Erasmus ed Erasmus Plus 30 anni di mobilità giovanile
Come è ormai ben noto, dal 1987 col Programma Erasmus gli studenti universitari dei Paesi europei hanno la possibilità di compiere uno o due semestri di vita e di studio in un’università di un Paese diverso dal proprio, con pieno riconoscimento dei crediti conseguiti all’estero, e quindi senza ritardo nel conseguimento della laurea in patria.
Le diversità, di metodi e di contenuti, vengono accettate con elasticità in base al “principio della stima e della fiducia reciproca” tra i due atenei e vengono anzi considerate un arricchimento dell’esperienza Erasmus.
Oggi questo può sembrare cosa normale, ma purtroppo nel 1969 quello che oggi appare semplice ed ovvio veniva respinto e guardato con ogni sorta di diffidenze. Ho dovuto lottare per quasi venti anni per superare tali resistenze e giungere nel 1987 al varo ufficiale del Programma Erasmus da parte dell’Unione Europea.
Chi lo desiderasse può trovare la narrazione di tutto ciò nel mio ultimo libro intitolato Erasmus ed Erasmus Plus (2015) che si può ora scaricare gratuitamente (in versione italiana o inglese) dal sito www.sofiacorradi.eu.
L’iniziale rodaggio del meccanismo Erasmus è stato lento e faticoso, e per arrivare al milionesimo studente ci sono voluti ben venti anni (dal 1987 al 2007); poi tutto è diventato scorrevole.
Tra il 1987 e il 2016 sono stati scambiati circa quattro milioni di studenti fra circa quattromila università europee, e adesso il numero aumenta al ritmo di un milione ogni tre anni.
Mi viene spesso domandato come ho avuto l’idea iniziale. Mi è venuta quando, di ritorno da un anno di studio alla Columbia University di New York (dove ero stata in Borsa Fulbright) mi è stato molto arrogantemente rifiutato il riconoscimento degli studi ivi compiuti.
Quando si è giovani si vuole “cambiare il mondo” e siccome mi ero resa conto che un anno all’estero aveva tanto giovato a me, volevo che la stessa opportunità la avessero anche tanti altri giovani. Volevo che un’esperienza all’estero, che nella storia era sempre stata un privilegio riservato a pochi giovani di famiglie abbienti, diventasse invece un’opportunità offerta a chiunque volesse coglierla.
Le numerose difficoltà e resistenze non mi hanno fermata, anche perché era l’epoca della cosiddetta “guerra fredda” tra le grandi potenze mondiali ed io vivevo la promozione della mobilità studentesca internazionale come una mia personale missione pacifista.
Per chiarezza, può essere utile accennare qui a che cosa l’Erasmus non è.
L’Erasmus non ha come scopo principale l’apprendimento delle lingue estere.
L’Erasmus non è riservato agli studenti di livello eccellente, ma è anche per gli studenti normali. L’Erasmus non ha lo scopo di offrire all’estero insegnamenti migliori di quelli che lo studente troverebbe nella sua università di origine: lo studente di Ingegneria che va in Erasmus, più che diventare un migliore ingegnere, diventa una migliore persona.
Le statistiche ci dicono che, completati gli studi universitari, lo studente che ha fatto l’esperienza Erasmus trova lavoro in metà tempo rispetto ai non-Erasmus, e che dopo dieci anni di lavoro raggiunge livelli direzionali.
Di tutto ciò naturalmente ci rallegriamo, ma non si insisterà mai abbastanza sul concetto che il principale prezioso risultato dell’esperienza Erasmus consiste nel fatto che, compiendo uno o due semestri di “full immersion” in una cultura diversa dalla propria, l’erasmiano sviluppa tutto un prezioso complesso di qualità e abilità trasversali quali una mentalità propensa a superare gli ostacoli mediante il dialogo anziché mediante il conflitto.
Sono gli stessi erasmiani a rendersi conto di ciò e vi cito alcune risposte che mi hanno dato nel corso delle interviste.
Un periodo di vita e di studio all’estero “Sviluppa la creatività”; “Rafforza il giovane nella fiducia in sé stesso”; “Si impara a sintonizzarsi sulla lunghezza d’onda altrui”; “Imprime nell’animo sentimenti indelebili di fratellanza umana”; “Si diventa cittadini europei e cittadini del mondo”.
Moltissimi rispondono: “L’Erasmus mi ha cambiato la vita”.
Il punto essenziale è che l’Erasmus non è prioritariamente studio, bensì è soprattutto una esperienza.
Quella “full immersion” in una cultura diversa dalla propria quale si verifica nell’Erasmus è particolarmente produttiva di crescita, di sviluppo e di maturazione della personalità in quanto possiede alcune specifiche caratteristiche: l’interazione si svolge tra pari, tra persone della stessa età anagrafica, tra persone dello stesso livello culturale, e che si trovano ad affrontare gli stessi concreti problemi di quotidiana vita universitaria.
L’erasmiano non segue alcun corso sull’integrazione europea bensì vive l’esperienza e apprende direttamente dall’esperienza.
Dal 2014 l’Erasmus, ridenominato Erasmus Plus, è stato potenziato e diverse sue azioni sono state estese a tutti i continenti ed anche ad attività lavorative ed alla ricerca scientifica. Nonostante la ben nota crisi economica mondiale, il contributo finanziario dell’Unione Europea è stato incrementato del 45% ed ammonta oggi a ben 15 miliardi di Euro per il settennio 2014-2020.
Nel 2017, unitamente ai Sessanta anni dalla firma dei Trattati di Roma, celebriamo il Trentennale del Programma Erasmus. Nella speranza che gli anni futuri possano vedere ulteriori sviluppi di questi strumenti di promozione della comprensione interculturale.
Sofia Corradi
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