesso e tra loro nacque una sana amicizia contornata da stima ed affetto. Divenuto adulto il rapporto si consolidò. Un pomeriggio gli confidò di essere vittima del male del secolo, tumore ad un rene. Entrò in sala operatoria a Careggi e tutto sembrava volgesse al meglio, a tal punto che invaghito dai racconti di Franco sul Camino decise anche lui di percorrere a piedi la strada che conduce alla tomba dell’apostolo Giacomo il Maggiore, il matamoros. Raggiunse Lourdes e da qui si incamminò verso Santiago.
Partì dall’Italia ai primi freddi di dicembre e sui sentieri ispanici sperimentò la durezza del freddo sulla Meseta. Portò con se una reflex con pellicole in bianco e nero. Riprese alcune scene intrise di melanconia e bravura, al suo ritorno sviluppò delle immagini deliziose e quelle più carine decise di esporle in una personale che riscontrò ottimi consensi.
Non completamente appagato spiritualmente, alcuni mesi dopo volle intraprendere il Camino del Norte. A Oviedo lo colse il tetro sconforto, entrò nella Cattedrale con l’uscio aperto e si posizionò sul banco più vicino all’altare con tutta la sua stanchezza ed il peso dello zaino e della sofferenza.
Alzò lo sguardo verso la statua del Salvador e con fermezza mista ad acredine domandò: “Vedi quanto dolore mi porto dietro, perché non mi hai guarito?
Ho toccato il fondo della solitudine e della disperazione, cosa devo fare? Sono completamente solo, almeno trovassi qualcuno con cui dialogare e camminare”.
Il dialogo fu di breve durata, riprese il modesto bagaglio e e si diresse verso l’uscita.
Varcato il massiccio portone ligneo quasi stesse lì ad attenderlo, gli venne incontro Rodolfo il quale prima gli strinse la mano e poi gli sussurrò: “Son qui per te”.
Lorenzo inizialmente stenta a credere quanto gli sta capitando. Rodolfo non lo ha mai visto in vita sua, non sa chi sia e in alcuna maniera può essere a conoscenza delle sue tribolazioni.
Ripresosi dallo smarrimento decide di telefonare in Italia per raccontare l’episodio. Dall’altra parte del filo Franco ascolta in silenzio e commosso.
Avrebbe voglia di aprire il rubinetto delle pupille, invece mostra la finta corteccia e quasi rimbrotta Lorenzo sollecitandolo a proseguire con passo spedito perché ogni pellegrino ha al suo fianco qualcuno che lo sorregge e lo sostiene nelle giornate tempestose.
Lorenzo e Rodolfo entrarono insieme nella Cattedrale di Santiago.
Lorenzo non è più tra noi, ma è sempre presente nei nostri pensieri.
Per anni su quei sentieri tortuosi ha cercato la spiritualità, oggi Franco è alla ricerca del passato, della storia dei viottoli. È stato tra i pochi e tra i primi a credere e a divulgare il tracciato della Via Francigena,
se oggi almeno 30.000 pellegrini all’anno possono raggiungere la Città Eterna seguendo le orme di Sigerico lo devono a Franco.
L’arcivescovo di Canterbury nel 990 a piedi partì dalla Abbazia di Sant’Agostino e in tre mesi circa raggiunse Roma per ricevere il palium dalle mani di Papa Giovanni XV. Nel suo diario annotò località e circostanze delle sue tappe che sono state tramandate sino ai nostri giorni e che a migliaia rivivono come allora.
Franco è divenuto un punto di riferimento per quanti desiderano seguire le orme dei pellegrini che vogliono raggiungere Roma o Santiago de Compostela. Quest’anno ha distribuito oltre mille Credenziali ed è in contatto con pellegrini di mezzo mondo che vogliono vivere e rivivere il silenzio e il ricordo.
Franco è il pellegrino per antonomasia.
Bruno Galante
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