Omaggio a un campione della pista e della vita
Si dice che oggi conti più la macchina, che la tecnologia abbia sopravanzato il pilota, che le corse automobilistiche abbiano perso mordente, ma l’ultima sfida mondiale tra Lewis Hamilton e Nico Rosberg sarà ricordata come uno dei momenti più esaltanti della Formula 1, dov’è il titolo iridato si è deciso all’ultima gara, se non all’ultimo pitstop.
Lewis Hamilton e Nico Rosberg non potevano essere più diversi. In un campionato del mondo che ancora una volta ha visto la Ferrari arrancare nonostante la buona volontà di Kimi Raikkonen, abbiamo assistito ad una sfida tra due modi di concepire la guida e la vita.
Cosa spinga i piloti a rischiare di schiantarsi a più di 300 km all’ora rimane uno dei grandi misteri dello sport, è un continuo misurarsi con se stessi più che con gli avversari. Questa volta ha vinto la pacatezza sull’ irruenza, il calcolo metodico sulla guasconeria un po’ cafonenesca e cialtrona di Hamilton,
primo campione nero del grande circo della Formula 1 che ha sconfessato rudemente il suo padre spirituale Frank Williams senza il quale non avrebbe mosso neanche i primi passi nel mondo del kart, per approdare alla corte della McLaren Mercedes e portare i suoi talenti ai massimi livelli.
Dall’altra parte Nico Rosberg campione tedesco e figlio d’arte di quel Keke Rosberg che noi ricordiamo protagonista di epici duelli, proprio alla Williams, con il pilota inglese Nigel Mansell.
Nico Rosberg è un campione che è venuto fuori alla distanza, ha saputo aspettare non ha voluto mai strafare, sapendo sfruttare la passione e la flemma finnica del padre e contando sul fatto che la rabbia di Hamilton avrebbe spaccato più di un motore, come poi immancabilmente è avvenuto.
Non vedo più la Formula 1 dal 1994, quando il campione dei campioni, Ayrton Senna è morto sulla pista maledetta di Imola. Quel giorno dovevo seguire la gara per il mio giornale, La voce di Mantova, ma un improvviso stiramento alla gamba mi costrinse a letto, dovetti seguire il Gran Premio in televisione assistendo inebetito alla morte di Ayrton. Insieme moriva un mio sogno, quello di vederlo sfrecciare un giorno, con le insegne del Cavallino Rampante.
Anche le corse cambiano, ma la sfida di quest’anno mi ha ricordato il confronto epico tra Niki Lauda e James Hunt nel campionato 1976-77, quando Lauda si salvò dal catastrofico incidente che gli bruciò l’intera faccia lasciandolo in coma per mesi.
L’ultimo gran premio della stagione era battuto da una pioggia incessante che flagellava Rio de Janeiro.
Il pilota austriaco, che i detrattori chiamavano il topo, non se la sentì di rischiare e lasciò il mondiale ad Hunt, che fino all’ultimo giro non sapeva di aver vinto.
Hunt era bello e spaccone, diviso tra alcol, eccessi e belle donne, Lauda era freddo e calcolatore.
Ma quando James Hunt morì in un sobborgo di Londra, stroncato da un infarto a soli 46 anni a causa di un micidiale cocktail di alcol e droga, Lauda confessò, come avrebbe fatto nella sua biografia, che il pilota inglese era stato l’unico avversario alla sua altezza, l’unico pilota che avesse veramente ammirato e stimato.
Le corse sono questo: genio e sregolatezza, calcolo e divina imprudenza, coraggio e sventatezza.
Gilles Villeneuve e Clay Regazzoni, che divenne un simbolo per tutti i disabili con dentro la voglia di riscatto e fu compagno proprio di Lauda.
Il rosso Ferrari ha punteggiato tutta la mia infanzia e tutta la mia adolescenza. Per questo commentando la sfida tra Hamilton e Nico Rosberg il mio ultimo pensiero va a
Michael Schumacher che lotta ancora con la grinta di sempre per riaffermare di essere ancora vivo.
Correre in fondo e riaffermare ora e sempre, un contraddittorio inno alla vita.
Questo è il grande fascino del motore che si spinge oltre il tempo e lo spazio.
Anche per questo mandiamo un commosso applauso a Nico Rosberg, che dopo aver raggiunto il tetto del mondo ha detto basta e si è ritirato a fare il papà in Germania, non è facile rinunciare alla gloria quando la si è appena conquistata.
Il piccolo tedesco ha dimostrato in un giorno di essere un grande uomo e un grande campione che sa apprezzare il gusto della fatica e del silenzio.
Michele Pacciano
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