Amen
Stare dietro a questo campionato “spezzatino” diventa sempre più arduo e soprattutto sempre meno divertente.
Dal venerdì al lunedì sera sei costretto ad annotare, leggere, prendere appunti, discutere. Come era più facile e omogeneo (verrebbe da dire persino più onesto) quando tutte le squadre giocavano nello stesso giorno e alla stessa ora e la classifica, la domenica sera, era definita, determinata, per le squadre, per le cronache, per i tifosi, per tutti, insomma.
È tutto così polverizzato che fra la vittoria della Juventus di venerdì e quella della Lazio di lunedì sera sembra essere passata una settimana, come se le due gare appartenessero a due turni diversi. E invece hanno scolpito in modo importante la classifica della 28ª giornata.
Ha voglia di protestare il Milan, i tre punti li ha incamerati la Juve e ai rossoneri non resta che la rabbia, la rassegnazione a quanto non può più essere cambiato e, vedremo, forse anche qualche stangata dal giudice sportivo.
Defilata, come suo costume, quando gli episodi in discussione la riguardano in positivo, la “signora” juventina un attimo dopo la contestazione sul prato dello Stadium era già proiettata, mente e muscoli, al match di Champions contro il Porto. Una concentrazione pazzesca quella che la squadra di Allegri sta palesando in questa annata. Impegnata su tutti i fronti possibili (quello del campionato in pratica già risolto), sembra non conoscere né stanchezza né incertezze. Viaggia su un binario ad alta velocità interdetto alle altre e guarda tutti dall’alto della sua marcia in più, un procedere inarrestabile. Da quando poi Allegri si è inventato la falange d’attacco, dove tutte le punte sono chiamate a rientrare e a dare una mano (pena la panchina) si è trovato un gruppo ancora più solidale di prima.
Il Milan da parte sua, fiducioso per la vittoria conseguita all’andata, si è presentato a Torino con la baldanza di chi crede di potercela fare, senza pensare che sottrarre 6 punti ai bianconeri nel corso dello stesso torneo non è mai stato agevole per nessuno.
Poi, in campo, la superiorità juventina ha avuto il suo peso è, alla fine, la vittoria della capolista non è poi neppure stata impropria, anche se il modo in cui l’ha ottenuta, non garbando a nessuno, ha suscitato polemiche violente. Un calcio di rigore che poteva essere dato oppure no e non conta se si era al 95° perché, come diceva qualcuno, le partite finiscono quando arbitro fischia.
La controparte milanese, quella nerazzurra, ha sparato grosso. Sette reti e per di più all’Atalanta, la rivelazione del campionato. Un ridimensionamento drastico, quasi brutale, uno schiaffo agli uomini di Gasperini che forse si credevano ormai in discesa, come se tutto fosse loro concesso e gli dèi del calcio avessero disteso una benevola mano sulle loro partite. Non sarà certamente così, ma tenere un profilo basso – cosa che in qualche momento stava un po’ sfuggendo agli atalantini – è sempre opportuno. Icardi e Banega con una tripletta a testa hanno fatto vedere tutto il loro talento.
Pioli ne è entusiasta e se li gode, come si coccola una squadra che con lui alla guida ha fatto davvero una rimonta epocale e, sullo slancio, chissà dove potrà arrivare. Non solo tante reti per i nerazzurri, ma anche un gioco concreto, redditizio, che schiuma la rabbia per il tempo perduto e la smania di continuare a fare bene per offrire un bel regalo alla neo dirigenza asiatica.
Quasi scontata la vittoria della Lazio sul Torino. Gli azzurri di Simone Inzaghi hanno dimostrato una qualità di una spanna superiore. Il momentaneo pareggio di Maxi Lopez dopo il gol di Immobile ha soltanto illuso il Toro e i suoi tifosi. Si vedeva in modo spontaneo che i padroni di casa avrebbero potuto risolvere la gara da un momento all’altro. Ci ha pensato Keita con una rete da autentico campione, un tiro dalla distanza tutto precisione e potenza sul quale il pur bravo Hart nulla ha potuto, la terza rete a firma di Felipe Anderson altro non ha fatto che marchiare ulteriormente una vittoria meritata.
I tifosi del Toro già si strappano i capelli per la futura, prossima partenza del “gallo” Andrea Belotti e la cosa ha un senso, ma credo che sarebbe altrettanto importante si rendessero conto che in realtà Belotti è solo un aspetto del problema e che ormai è mezza squadra che va riveduta e corretta. Quando a inizio torneo si sbandierano ambizioni si deve essere per lo meno tranquilli sulla possibilità di centrarle. Deludere è sempre antipatico.
Napoli e Roma, le prime inseguitrici dei bianconeri, si sono limitate a svolgere il compitino settimanale, dopo le delusioni patite nelle coppe. Si stanno sfiancando a tentare di tenere il passo della capolista e, a singhiozzo, si prendono e poi rilasciano la seconda piazza, per quanto i partenopei, per gioco e concretezza, mi sembrino i favoriti, sebbene all’oggi siano sotto di due lunghezze rispetto ai giallorossi.
Con la franca vittoria nel derby della Lanterna, la Sampdoria ha compiuto un bel salto in classifica, lasciandosi alle spalle il Torino e avvicinandosi un poco alla Fiorentina a cui la rete in extremis di Kalinic ha dato un po’ di fiato senza però annacquare le polemiche che la piazza sta suscitando nei confronti dell’allenatore Paulo Sousa.
Nelle parti bassissime della classifica sembra quasi incredibile che le ultime tre non sappiano mai cogliere l’opportunità di fare qualche passettino in avanti di riavvicinamento all’Empoli che si è infilato in un tunnel buio e pericoloso, salvo dalle insidie di un aggancio proprio soltanto dalla modestia delle tre che gli stanno dietro.
Franco Ossola
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