Riprendere il dialogo e la fiducia tra medico e paziente
Sul rapporto medico-paziente ho già espresso più volte la mia personale opinione. Sempre più spesso
compaiono articoli sui giornali, su riviste specializzate, nelle quali viene messo in risalto l’eccessivo, e spesso non giustificato uso di prescrizioni terapeutiche, come esami di laboratorio, interventi chirurgici non sempre appropriati; in una parola spesso inutili quando addirittura dannosi.
E giù a rivoler considerare l’ormai logoro argomento del vituperato rapporto medico-paziente che per
sua natura si presta a diverse visioni, anche in base alla prospettiva di chi lo giudica: medico di famiglia, internista ospedaliero, politici, pubblici amministratori, industrie farmaceutiche, nonché i soliti soloni
che spesso senza alcuna esperienza pratica “sul pezzo”, pontificano senza contraddittorio.
Nei decenni scorsi, quello che il medico faceva, o diceva, era preso (erroneamente) per oro colato anche
perché il carisma dei medici era molto alto, e nessuno si permetteva di criticare o tantomeno iniziare una causa legale contro il suo operato.
Nel corso degli anni la fiducia negli operatori sanitari è diminuita, gli errori medici sempre più evidenziati e denunciati (giustamente) fino a creare un clima di sfiducia nella professione medica.
A scanso di equivoci, i medici, come chiunque altro prestatore d’opera pubblici o privati, devono rendere conto del proprio operato nei termini delle leggi correnti secondo le attuali disposizioni e quelle in divenire proprio in questi giorni; però, per onestà, tali comportamenti devono poter essere analizzati e giudicati anche da più punti di vista.
Oggi i medici, complici gli Ordini nonché i sindacati, sono ostaggi (se non complici) del sistema politico-amministrativo; un esempio banale sono i concorsi pubblici sui quali è bene stendere un velo pietoso: il potere politico prima ti dà e poi passa alla cassa.
Questo ha portato nel tempo ad un progressivo impoverimento delle qualità professionali perché la meritocrazia non sempre viene premiata. A questo si aggiunge, a mio modo di vedere, la progressiva erosione della libertà prescrittiva dei medici (soprattutto di quelli di famiglia), che si sentono sempre più minacciati nelle loro decisioni giornaliere, o da denuncie dei propri assistiti che si ritengono danneggiati da decisioni terapeutiche da loro ritenute non appropriate, o da qualche zelante amministratore che imputa loro aumenti di spesa, a suo dire, ingiustificata.
Se ad una categoria (vedi ad esempio gli insegnanti) togli progressivamente l’autorità, prima o poi qualcun altro prende in sopravvento, e finisci per essere talmente esasperato che non hai più voglia di migliorarti ma solo di proteggerti.
Questa non è, ovviamente, una regola assoluta, ma ormai l’esperienza negativa di tantissimi colleghi ha instaurato un meccanismo di difesa, anche inconscio, che ha modificato profondamente la qualità della professione quotidiana.
Credo che sarebbe opportuno scendere ogni tanto dal piedistallo parolaio e rendersi conto che spesso sono i problemi concreti e di scarsa considerazione che condizionano il nostro modo di agire anche professionale.
Queste semplici considerazioni sono frutto di esperienza personale diretta pluridecennale che lungi dal voler creare polemiche inutili, vorrebbe facilitare un sereno dibattito a più voci.
Enzo Tattini
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