Maastricht 25 anni dopo
Tutto si può stappare meno che un’ottima bottiglia di spumante doc italiano per rammentare il quarto di secolo di Maastricht, il trattato che avrebbe dovuto sancire l’unione di fatto dei Paesi del vecchio continente.
Il Consiglio europeo ultima i lavori intergovernativi a Maastricht, in Olanda ma in uno spicchio di terra attaccata al confine con Belgio e Germania, il 9 e 10 dicembre 1991 ed il cui Trattato sull’Unione Europea, il TUE, sarà firmato nella cittadina del Limburgo il 7 febbraio 1992 da 12 stati.
Occorre tener presente che da poche settimane è crollato il Muro a Berlino ed il colosso argilloso sovietico si è frantumato. La Germania dopo quasi mezzo secolo torna unita, non più Est-Ovest.
Nella cittadina olandese a sottoscrivere il documento si sono recati i vertici politici di Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Gran Bretagna, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo e Spagna.
L’intenzione è di creare uno Stato unico, non si comprende bene se sull’esempio degli Stati Uniti o della Svizzera. I sottoscrittori, però, trascurano un particolare: quei dodici Paesi parlano lingue diverse, hanno secoli di tradizioni e abitudini molto differenti, ognuna di esse possiede una propria cultura, un sistema amministrativo, partiti diversi.
L’idea è nobile ma l’Europa non è l’America. Paesi che per secoli, dalla caduta dell’impero romano del 476, si sono combattuti tra di loro. Con alle spalle il più tremendo dei conflitti che l’uomo abbia vissuto, quella Seconda Guerra Mondiale fonte di odio, di ferite mai ricucite, con un numero pauroso di morti che oscilla da 40 a 50 milioni tra militari e civili.
Si pretende di cancellare un passato secolare e di ripartire come se nulla fosse mai accaduto. I dodici firmatari, per l’Italia sottoscrivono Giulio Andreotti come presidente del Consiglio, Gianni de Michelis ministro degli Esteri e Guido Carli ministro del Tesoro, sono convinti di aver scoperto l’eden.
Scelgono di anteporre la politica monetaria a quella culturale e sociale e commettono un errore ciclopico, alla fine ad avvantaggiarsene saranno quasi esclusivamente le grandi aziende industriali e la finanza d’élite. Scelgono di accelerare ed ampliare il numero delle nazioni aderenti piuttosto che rafforzare i rapporti e in una fase successiva allargare alle nuove regioni. È saggio procedere lentamente per smussare tutti quegli angoli che spunteranno come è naturale che sia. Invece preferiscono dare precedenza assoluta al business con operazioni da miliardi e miliardi di euro, ben sapendo che questi miliardi finiranno nelle tasche di pochissimi mentre i milioni di futuri europei non vedranno neppure i centesimi.
Trascurano delle regole elementarissime. Ogni nazione o stato che venga definita tale la preoccupazione più impellente che si pone è quella di costruire una propria difesa dei confini, ossia dotarsi di un esercito. Ed invece da giugno 1998 aprono la Bce, Banca Centrale Europea, con sede a Francoforte.
A Maastricht il problema della difesa i dodici non se lo pongono, forse perché in Europa, seppure la guerra sia terminata da decenni, vi sono ancora basi americane un po’ ovunque, forze militari terrestri ed aeree.
Altro compromesso incomprensibile e dispendioso è la doppia sede governativa: una a Bruxelles ed una Strasburgo, la lingua ufficiosa è l’inglese con 750 parlamentari. Avviene, perciò, che un italiano deve stipendiare parlamentari regionali, nazionali ed europei.
La grande industria franco-tedesca a braccetto con l’alta finanza non trovando ostacoli moscoviti invade la miriade di staterelli della vecchia cortina di ferro e per godere di agevolazioni e benefit di ogni genere sollecitano la classe politica ad allargare l’Europa e così nel 1994 da 12 passa a 15, poi nel 2004 a 27 e nel 2009 con l’ingresso della Croazia diventano 28.
Un numero spropositato di dialetti, di usanze, di religioni. Una torre di babele del XXI secolo nella quale in pochissimi se la godono ed in tantissimi tirano la cinghia. Visto che la lontano la torre sembra d’oro ma in effetti è di ottone neppure ben lucidato, in molti accorrono dal sud e dall’est del pianeta. Sbarcano ed atterrano con la convinzione di essere a casa loro e di comportarsi come più gli aggrada.
Nel frattempo la torre principia a scricchiolare e a perdere pezzi.
La Grecia a lungo sta più fuori che dentro. Il 23 giugno in Gran Bretagna si va alle urne ed il 52 percento degli inglesi decide di abbandonare l’Unione Europea. In Francia la sinistra è ai minimi storici a differenza della destra che si rafforza nelle metropoli e nelle periferie. Marine Le Pen, futura candidata della destra alle prossime consultazioni presidenziali di aprile, ha già dichiarato che in caso di vittoria la Francia si sgancia dall’Europa.
In Germania nelle ultime quattro votazioni in Land strategici Angela Merkel ha subito quattro grosse delusioni. Ha già annunciato ufficialmente di ricandidarsi a settembre 2017 alla testa della grande coalizione ma dovrà fare i conti la 41enne Frauke Petry, la leader di Alternative für Deutschland, Alternativa per la Germania, il partito di destra che sta riscuotendo ampi consensi.
In Italia diviene sempre più numeroso il movimento dell’Exitaly, visto e considerato che di vantaggi e benefici da Bruxelles se ne sono visti molto pochi.
L’entusiasmo iniziale nei confronti dell’Unione Europea scema di giorno in giorno per le numerose iniziative e decisioni adottate a favore di Francia e Germania e a danno dell’Italia. I tedeschi si sono serviti dell’Europa per ricostruire ex novo Berlino e la Germania dell’Est, hanno privilegiato accordi ed intese che conducevano all’industria e alla finanza tedesca.
Forse è esagerato definire il loro un atteggiamento cannibalesco, però rende meglio l’idea.
La Merkel gradirebbe l’ingresso della Turchia per ragioni bancarie e industriali trascurando il particolare che i turchi sono guidati da un presidente che ha eliminato qualsiasi forma di libertà e democrazia. Una nazione di ispirazione musulmana che si sta avviando al culto della personalità, con un presidente, Erdogan, che sta concentrando nelle sue mani ed in quelle dei suoi accoliti più fidati qualsiasi genere di potere. Qualora la Turchia entrasse in Europa avverrebbe un’invasione musulmana strisciante come mai nella storia continentale con quasi 80 milioni di islamici.
Anche gli ottimisti principiano a ricredersi sul futuro dell’UE, se a Bruxelles e a Strasburgo non si ravvedono in tempi brevi la torre babelica rischia di ruzzolare.
Anselmo Faidit
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