Doping, dalla Russia le morbide ammissioni di colpa
Silvia ha fatto parte della nazionale italiana di nuoto negli anni Sessanta e quando ci incontriamo il discorso scivola spesso su quei ricordi in piscina. Brava tecnicamente ma fisicamente è uno scricchiolo. Il periodo è quello del Muro di Berlino e della doppia Germania: Est ed Ovest. Le nuotatrici tedesche sembrano degli armadi galleggianti per la loro possente struttura fisica, dei ciclopi. Con anni di ritardo verrà reso noto che gli armadietti erano colmi di steroidi e anabolizzanti che ovviamente consentivano di salire sul podio e fare incetta di medaglie.
Il ricordo storico è dietro l’angolo e pochi giorni orsono alcuni funzionari dello sport statale russo hanno ammesso di aver somministrato agli atleti che partecipavano a gare internazionali nell’ultimo decennio miscugli di sostanze illecite.
I sospetti viaggiavano nell’aria da diverso tempo, difatti già a novembre 2015 la Wada, World Anti Doping Agency, scopre che il mondo dello sport russo utilizza tranquillamente sostanze dopanti. I russi corrono immediatamente ai ripari e chiudono l’agenzia russa antidoping, Rusada, nelle ore successive due dirigenti muoiono in circostanze strane, Nikita Kamayev e Viaceslav Siniov.
A questo punto Grigory Rodchenkov, il direttore del laboratorio, se ne scappa negli Stati Uniti per timore di divenire la terza vittima. Spinto dal rimorso e dalla paura da Los Angeles, sua nuova residenza, principia a spiattellare tutto l’archivio della sua memoria e l’11 maggio 2016 concede una memorabile intervista al New York Times durata tre giorni.
Lo scandalo diventa planetario con coinvolgimento dei massimi vertici politici di Mosca e della Fsb, i servizi di sicurezza per capirci meglio l’ex Kgb. Il 1° novembre 2015 il senegalese Lamine Diack, ex presidente IAAF, Federazione Internazionale di Atletica Leggera,
era stato tratto in arresto per aver intascato ingenti somme necessarie ad insabbiare i test positivi degli atleti russi. Il CIO, Comitato Olimpico Internazionale, minaccia di non far partecipare la Russia ai giochi olimpici di Rio di agosto.
Interviene personalmente Vladimir Putin sostenendo che Rodchenkov non merita neppure un grammo di credibilità e che tutto l’apparato governativo è completamente estraneo alla vicenda.
Rodchenkov ha sempre sostenuto che lui e il suo staff ricevano indicazioni da Mosca sui cocktail che preparavano con metenolone, trenbolone, oxandrolone e tre steroidi anabolizzanti, alla fine venivano shakerate con Chivas per gli uomini e con Martini per le donne.
Nelle settimane in cui tutto viaggiava a gonfie vele il responsabile della Rusada riceve encomi, pergamene ed altro.
La nuova responsabile dell’agenzia antidoping russa, Anna Antseliovich, ha ammesso che “c’è stata una cospirazione istituzionale”. È un primo segnale di ammissione di colpa che in prima battuta appare come un messaggio politico in previsione dell’insediamento di Donald Trump a Washington ma forse per ammorbidire gli organi internazionali sportivi visto che il 14 giugno 2018 dovrebbe aver inizio il Campionato mondiale di calcio che si disputerà per l’appunto in Russia.
Tutti sanno che vortice economico e d’immagine genera un evento del genere per cui occorre presentarsi all’appuntamento con la faccia ben lavata e levigata.
Se al mega scandalo russo si aggiunge quell’altro mega scandalo della Fifa, Fédération International de Football Association, che travolse tutto il vertice planetario a partire dal gaudente svizzero Joseph Blatter e che coinvolse anche roi Michel Platini, le cui conclusioni sono state la squalifica di entrambi per 8 anni con l’accusa di corruzione, allora sì che l’odore del fango diventa insopportabile.
Ovvio che presentarsi a giugno del 2018 con gli armadi pieni di scheletri e di anabolizzanti avrebbe significato per la Russia fornire ampi spazi a commenti e sorrisi sarcastici ad ogni minimo movimento dubbioso in campo e sulle tribune vip. Di conseguenza è iniziata la stagione dei riconoscimenti di una parte degli errori commessi “dagli altri”, da quelli che oramai sono stati defenestrati e allontanati, visto che le colpe dei padri
non possono ricadere sui figli a questo punto i figli hanno la coscienza a posto. Qualche suonatore è stato emarginato dal palcoscenico e probabilmente anche qualche spartito lo avranno cestinato per cui nei prossimi diciotto mesi a Mosca proveranno a rifarsi l’immagine per giungere all’appuntamento lindi e puri specie perché la memoria funziona a intermittenza.
Se la memoria rimarrà a accesa o spenta dipenderà anche dal sentimento che si instaurerà tra Vladimir Putin e i partner occidentali a cominciare da Donald Trump e dai futuri cancellieri che si insedieranno a Parigi, ad aprile, e a Berlino, a settembre.
La pubblica ammissione di colpa è un segnale indicativo del disgelo in atto tra russi e occidentali, l’embargo che non ha giovato ad alcuna causa sta per essere accantonato ed ora che Barack Obama sta per sloggiare definitivamente dalla Casa Bianca la dichiarazione moscovita può essere letta con mezzo sorriso sulle labbra.
Raimondo Adimaro
Commenti
Doping, dalla Russia le morbide ammissioni di colpa — Nessun commento
HTML tags allowed in your comment: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>