Quel riso amaro, tra Grillo e Poletti
Ho visto una bella puntata de “Il tempo e la storia”, boccone quotidiano di storiografia, a mezzogiorno su Raitre.
Parlavano della svolta della Bolognina, del cambio del nome del Partito comunista italiano. Nell’89 avevo 21 anni non ancora compiuti, ero un giovane militante della storica sezione di via Isola Caprera di Ginosa, in provincia di Taranto, in quello stranito lembo di confine tra Puglia e Basilicata.
Fui anche delegato al congresso provinciale per la mozione Ingrao, quella che si chiamava della Rifondazione comunista e avrebbe poi dato vita al partito di Bertinotti a cui non aderii.
Allora Achille Occhetto, segretario nazionale del Pci, mi sembrava scialbo e inconcludente, in balia delle onde, trascinato dal carro della storia che non poteva più controllare.
Col senno di poi, alla soglia dei 50 anni, quando ho fatto scelte diverse, devo dire che aveva ragione lui ma tali ragioni non le ha mai sapute far valere e la sinistra è ancora vittima di quella sindrome comunista che noi intellettuali, o presunti tali, non conoscevamo, o perlomeno prendevamo sottogamba in una visione romantica di una classe operaia che si andava sgretolando e di cui non comprendevamo le istanze.
Oggi mi chiedono: perché il Partito Democratico vince ai Parioli e perde nelle periferie di Roma?
Probabilmente perché non siamo riusciti a inglobare il sociale in una seria logica di governo inquadrata comunque in un orizzonte realmente riformista, siamo noi, al di là delle scelte individuali, i veri responsabili del populismo imperante.
Sono e mi sento intimamente borghese, anche se c’è voluto molto per capirlo e metabolizzarlo.
I miei riferimenti adesso sono Piero Gobetti, Carlo Rosselli, Eugenio Colorni e Altiero Spinelli.
Forse volo troppo in alto, ma nei vecchi compagni del Partito comunista di periferia e del profondo Sud, di una classe operaia oramai estintasi come Carmine Baldari, Ninuccio Ricciardi, Venturino Cantore, vedevo un’idea di futuro e di progresso che adesso non c’è più.
Forse erano tutti prigionieri di un sogno di cui non capivano i contorni, che alla fine si è rivelato un incubo, ma non era gente arrabbiata, erano piuttosto uomini e donne pronti a mettersi in gioco e a spendersi per cambiare veramente.
Una battuta sulle ripetute castronerie del ministro Giuliano Poletti che alla fine diventa il prodotto più deleterio di un impoverimento graduale della classe politica dirigente e del sogno emiliano che si è rivelato un fragile paravento per la meschineria di una dirigenza che non è stata assolutamente all’altezza dei propri compiti e che si è fatta risucchiare da una logica di potere fine a se stessa senza avere una visione di orizzonte.
Non si vuole assolutamente alimentare polemiche, ma vi sono i presupposti per avere tutte le ragioni del mondo per esprimere una condanna senza appello sull’attuale classe politica imbelle.
Fino a quando avremo ministri come Giuliano Poletti, peraltro espressione di cooperative rosse sulle quali non si è mai indagato abbastanza, il risultato sarà che la gente sceglierà di votare Cinque Stelle.
Grillo non è la soluzione, ma solo il risultato di un corpo malato che rischia di incancrenirsi.
Alimentare furbescamente la rabbia sociale, come fa l’artista comico di Genova, a fronte di una insipienza politica e una manifesta incompetenza non porta mai a nulla.
Non è pensabile una gestione della cosa pubblica senza partiti e senza mediazioni, basata sulla rete e sull’improvvisazione senza la formazione di una adeguata classe dirigente.
Sono d’accordo sui guasti causata dall’attuale classe politica, ma Grillo non è la risposta e lui ne è consapevole. Recita il ruolo del furbastro che sfrutta principalmente il malcontento della gente giunta all’esasperazione
L’uno vale l’altro, può essere un’idea bellissima ma come tutte le utopie non ha nessun fondamento perché in politica non si può assolutamente improvvisare.
Ricordiamoci che i tanti Masaniello che la storia ci ha consegnato hanno sempre combinato disastri, il rinnovamento non può venire da una rigenerazione di massa ma deve passare da una presa di coscienza etica ed individuale, che non significa giustizialista e forcaiola.
Se Grillo ha un merito è quello di aver portato linfa nuova su un agone politico che appariva oramai boccheggiante, ma le energie migliori di questo movimento, devono oramai effettuare il salto di qualità e disintossicarsi dai miasmi di un populismo becero, magari rivitalizzare i partiti tradizionali con la loro forza d’urto e confrontarsi con la politica vera.
Michele Pacciano
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