Natale con i poeti
Roberto Mussapi, in “Luoghi dell’Infinito” la rivista di itinerari, arte e cultura che accompagna mensilmente “Avvenire” riflette che il tema della Natività ha ispirato fino al capolavoro innumerevoli pittori e musicisti, ma non ha smosso composizioni poetiche adeguate per qualità e numero. Pochi grandi poeti si sono misurati con la sovrabbondante pienezza dell’Evento. L’attenzione in genere è stata occasionale. Egualmente sono accorsi i versi dei minori, “spesso molto minori”.
Perché?
Il poeta e drammaturgo ritiene che la “poesia è intrinsecamente una Natività. La grande poesia nasce archetipicamente da una grotta primigenia e buia, dove per un atto d’amore e grazia divina una voce umana pronuncia musiche profonde, celestiali, con parole terrene, umane in lingue storiche.”
Dopo questa stringata spiegazione riferisce che “una delle supreme poesie di Natale” è “Vision and Prayer” di Dylan Thomas, anche se non dedicata esplicitamente al Natale. Poi cita “I Magi” di William Butler Yeats e il “Viaggio dei Magi” di Thomas Stearns Eliot, incantati dalla stella che chiamò i Magi dall’Oriente. Nella rivista Mussapi pubblica una propria poesia “Natale, adesso”, traduce quella sopra detta di Eliot e concede largo spazio a un poemetto di Novalis che è poeta mai abbastanza conosciuto.
In tema, “Natale in poesia. Antologia dal IV al XX secolo” curata da Luciano Erba e Roberto Cicala, Interlinea Edizioni, è la migliore raccolta reperibile in libreria. Pilucca sapientemente nel filone dal “Dialogo tra i Magi e Maria” di Efrem Siro a “I pastori” di Mario Luzi.
Come l’apro, sono posto di fronte al melologo popolare “La Notte Santa”. “Et pour cause”: l’ho recitato e messo in scena senza risparmio per far esplodere la gioia e suscitare la pietà soprattutto fra i bambini. L’autore, Guido Gozzano, è tutt’altro che un minore come sapevano Eugenio Montale e Edoardo Saguineti.
Non mi pare che sia tramontata la gloria scolastica del suo pezzo. Il pellegrinare di Maria e Giuseppe alla fine approdato alla sospirata Betlemme, l’aspra rassegna di alberghi e locande diversamente inospitali, la neve, la stalla con l’asino e il bue, il verso apicale: “Maria già trascolora, divinamente affranta…”, il campanile che scocca la Mezzanotte Santa, l’ora attesa da millenni. Non sbaglia un colpo Gozzano, per raggiungere gradualmente il climax dell’annuncio “È nato!” perdurandovi fra comunicazione del senso e tripudi di Alleluia.
Su questo fitto albero di poesie natalizie ritrovo un sonetto di Sebastiano Satta che immagina i sentimenti di tre uomini in fuga, “incappucciati, foschi, a passo lento” per una contrada spoglia e algida della Barbagia. Mi è molto caro: non dimentica che a Natale si può patire tristezza: “O vespro di Natale! Dentro il core / Ai banditi piangea la nostalgia / Di te, pur senza udirne le campane: // E mesti eran, pensando al buon odore / Del porchetto e del vino, e all’allegria / del ceppo, nelle loro case lontane.”
Qualche anno fa anch’io ho proposto, per conto della Fondazione Lucana Antiusura Mons. Vincenzo Cavalla, un modesto florilegio per Natale, dal titolo “Natum videte”. Quindici testi, di cui solo quello di Jean-Paul Sartre nell’originale è una prosa. Intendevo spingere “cristiani e pagani” a una riflessione liberata dall’assedio dei soldi. Un piccolo dono agli abitanti di Matera e ai visitatori della loro città sicuramente betlemmìta. Lo sto riguardando con stupore. Gli autori convocati sono in ordine Iosif Brodskij, Bertolt Brecht, il già nominato filosofo francese, Paul Claudel, Didier Rimaud, Jan Kasprowicz, David Maria Turoldo, Juan Ramón Jiménez, Edmondo Rostand, Rubén Darío, Dietrich Bonhoeffer, Salvatore Quasimodo e Ada Negri.
Mi commuove molto “La Stella” di Rostand, con i Magi che perdono la stella “per averla troppo a lungo fissata…”. I due re bianchi, sapienti di Caldea, si mettono a calcolare grattandosi il mento. Nulla da fare: la stella è svanita.
Raccoltisi nelle tende, piangono. Ma il re nero, disprezzato dagli altri, mormora fra sé e sé: “Pensiamo alla sete che non è la nostra. / Bisogna dar da bere, lo stesso, agli animali.” E mentre regge il secchio per l’ansa, “nello specchio di cielo / in cui bevevano i cammelli / egli vide la stella d’oro che danzava in silenzio”.
Tuttavia preferisco “La Vergine di Moissac” di Paul Claudel, con il Bambino che, assatanato ghiottone, si accomoda al petto imbanditogli dalla Madre. “Lei freme sino in fondo alla sua carne e nello stesso tempo con tutte le forze mantiene lo spietato lattante. / Strilla e ride sommessamente e dice che è spaventoso e bello”.
Sarebbe fruttuoso fare un’incursione fra i poeti russi Esenin, Pasternak e Brodskij, il più natalizio di tutti, ma la Vigilia incombe. Non stoni la conclusione con Brecht, in questa stagione complicata, oscura, esperta di miseria e chiusa: “Oggi siamo seduti, alla vigilia / di Natale, noi, gente misera, in una gelida stanzetta, / il vento corre fuori, il vento entra. / Vieni buon Signore Gesù, da noi, volgi lo sguardo: / perché tu ci sei davvero necessario”.
Dalle omelie e discorsi di Buenos Aires 1999/2013, di Jorge Mario Bergoglio divenuto Papa Francesco, pubblicati ora da Rizzoli con il titolo “Nei tuoi occhi è la mia parola” acciuffo la conclusione poetica di un’omelia a Natale 24 dicembre 2001. È la poesia vergata dal grande poeta José María Castiñeira de Dios in una triste notte di Natale:
“Signore, che non mi hai mai negato niente, / Niente ti chiedo per me; solo ti prego / Per ciascun fratello addolorato, / Per ciascun povero della mia terra amata. /Ti prego per il suo pane e il suo salario, / Per il suo dolore di uccello sfinito, / Per il suo riso, il suo canto e il suo fischio, / Oggi che la casa è rimasta silenziosa. / Ti chiedo, con parole inginocchiate, / Una briciola delle tue meraviglie, / Un tozzo di amore per le sue mani, / Un sogno, soltanto un uscio aperto; / Oggi che la tavola è deserta / E piangono, di notte, i miei fratelli”.
Basilio Gavazzeni
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