Si legge sempre meno e si scrive sempre peggio
La situazione attuale della cultura fa storcere il muso. Per la prima volta nella storia della Repubblica abbiamo un ministro della Pubblica Istruzione privo del titolo universitario, vi è un conflitto in essere tra case editrici per le manifestazioni del Libro, l’Istat ci rende noto che negli ultimi sei anni il Paese ha perso 3.300.000 lettori, i nostri atenei sono esclusi dalle eccellenze mondiali.
600 docenti universitari si rifolgono al ministro Valeria Fedeli sollecitandolo ad intervenire perché molti studenti scrivono male, mettendolo al corrente che alcune facoltà hanno addirittura istituito dei corsi di italiano, del genere “non è mai troppo tardi”.
In Italia 687 Comuni con più di 10.000 abitanti sono privi di librerie, l’8,6 percento, la percentuale quasi raddoppia nelle Isole, il 15,1 percento, mentre al Sud si esagera, il 33,3 per cento ossia uno su tre. Anche il Nord Est non sta granché bene con il 20,5 percento, uno su cinque.
Se poi si vanno a spulciare i dati delle biblioteche scolastiche le cifre fanno rabbrividire: 486.000 ragazzi frequentano istituti privi di biblioteche, 262.000 appartengono alla scuola primaria, 147.000 alla secondaria di primo grado e 77.000 alla secondaria di secondo grado.
3.500.000 studenti frequentano istituti che posseggono un patrimonio librario inferiore alla media, ciò significa che la possibilità di scelta dei testi si riduce sensibilmente.
Nel momento in cui la scuola, il corpo docente, non possono o sono frenati nel trasmettere a bambini e adolescenti l’amore e la passione per la lettura (non si prende neppure in considerazione il “non vogliono”) è scontato che tale lacuna se la portano dietro per tutta la vita, salvo rare eccezioni. Il risultato lo si riscontra all’Università nel momento in cui 600 professori inviano una lettera al ministro, ma probabilmente la lettera non è altro che la punta dell’iceberg.
Diventa tutto un sistema negativo concatenato, funzionano non come dovrebbero le elementari, poi le medie, quindi le superiori e di conseguenza non funziona l’università. Ne siamo a conoscenza noi italiani, ne sono a conoscenza oltre le Alpi, ragion per cui nel momento in cui si stilano le graduatorie per le migliori università del pianeta noi non compariamo.
In compenso siamo ai vertici per l’utilizzo di cellulari, smartphone e compagnia cantando. Non appena un bambino si iscrive alle elementari uno dei primi regali che riceve è l’apparecchio telefonico. Una seconda stranezza è che nella penisola vi sono 4.976 tra musei, siti archeologici, complessi monumentali e similari contro le 1874 librerie, dati riferentesi al 2015.
Altro dato che serve porre in evidenza: legge solo un terzo degli uomini contro la metà delle donne, dal 1988 il grafico dei lettori tende alla discesa e dopo il 2010 accelera ulteriormente verso il basso. Si parla, però di lettori occasionali che aprono un libro l’anno, massimo due, perché solo il 5 percento degli italiani legge oltre dieci libri da gennaio a dicembre.
Naturalmente non tutte le colpe possono essere addossate alla scuola e alle pubbliche istituzioni, perché secondo gli editori le cause oltre che nell’inefficienza delle politiche scolastiche di educazione alla lettura sono da ricercare nel basso livello culturale della popolazione come pure nelle inadeguate politiche di incentivazione all’acquisto dei libri ma soprattutto nella quasi inesistente promozione e incentivazione alla lettura da parte dei media. Un effetto è che talune trasmissioni televisive fanno rabbrividire per l’abbondanza di spazzatura che propinano.
Anche nella classifica europea della lettura ci ritroviamo nelle ultimissime posizioni in compagnia di Portogallo, Spagna e Grecia.
Le case editrici invece di fare fronte unico per combattere questa negligenza nazionale si spaccano e da quest’anno il Salone del Libro di Torino dovrà guardarsi dalla concorrenza di Milano-Rho. La bufera giudiziaria che nei mesi scorsi si è abbattuta sulla Fondazione Salone del Libro di Torino di certo non ha contribuito a rasserenare gli animi.
Serve uno sforzo comune da parte di tutti gli attori per vitalizzare un settore che oltre a ricchezza intellettuale porta benessere economico ma sino a quando il ministro Valeria Fedeli promuove e sponsorizza eventi teatrali di genere le speranze che si abbandonino le retrovie europee sono parecchio blande.
Guglielmo d’Agulto
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