Le banche preferiscono i paradisi fiscali, tax haven
È stato appena pubblicato un rapporto realizzato da Oxfam (Oxford Committee for Famine Relief, Comitato di Oxford per un sostegno alle famiglie) con la collaborazione di Fair Finance Guide Intarnational dal quale si scopre che le maggiori 20 banche europee hanno fatto registrare nei paradisi fiscali, che gli intenditori chiamano tax haven, 25 miliardi di euro di utili netti. Lo studio è stato ultimato non perché i banchieri di loro spontanea volontà hanno pubblicato i dati ma poiché sono stati costretti dalle nuove regole europee sulla trasparenza entrate in vigore nel 2015 per via della crisi finanziaria che stava travolgendo il vecchio continente.
Emblematico il titolo del rapporto: L’apertura dei caveau. I relatori spiegano che il lavaggio monetario avviene innanzitutto per non pagare le dovute imposte fiscali nei loro paesi residenziali ma anche per facilitare l’evasione fiscale di alcuni loro clienti birboni o per aggirare regolamenti e disposizioni legislative.
Se le nuove regole non fossero entrate in vigore, impongono alle banche dell’UE di pubblicare informazioni sui profitti che realizzano e le tasse che versano in ogni paese in cui operano, queste operazioni sarebbero rimaste al buio come lo sono state tutte quelle concretizzate sino al 2015.
Dal rapporto L’apertura dei caveau comprendiamo che il 26 percento degli utili di queste grandi banche proviene dai paradisi fiscali, seppure in quei paesi ci sia solo il 12 percento del fatturato ed hanno in quegli uffici appena il 7 percento di dipendenti. Le filiali dei tax haven sono talmente brave che producono il doppio del reddito di quelle ubicate nei paesi legali. Altrettanto bravi sono gli impiegati i quali sono 4 volte più produttivi dei “normali” europei generando un profitto medio di 171.000 euro l’anno contro i 45.000 dei “normali”.
Vi sono poi gli eccessi faraonici. Nel 2015 le 20 compagne sono riuscite ad ottenere 628 milioni di profitti, sempre nei tax haven, senza neppure un impiegato, altro che Houdini!
Però il record lo hanno stabilito i cugini della BNP Paribas che alle Isole Cayman hanno registrato 134 milioni di euro esentasse senza neppure un impiegato. Con la bacchetta magica della fatina turchese.
Ma i labirinti bancari non finiscono di stupire. La teutonica Deutsche Bank annuncia perdite mostruose nei mercati europei, 6,1 miliardi di euro, ma nei paradisi fiscali, sempre nel 2015, stupisce il mondo intero con quasi 2 miliardi di profitti.
Gli approdi preferiti dai signori banchieri sono il Lussemburgo e l’Irlanda che rappresentano il 29 percento dei profitti ottenuti nei paradisi fiscali nell’anno 2015. Le 20 compagne nel solo Lussemburgo hanno intascato 4,9 miliardi di euro dal 1° al 31 dicembre 2015, più di quanto intascano in Germania, Gran Bretagna e Svezia messe insieme.
Su 383 milioni di profitto in sette paradisi fiscali non hanno versato neppure un centesimo di imposta.
In Irlanda non si versa un’aliquota superiore al 6 percento, mentre tre banche (Barclays, RBS e Crédit Agricole) hanno addirittura versato non più del 2 percento.
Sarebbe sufficiente che le 20 compagne pagassero tasse e imposte come le pagano milioni di europei, non un centesimo in più per la penalizzazione o le irregolarità commesse, ed avremmo risolto la quasi totalità di problemi e preoccupazioni che affliggono milioni di cittadini. Questo è il dramma.
La beffa invece ce la ritroviamo nel momento in cui un istituto bancario è prossimo al fallimento perché in quel momento i governanti per risolvere le difficoltà e le incapacità e i latrocini di anni di scellerate gestioni non trovano di meglio che lievitare le tassazioni per lanciare delle ancore di salvezza.
Le 20 compagne poste sotto la lente di ingrandimento della Oxfam appartengono all’élite della notorietà europea.
Tre sono tedesche: la Commerz-bank AG, la Deutsche Bank e la Kfw IPEX; cinque francesi: il BNP Paribas, la BPCE group, il Crédit Agricole, il Crédit Mutuel e la Société Générale;
cinque inglesi: la Barclays, la HSBC, la Lloyds, la RBS e la Standard Chartered.
Poi due olandesi: l’ING e la Rabobank; due spagnole: il Santander e la BBVA; una svedese: la Nordea.
Per chiudere l’allegra compagnia due italiane: Intesa Sanpaolo e l’Unicredit. Noi non potevamo mancare visto il patatrac banche in default di questi ultimi mesi. Con istituti finanziari distrutti dall’ingordigia, dall’incapacità e dalla politica.
Nel paradisi fiscali europei, però, non si dirigono solo le banche, a frotte si precipitano industrie, studi professionali, possidenti sfondati. Chi passa dalle parti di Lussemburgo si accorge che una percentuale consistente di targhette esposte all’esterno di palazzi e villette recano indicazioni e cognomi italiani.
Aziende note e meno note, tutte accumunate dalla volontà di sfuggire al fisco italiano e di lasciare che a tasse e balzelli provvedano gli incoscienti che rimangono al di sotto delle Alpi.
Piero Vernigo
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