Il muro di Trump e il camaleontico sultano Erdogan
Una delle prime mosse di Donald Trump in politica estera è stata quella di rafforzare militarmente i confini meridionali con il Messico, subito dopo ha messo in cantiere il progetto, tramite decreto, di bloccare l’ingresso ai rifugiati siriani. Nel prossimo decreto dovrebbe comparire anche la sospensione per 30 giorni di visti di ingresso ai provenienti da Iran, Iraq, Libia, Siria, Somalia, Sudan e Yemen.
Segnali rivolti al popolo americano come pure agli alleati europei.
Ha lanciato un messaggio limpido e netto su quali binari viaggerà la sua amministrazione: in direzione opposta a quella del suo predecessore Barack Obama.
Altro suo intento è quello di chiudere i rubinetti dei finanziamenti alle Nazioni Unite e alla miriade di enti ad essa collegati, enti tra i quali vi sono pure associazioni apertamente ostili alla bandiera a stelle e strisce. Cernita e pulizia.
Finanziamenti che saranno annullati a tutti quegli enti che in qualche maniera, diretta o indiretta o tramite terzi, utilizzano i dollari ricevuti da Washington per nuocere agli Usa.
Prima o poi proseguendo di questo passo forse si arriverà a capire chi finanzia e sostiene la miriade di guerriglie che si combattono nel mondo, visto che un vecchio adagio gallico ci ricorda che “l’argent fait la guerre”.
Dato che siamo in genere noi occidentali che produciamo e commercializziamo armi, non dovrebbe essere molto difficile, volendo, districare la matassa e individuare che sono i finanziatori e i fornitori di armi.
Chi sono i finanziatori dei giovanotti palestrati con doppio cellulare che raggiungono le nostre sponde, perché se è vero che provengono da Paesi dove le retribuzioni mensili non superano i cento dollari qualcuno bisogna che glielo paghi il viaggio sul gommone per 4.000 o 5.000 euro.
Trump per porre un rimedio alla politica estera disastrosa di Barack Obama e Illary Clinton ha in programma di allentare le tensioni con la Russia ed instaurare con Putin un rapporto di collaborazione tra le due superpotenze per arrivare ad una tregua che possa dare corso ad un processo di pace in Siria.
Una parte dei media del pianeta prosegue, intanto, a cercare la pagliuzza nell’occhio del neo presidente e a inseguire il pettegolezzo come è accaduto quasi sempre durante la recente campagna elettorale sbattendo in prima pagina una sua foto all’interno dello studio ovale circondato da soli uomini e nessuna donna. Si chiama maschilismo?
All’esterno della casa bianca, invece, manifestano le super star miliardarie hollywoodiane capeggiate da Madonna Louise Veronica Ciccone, di origine abruzzese, e Lady Gaga, battezzata Stefani Joanne Angelina Germanotta di origine siciliana.
Le cronache non raccontano di partecipanti provenienti dalla catena di montaggio della Ford, dai mercati generali, dall’edilizia, ovvero da quella categoria di persone che ha subito il tracollo economico e che fa fatica a rialzarsi.
Ma fino al giorno in cui sfilerà questa gente che incassa centinaia di migliaia di dollari al giorno vorrà solo dire che Trump non sta facendo i loro interessi.
Una delle prossime questioni spinose che dovrà affrontare il presidente repubblicano è il dossier Turchia.
Il Paese attraversa un periodo di turbolenza al proprio interno e nel contempo con quelli che sono stati i suoi alleati dalla fine del Secondo Conflitto.
Recep Tayyip Erdogan, il presidente, sta facendo l’impossibile per accentrare nelle sue mani quanto più potere è possibile. Non essendogli riuscita in pieno la forzatura di entrare nell’Unione Europea imponendo le sue regole e le sue condizioni, ha bussato al Cremlino più per far ingelosire i suoi dialoganti europei che per concretezza. Sa bene che le forze armate statunitensi sono ben presenti in Turchia con una quindicina di basi militari che gli coprono le spalle da attacchi aerei e terrestri e che gli garantiscono introiti economici e quindi deve muoversi con cautela.
Da quando ha deciso di schierarsi a favore dell’opposizione jihadista siriana è entrato in una spirale dalla quale non ce la fa ad uscirne. Non riesce a reperire soluzioni accomodanti con i curdi ed ha bisogno della violenza e della repressione per mettere a tacere le opposizioni parlamentari.
Ancora riecheggia nelle orecchie la violenta repressione adottata dalle sue milizie nel giugno del 2013 con la rivolta di Gezi Park.
Nella foga di sconfiggere i curdi si è alleato con l’ISIS o Daesh o Isil o Stato Islamico che dir si voglia. Avvertendo un certo distacco da parte di europei ed americani ha fatto un mezzo sorriso a Putin il quale ha risposto con mezzo sorriso ma essendo un leader che gode di ottima salute e di ottima memoria (vedi l’abbattimento del jet russo SU-24 a novembre del 2015 mentre sorvolava il confine tra Turchia e Siria) il presidente turco dovrà essere molto cauto nel tracciare il suo cammino.
Altro inghippo per Istanbul sono quei tre milioni di profughi che periodicamente Erdogan minaccia di trasferire in Europa, avvertimento che utilizza per incamerare qualche milione di euro.
Trump ha ripetuto diverse volte che con Putin occorre riprendere a dialogare e che bisogna abbattere tutti i ponti ed i legami con gli islamisti che sono uno spauracchio per gli Usa.
Donald Trump non appartiene alla categoria del volemose bene alla Barack Obama, come pure Vladimir Putin.
Arnaud Daniels
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