Il velo non lo indosseremo né oggi e né mai
Il 2017 si preannuncia denso di notizie e di episodi che si susseguono a ritmo sostenuto.
Con l’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti la destra in Occidente ha ripreso fiato e le previsioni evidenziano una crescita a macchia di leopardo. Con l’invasione in atto da parte di africani e mediorientali in Europa il malcontento nel vecchio continente lievita di giorno in giorno.
Tra poche settimane, domenica 23 aprile, i francesi saranno chiamati alle urne per eleggere il successore di François Hollande all’Eliseo. L’ultimo sondaggio mostra che Marine Le Pen, del Front National, sfiora il 30 percento contro il 20 per cento del repubblicano François Fillon e del centrista fuoriuscito dai socialisti Emmanuel Macron.
La leader della destra ora comincia a dedicare il suo tempo anche ai rapporti internazionali.
Nei giorni scorsi Marine Le Pen si è resa protagonista di un episodio che ha suscitato un certo clamore.
Visitando il Libano era previsto dovesse incontrare nella capitale il “gran mufti”, è la carica più alta religiosa islamica sunnita, Abdellatif Deriane.
Prima di entrare negli uffici del gran mufti le è stato chiesto di indossare il velo. Erano presenti giornalisti e telecamere. Senza scomporsi troppo ma con fermezza ha rifiutato di coprirsi il capo.
“Riferite al gran mufti la mia considerazione, ma io il velo non lo indosserò”. Ha salutato tutti e si è allontanata.
Lo staff di Abdellatif Deriane ha espresso rammarico “per il comportamento inadeguato per tali riunioni”.
Mentre subito dopo il vice presidente del Front National, Florian Philippot, ci ha tenuto a precisare che il gesto di Marine Le Pen “è un bel messaggio sulla responsabilizzazione e la libertà delle donne, inviato alla Francia e al mondo”.
Ad inizio febbraio la leader della destra presentando i suoi 144 impegni presidenziali aveva promesso di “promuovere il laicismo” e la lotta contro il comunitarismo e di includere nella Costituzione il principio che la
Repubblica francese non “riconosce alcuna comunità”.
Sabato 11 febbraio una delegazione del governo svedese si reca a Teheran. Sono quasi tutte donne. Della delegazione fa parte anche Isabella Lövin ministro della Cooperazione internazionale nel governo guidato da Stefan Löfven.
Il ministro non perde occasione per far notare che “siamo un governo femminista” ed il primo, e probabilmente unico, al mondo.
La signora Lövin era balzata sulle prime pagine dei principali quotidiani internazionali per una foto in risposta a Donald Trump che si era fatto fotografare nello “studio ovale” circondato da soli uomini.
Le componenti della delegazione governativa svedese non appena atterrano sul suolo iraniano e scendono dal portellone dell’aereo si lasciano immortalare con un vistoso velo sul capo.
La motivazione addotta dalla Lövin è stata quella di non aver voluto lasciar partire solo uomini e che la ragione della trasferta era di rilevante importanza per la Svezia.
Si presuppone che in genere quando un ministro o un componente del governo si reca all’estero non lo fa, o quantomeno non dovrebbe, per ragioni personali o turistiche ma per un tornaconto del Paese, inoltre riesce difficile immaginare che in Svezia non vi siano uomini capaci e preparati.
A meno che non si voglia evidenziare una superiorità femminile, al di là della meritocrazia.
Ma se questa superiorità e questo femminismo significa cancellare la propria identità, la propria cultura, la propria dignità, solo per sottoscrivere un contratto o un accordo economico, allora preferiamo seguire altre strade e altri valori.
Barattare il nostro passato ricco di arte, di storia, di dottrina, di tradizioni e di conoscenza per pochi litri di petrolio non ha senso ma soprattutto non riceviamo nulla di vantaggioso in cambio.
Mais je ne me voilerai pas, anche noi, alla pari di Marine Le Pen, il velo non lo indosseremo mai.
Guglielmo d’Agulto
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