La Memoria. Susan Rucinska, l’ebrea salvata dalla musica
Ho incontrato, ho ascoltato decine di deportati e ogni volta ho sempre paura di banalizzare e scarnificare un grande dolore.
Chi non ebreo, per quanto si sforzi, non potrà mai intimamente comprendere il dramma della Shoah. La memoria, per un ebreo, è nelle ossa.
Hitler non è un fungo nato dal nulla, né il prodotto di una follia collettiva. Il nazismo è il punto di arrivo di un pregiudizio sedimentato nei secoli, il bubbone incancrenito di un’invidia sociale che diventa odio razziale, uno stigma storico ed esistenziale che ha fatto degli ebrei i principali responsabili di tutti i mali del mondo, aggrappando tutte le proprie frustrazioni su un presunto deicidio.
Il problema reale, fin dalla cattività babilonese e dalla distruzione del Secondo Tempio da parte di Tito, era che i figli di Sion camminavano sempre un passo più avanti degli altri.
Quando il mondo precipitava nelle ombre del medioevo, ogni bambino ebreo doveva saper leggere e scrivere per interpretare la Torah. Questo creava strumenti cognitivi che altri popoli, pur conoscendoli, non usavano in maniera così perspicace.
Gli ebrei furono i primi a sancire l’uguaglianza morale di ogni uomo di fronte a Dio, a decretare il riposo settimanale, dedicato soprattutto alla contemplazione, quindi alla riscoperta di sé. E questo riguardava, sia lo schiavo che l’uomo libero.
La donna nella società ebraica ha sempre avuto un ruolo nascosto ma preminente. Spesso le sorti del popolo sono state salvate e capovolte dall’intervento di una donna.
L’esempio più emblematico nella Bibbia è quello della regina Ester, che salva il suo popolo dalle angherie del re Assuero che li aveva condannati a morte.
Non è un caso che l’appartenenza al popolo ebraico si acquisti per parte di madre. Questo non è dovuto, solo alle frequenti schiavitù e violenze, ma piuttosto al fatto che, cominciando da Sara, a Rebecca, a Miriam, sorella di Mosè e quella Miriam, Maria, che si farà sposa di Giuseppe e madre di Gesù,la storia del popolo ebraico è sempre scandita da una linea al femminile che la caratterizza e la connota nei secoli, fino ad arrivare ad Anna Kuliscioff, nobile ebrea russa, prima anarchica con Mikhail Bakunin e poi madre nobile del socialismo italiano con Andrea Costa e Filippo Turati, per finire ad Ada Sereni e Golda Meir.
Mi vengono in mente i miei amici, Shlomo Venezia, ultimo testimone oculare dei Sonderkommando di Auschwitz, Piero Terracina, Sami Modiano, Raimondo di Neris e tanti altri. Alcuni li ho conosciuti personalmente, altri mi sono stati raccontati dalle parole di figli e nipoti, i cui ricordi strappati, mi gelano ancora il cuore.
Ma quest’anno voglio raccontare una storia diversa, la storia di come la musica abbia salvato dall’inferno una ragazza bellissima che poi è diventata una delle più grandi clavicembaliste e musiciste del mondo.
Il 14 gennaio 2017 Susan Rucinska ha compiuto 90 anni. Era nata in un piccolo paese della Cecoslovacchia nel 1927. Sua madre era ebrea, suo padre ateo. Fin da ragazzina fu affascinata dalle partiture di Johann Sebastian Bach e dal suo magico clavicembalo. Subito dopo l’invasione della Cecoslovacchia, quando i tedeschi vennero a prenderla, nel 1943-44 a soli 17 anni, nascose lo spartito della toccata e fuga in re minore nelle pieghe dei vestiti e continuò a studiare Bach nel campo di concentramento di Terezin.
Nelle notte scura dello sterminio, interiorizzó le partiture alla flebile luce di una candela di sego, la fiamma tremolante di una speranza l’aiutò a vivere e a non mollare. Per non arrendersi sognava di suonare Bach su un clavicembalo del Settecento.
Dopo la liberazione emigrò in America e la sua carriera concertistica prese il volo. Nessuno ha mai colto la magia di Bach come lei incantando generazioni di allievi, di musicisti e di pubblico ai quattro angoli del pianeta.
Forse l’anima di Bach le era vicina a Terezin.
In occasione del suo novantesimo compleanno, in concomitanza con la Giornata della Memoria, la prestigiosa etichetta di musica classica Deutsche Grammophon le dedica un cofanetto con le sue più pregevoli esecuzioni.
Potrei raccontare tante altre storie, ma Susan Rucinska continua a rammentarmi che per quanto vi abbiano brutalmente provato, i nazisti non hanno sconfitto la musica, non hanno sconfitto la vita.
Michele Pacciano
Credo nel sole, anche quando non splende;
credo nell’amore anche quando non lo sento;
credo in Dio, anche quando tace…
(Questa scritta fu trovata sul muro di una cantina di Colonia dove alcuni ebrei si nascosero per tutta la durata delle persecuzioni naziste, bg).
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