Di tragedia in tragedia si sta pagando un prezzo troppo alto
I buonisti e i samaritani del sabato sera hanno preferito tacere sulle recenti morti degli immigrati.
Erano in corso le operazioni di sgombero quando la notte tra il 2 e il 3 marzo sono rimaste vittime di un incendio, ancora sono in corso le indagini per capire la causa, due cittadini del Mali, Mamadou Konate di 33 anni e Nouhou Doumbia di 36 anni.
Non si sono preoccupati di capire perché nonostante sia stato intimato più volte che nella baraccopoli di Rignano Garganico non ci potevano e non ci dovevano stare, questi giovanotti irregolari ci sono voluti rimanere per paura, a loro dire, di perdere il lavoro. Si è dovuto intervenire con quattro ruspe e centinaia tra poliziotti, carabinieri e finanzieri per demolire una bidonville che poteva trasformarsi in tanica di benzina.
Nelle ultime ore altro incidente mortale ad Empoli dove si sono registrate due vittime in un casolare abbandonato sempre a causa di un incendio. Sono in corso le indagini per scoprire la loro identità.
Il 12 gennaio, sempre in Toscana, a Sesto Fiorentino prese fuoco il capannone che anni addietro ospitava il Mobilificio Aiazzone, ci fu un morto, era occupato da un centinaio di immigrati africani in prevalenza somali.
Dovettero sgomberare e gli amministratori comunali erano riusciti a trovare delle sistemazioni nei comuni dell’area metropolitana fiorentina. Solo in nove hanno accettato la nuova collocazione, gli altri hanno occupato uno stabile in centro a Firenze di proprietà dei gesuiti che erano in trattativa con il Politecnico di Shangai per la cessione del plesso. Il progetto del Politecnico avrebbe portato a Firenze 250 studenti, ma vista la situazione attuale e immaginando la lentezza nel reperire soluzioni non è difficile ipotizzare che i cinesi si attivino per trovare altri sbocchi. I 90 africani pretendono che gli amministratori pubblici trovino una sistemazione che non li penalizzi, preferiscono rimanere tutti insieme. Hanno compreso subito che l’unione fa la forza.
I dati ufficiali del ministero dell’Interno ci dicono che a febbraio sulle nostre coste sono sbarcati 9.849 migrantes, nel 2016 furono 3.828 e nel 2015 invece 4.354. Ne sono arrivati più del doppio degli anni precedenti. Se si aggiungono ai 4.470 di gennaio siamo già a 14.319 in due mesi,
se poi consideriamo che è ancora pieno inverno con un Mediterraneo che non agevola e non incoraggia i barconi possiamo ipotizzare che il 2017 sarà ancora peggio dell’anno passato quando fu stabilito il record di 181.436 sbarcati.
Il 2 febbraio a Roma è stato siglato un accordo tra Libia e Italia per arginare e tentare di azzerare la partenza di barconi dai porti libici. Si inneggiò alla vittoria e alla fine degli sbarchi. I rappresentanti dei due governi garantirono che finalmente erano state raggiunte soluzioni circa “il fenomeno dell’immigrazione clandestina e il suo impatto, la lotta contro il terrorismo, la tratta degli esseri umani e il contrabbando di carburante”.
Difatti sin dal primo mese i risultati sono pervenuti. Incoraggianti e stimolanti, c’è da essere ottimisti.
Tornando al rogo del foggiano va ricordato che nella notte tra il 1° e il 2 dicembre 2016 vi era stato un altro incendio che aveva distrutto una cinquantina di baracche messe su con legna di risulta, cartoni, plastica.
Altro incendio si era verificato il 15 febbraio, sempre 2016, che aveva bruciato quasi tutto ma che in poche ore era stato ricostruito ex novo.
Sindaci, prefetto e il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, questa estate avevano rasserenato tutti garantendo che la mega baraccopoli sarebbe stata rasa al suolo immediatamente.
Nessuno è in grado di sapere quanti erano gli immigrati alloggiati nel Gran Ghetto, vi è pure chi sostiene che all’interno ve ne fossero oltre 2.500, ma sono cifre prive di riscontro. Sono ombre che vanno e vengono, ingestibili, indefinite.
Si cerca di scaricare le colpe sui caporali, sui pomodori, sulla delinquenza organizzata e non. Giammai qualcuno che osa dichiarare di avere qualche minima responsabilità.
Il Gran Ghetto esiste sin dal 2002 ed in questo ampio lasso di tempo si è allargato, consolidato. Come tutti i ghetti, o le moderne banlieu, succede un po’ di tutto senza stare a formalizzarsi tra il legale e l’illecito, si gestisce lo spaccio, la prostituzione, il riciclaggio, tanto nessuno entrerà mai a controllare.
In Capitanata è dagli anni Sessanta del secolo scorso che si coltivano pomodori che vanno a finire negli stabilimenti campani per essere inscatolati. In Italia poco meno di 100.000 ettari sono destinati alla coltivazione del pomodoro da industria con una produzione media di 5,5 milioni di tonnellate. Nella provincia di Foggia si coltiva pomodoro su circa 20.000 ettari e se ne produce 1,6 milioni di tonnellate. La raccolta manuale avviene solo in minima parte, le macchine oramai hanno sostituito le braccia.
“Il ghetto di Rignano è una macchia che deve essere cancellata per sempre dall’orizzonte della nostra regione. È un luogo in cui si concentrano attività illegali di ogni tipo, dallo spaccio alla prostituzione, oltre all’intermediazione illecita di lavoro”. Così dichiarava il governatore della Puglia Michele Emiliano ad agosto dopo una riunione nella prefettura di Foggia ed aveva prontamente tagliato tutti i servizi che l’amministrazione precedente, guidata da Niki Vendola, elargiva gratuitamente: bagni chimici, acqua e presidio sanitario.
Non ci fossero state due vittime incolpevoli il Gran Ghetto starebbe ancora bene in vista nelle campagne di Rignano Garganico. Lo stop all’incrocio lo si mette sempre dopo l’impatto mortale.
la Redazione
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