Per sconfiggere l’epatite C: online o si va in India
La salute non è tutto ma senza salute tutto è niente, proclamava Arthur Schopenhauer. In genere ci accorgiamo del valore della salute non appena si principia a starnutire, se poi a seguito dello starnuto viene qualcos’altro allora si corre in chiesa.
Giorni orsono telefono ad un amico per incontrarci e mi risponde di trovarsi in India. In India? Appena rientro ti racconto. Vado a trovarlo e mi racconta.
Gli hanno riscontrato la presenza in fase embrionale, appena agli inizi, di una fastidiosa malattia: l’infiammazione del fegato causato da un virus denominato HCV, ovvero epatite C. Non si tratta di uno starnuto ma si deve andare in chiesa.
Il virus attacca preferenzialmente il fegato provocando danni strutturali e funzionali anche molto gravi. Roba che toglie il sonno la notte e la tranquillità il giorno.
Le cure sono reperibili nelle nostre farmacie ma i costi sono proibitivi anche per chi possiede un gonfio portafoglio, il farmaco è il Sovaldi. In oltre il 90% dei casi il virus viene estirpato definitivamente.
Il Sovaldi è prodotto dalla casa farmaceutica statunitense Gilead Sciences International Lmt, con sede a Foster City una cittadina della California. È commercializzato in Italia dalla Gilead Sciences srl. Una confezione 400 mg di 28 compresse ha un prezzo di listino di circa 45.000 euro, con un paio di cure si acquista un appartamento.
In Italia gli affetti da epatite C sono da 200 a 300.000, migliaia in più o in meno.
Si sta parlando di un farmaco “generico” anti-epatite C. Chi è affetto da talune malattie sa molto bene che su internet vi sono gruppi di malati che si confrontano e si scambiano idee ed esperienze, una sorta di tamtam informatico veloce e diretto.
Il caro amico, per comodità lo ribattezziamo Mario, scopre che in alcuni Paesi, non occidentali, lo stesso farmaco, ha un prezzo incredibilmente inferiore, in farmacia è venduto a meno di 1.000 dollari.
Il costo di produzione accertato del flacone è di poco superiore ai 300 dollari.
La casa farmaceutica sostiene che il valore di un farmaco non è quello di produzione ma incide sul prezzo finale soprattutto la sperimentazione, il brevetto e gli investimenti sullo sviluppo clinico.
Negli Usa la Commissione Finanza del Senato apre un’indagine e denuncia l’azienda per aver calcolato il prezzo finale seguendo l’unico obiettivo della massimizzazione del profitto, a prescindere dalle conseguenze sulle persone e sui sistemi sanitari.
La Gilead non si cura delle decisioni della Commissione e prosegue a produrre e commercializzare.
A questo punto viene lecito porsi la domanda: ma sono prodotti taroccati quelli delle farmacie indiane, egiziane ecc? Decisamente no.
La Gilead Sciences Int. ha stipulato accordi di licenza con sette case farmaceutiche generiche aventi sedi in India, mentre nel 2014 ha raggiunto un accordo col Governo egiziano stabilendo che il costo della terapia in quel paese possa essere di 2400 EGP, poco più di 310 dollari.
Tale strategia commerciale può sembrare paradossale ma non lo è perché in molti stati del terzo e quarto mondo quasi nessuno potrebbe concedersi il lusso del Sovaldi, mentre ridimensionando gli utili anche i malati della parte povera del pianeta possono curarsi.
Nei paesi ricchi, o presunti tali, il ricarico è stratosferico del 15.000 percento. È talmente stratosferico che nel 2014 la Gilead ha fatturato col Sovaldi 12 miliardi di dollari, nel 2015 19 miliardi, stabilendo un record difficilmente superabile, risulta essere l’azienda che si è arricchita più di qualsiasi altra nella storia della farmaceutica per la vendita di un suo farmaco nei primi anni. Numeri da guinness.
Il nostro Sistema Sanitario Nazionale non può soddisfare tutte le richieste ma lo concede gratuitamente a chi è più a rischio e a chi è in condizioni economiche più che disagiate. In due anni ne hanno usufruito in 63.000. E tutto il resto?
Dato che non si parla di aspirina ma di un farmaco di primaria importanza, le altre decine di migliaia di malati hanno tentato soluzioni alternative. D’altronde nessuno è disposto ad aspettare che la situazione peggiori e chi può permetterselo sale in aereo e si reca personalmente in India ad acquistarlo. Servono circa 3.000 euro tra viaggio, spese, vitto, alloggio e farmaco.
Sulla necessità dei malati si crea e si sviluppa un turismo sanitario. A volte organizzano agenzie autorizzate, a volte sono gruppi di amici coinvolti direttamente o indirettamente dal problema.
Il viaggiatore può portare con sé farmaci registrati in altri Paesi purché destinati ad uso personale per un trattamento non superiore a 30 giorni e mostrando la prescrizione medica.
La seconda via utilizzata dai pazienti, quanti non possono concedersi neppure il lusso dei 3.000 euro, diventa quella dell’acquisto online. Naturalmente questa seconda alternativa presenta rischi notevoli visto che si parla di salute e di farmaci. Innanzitutto si tratta di un farmaco che non è autorizzato in Italia dall’AIFA, Agenzia Italiana del Farmaco è l’autorità nazionale per l’attività regolatoria del farmaco, o dall’ente europeo EMA, Agenzia Europea per i Medicinali. Ovviamente non si parla di commercializzazione, perché in quel caso è previsto l’arresto e la sanzione.
Molti optano di correre il rischio ed acquistano online. Qualora vi sia il parere del medico curante questi deve predisporre l’apposita documentazione al ministero della Sanità – Ufficio di Sanità marittima, aerea, di confine e di dogana interna, nonché al corrispondente ufficio doganale ove sono espletate le formalità di importazione.
Il 2 settembre scorso il Tribunale del riesame di Roma ha emesso un provvedimento che ha fatto discutere. La dogana di Ciampino aveva bloccato il farmaco anti-epatite C proveniente dall’India che un malato aveva comprato online ed il Tribunale ne ha ordinato il dissequestro poiché “la quantità limitatissima di prodotti importati, la accertata malattia del paziente e la prescrizione prodotta non possono lasciare dubbi in ordine alla destinazione esclusivamente personale dei prodotti importati”.
In sostanza il giudice emette il provvedimento perché “l’importazione che costituisce reato è riferita esclusivamente all’attività di chi abbia introdotto nel territorio dello Stato medicinali per farne successivo commercio, e non anche a chi, come nel caso di specie appare pacifico, li abbia introdotti per farne esclusivo uso personale”.
Il più delle volte se non si fa ricorso al buon senso si genera solo confusione e perdite di tempo.
Si può fermare il desiderio di un malato che vuole guarire?
Intanto le lobby proseguono indisturbate ad arricchirsi e a governare.
Riccardo Dinoves
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