Prima La Pira, Milani e Berlinguer e dopo il buio
Ho seguito nelle ultime settimane un corso universitario sulla figura di tre italiani nel periodo del secondo novecento tra politica e fede: Giorgio La Pira (1904-1977), Lorenzo Milani (1923-1967), Enrico Berlinguer (1922-1984). Tre personaggi diversi per personalità e ruolo sociale ma accumunati da uno stesso filo conduttore: passione per la politica – politica come passione – e i “poveri” come bussola della loro attività.
“Se devo restare nell’agone politico, la mia divisa resta sempre più precisa: combattere l’ingiustizia, difendere gli oppressi, tutelare il pane dei deboli, sventare le insidie dei potenti (G. La Pira 1958,
lettera a Pio XII)”.
“I partiti non fanno più politica … i partiti hanno degenerato e questa è l’origine dei mali d’Italia (Enrico Berlinguer 1981)”.
Queste non sono semplici frasi, magari ad effetto, dette in qualche occasione per strappare qualche applauso, ma regole di comportamento che hanno caratterizzato tutta la loro esistenza! Per La Pira, uomo tendenzialmente solo, anche se uomo del dialogo, seppur in realtà si è sempre mosso in un universo abitato solo da lui, uomo del dialogo che ha sempre vissuto un colossale monologo (E. Balducci). Ma cosa sarebbe stato La Pira senza la fede?
“Io sono un venditore di speranza, non vendo una cosa sperata, io vendo la speranza (G. La Pira)”.
La Pira si muoveva con agilità negli spazi del potere senza lasciarsi condizionare perché non aveva radici in nessun luogo politico, non aveva gruppi, movimenti, famiglie culturali da cui farsi rappresentare. A suo giudizio sarebbe bastato far convergere le parti differenti, anche ideologiche, verso un unico fine perché gli antagonismi perdessero ogni ragion d’essere; tutti unificabili e partecipi di un comune disegno purché fossero accumunati dalla volontà di guardare avanti, oltre le forme tradizionali della politica.
Naturalmente il sindaco di Firenze fu soggetto a critiche feroci, soprattutto nel suo partito, la DC (anche se non si identificò mai con essa), ma non solo; accerchiato dai giornali (La Nazione con il nuovo direttore Enrico Mattei). Nella Curia Fiorentina dove arriva un amministratore apostolico non richiesto e non gradito, che affianca il cardinale Elia Dalla Costa, vecchio e malato, suo amico e confidente.
Per lui l’amministrazione comunale di Palazzo Vecchio rappresentava l’organo tecnico competente per soddisfare i bisogni più urgenti degli umili, tentando di risolvere concretamente i problemi dei più poveri della città perché tutto era incentrato sul valore della persona, seguendo anche le riflessioni di S. Tommaso (La Città di Dio). Per La Pira il lavoro ha un valore sacro, per la persona, la famiglia, l’intera società. Nell’ottica medievale del primo cittadino fiorentino non c’è separazione tra sacro e profano, l’impegno laico e politico non si distinguono da quello religioso.
“Crede Lei nelle parole divine dell’Evangelo? Ha presente la parabola del Buon Pastore che dà la vita per le sue pecorelle? Come può Lei abbandonare al proprio destino 2000 lavoratori (polemica con Marinotti, presidente di Snia Viscosa, azionista di maggioranza del Pignone)?”.
“Le leggi che regolano l’economia, che sono pure leggi divine, non possono essere superate (polemica con Angelo Costa presidente di Confindustria)”.
Per certi versi diverso, ma simile nella visione della “cosa politica”, Enrico Berlinguer, uomo di onestà cristallina: “La questione morale è diventata oggi la questione più importante! La morale viene
prima della politica!”.
L’intervista di Berlinguer ad Eugenio Scalfari del 28 luglio 1981 dovrebbe essere stampata e distribuita obbligatoriamente a tutti i nostri politici di oggi: “La questione morale si identifica oggi con l’occupazione dello Stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt’uno con la guerra per bande, fa tutt’uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro che vanno semplicemente abbandonati e superati. Ecco perché dico che la questione morale è il centro del problema italiano (Berlinguer 1981)”.
Il fallimento della strategia del compromesso storico e della solidarietà nazionale sono da imputare, secondo Berlinguer, anche alle risposte negative del governo in carica di fronte alla catena di scandali, di deviazioni negli apparati dello Stato e di intrighi di potere che ha fatto emergere i problemi di correttezza e di moralità delle direzione politica.
Nel 1980 la magistratura scopre l’elenco degli iscritti alla loggia P2 di Licio Gelli, nell’elenco ci sono i nomi di tre ministri in carica, due ex-ministri, di Pietro Longo segretario del PSDI- partito di governo-, del portavoce di Forlani, presidente del Consiglio, nonché dei vertici dei Servizi Segreti, giornalisti, magistrati…. parlamentari (ma non iscritti al Pci).
“I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientele, scarsa o mistificante conoscenza della vita e dei problemi della società, idee, ideali, programmi pochi e vaghi, sentimenti e passione … zero. Gestiscono interessi i più disparati, anche loschi, senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli senza perseguire il bene comune (1981)”.
il segretario del Pci faceva delle sue idee una carta di credito per la “diversità comunista” mettendo al centro della sua visione politica non solo gli operai con i sindacati, ma anche gli emarginati, i sottoproletari, le donne e gli anziani. “Quando si chiedono sacrifici alla gente che lavora, ci vuole un grande consenso ed una grande credibilità politica e la capacità di colpire esosi e intollerabili privilegi“.
La storia ha poi dimostrato che anche il grande carisma di Berlinguer, una volta morto, si è andato assottigliando, ed il partito di oggi si è molto modificato prendendo connotati sicuramente diversi.
Tratti in comune si possono riscontrare anche in Lorenzo Milani, prete della Chiesa Fiorentina che analizza la condizione dei poveri da un altro punto di vista non meno importante e urgente: l’abisso culturale dei bisognosi, “ciò che manca ai miei è il dominio della parola, sulla parola altrui per afferrare l’intima essenza e i confini precisi, sulla propria perché esprima senza sforzo e senza tradimenti le infinite ricchezze che la mente racchiude …”.
“L’operaio conosce 300 parole, il padrone 1000, per questo lui è il padrone …… Da bestie si può diventare uomini, e da uomini santi; ma da bestie a santi d’un passo solo non si può diventare…”.
Ecco quindi l’importanza dell’istruzione (12 ore al giorno per 7 giorni la settimana) “non secondo i metodi della scuola classica con le sue storture …” non bisogna preoccuparsi di come bisogna ‘fare per fare scuola’, ma di come ‘bisogna essere’ per poter fare scuola…..”.
La “Lettera ad una professoressa (volume scritto da Milani e pubblicato nel 1967, ndr)” è un qualcosa di unico ed irripetibile di don Lorenzo sui “custodi del lucignolo spento”. Una vita la sua intessuta di amore che “non vuol dire amare tutti nella stessa maniera, ma essere faziosamente dalla parte di chi è vittima dell’ingiustizia, dell’oppressione atavica secondo una logica biblica… Bocciare è come sparare in un cespuglio; forse era un ragazzo, forse una lepre… si vedrà in seguito… Non c’è nulla di più ingiusto quanto far le parti uguali fra diseguali… Voi dite di aver bocciato solo i cretini e gli svogliati, allora sostenete che Dio fa nascere i cretini e gli svogliati nelle case dei poveri… è più facile che i dispettosi siate voi……”.
Tre figure di spessore che nella rievocazione, per ovvi motivi incompleta, mi hanno fatto pensare alla siderale differenza dalla politica odierna e dai suoi penosi rappresentanti. Si ha un bel dire che i tempi sono diversi come la visione delle cose in un mondo che cambia velocemente trovandoci spesso impreparati nella sua rapida evoluzione,
ma proprio per questo sarebbero necessarie figure di spicco che elevandosi dalla mediocrità comune potessero dare a tutti esempi di coraggio e fiducia. L’onestà morale individuale così come altri valori dovrebbero essere criteri di scelta per tutti i settori del comune vivere soprattutto per chi esercita poteri istituzionali. Con chi invece abbiamo a che fare oggi? Con una massa di personaggi che hanno la totale ed assoluta incapacità di gestione della cosa pubblica; scandali quotidiani con sperpero di pubblico danaro che fanno arrossire di rabbia tanta povera gente alla quale sono riservati sacrifici sempre più insopportabili; totale disinteresse per il benessere del paese, con la politica asservita ad interessi personali. Fa pena e suscita un senso di disprezzo assistere impotenti alla quotidiana presenza, asfissiante e prepotente, di personaggi politici, alcuni ormai “datati” o “risuscitati”, che senza alcuna vergogna parlano e straparlano all’infinito, non sanno più cosa dire nell’indifferenza generale, non credono neppure loro a quello che dicono salvo la certezza di mantenere la propria poltrona con i loro vergognosi privilegi che nessun altro possiede.
Qualcuno, in maniera infantile, dirà che abbiamo i mezzi per invertire questo stato di cose: il voto! Ma a chi? Quando non possiamo scegliere con cognizione i nostri “rappresentanti”: questa è “cosa nostra” dicono i boss dei partiti. E le centinaia di parlamentari che dopo aver ricevuto voti con un partito, passano ad altro schieramento, magari opposto, solo per interessi personali? Ma li avete visti i cosiddetti leader? Affidereste il destino del paese a personaggi come quelli che compaiono tutti i giorni sui giornali e a tutte le ore su radio e televisione? Oppure di nuovo a Matteo Renzi ultimo avventore di Palazzo Chigi che, sebbene sull’onda di un iniziale plebiscito mai raggiunto da nessuno, in pochissimo tempo, con il suo agire spregiudicato e ridanciano, è stato miseramente rottamato?
Daltronde avrebbe dovuto saperlo che chi di spada ferisce di spada perisce.
Tramite il voto il cittadino esercitano la democrazia, ma la democrazia è una cosa troppo preziosa per poterla fare esercitare dai nostri politicanti inaffidabili: mala tempora currunt.
Enzo Tattini
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