Il romanzo del Toro e la storia degli Ossola
Potrebbe sembrar strano ma la società calcistica sulla quale sono stati pubblicati più volumi non è la Juve, né tantomeno il Milan e figuriamoci se può essere l’Inter. Pochi libri stampati su Roma e Lazio, come pure sul Napoli e Fiorentina. Gli scaffali sono riempiti di libri del Torino. I ripiani hanno iniziato a colmarsi a seguito della sventura di Superga, dopo quel tragico 4 maggio 1949.
Erano le 17.03, un infausto mercoledì, ed il Fiat G212 di ritorno da Lisbona si schiantò ai piedi della Basilica di Superga. A bordo vi erano giocatori, dirigenti e tecnici della formazione che aveva vinto cinque scudetti consecutivi e che sarebbero passati alla storia come “gli Invincibili”. L’ala sinistra del leggendario team era Franco Ossola. La moglie Piera era in attesa e partorirà a gennaio il desiderato erede.
Franco Ossola, figlio di Franco Ossola, è la memoria vivente de “gli Invincibili”, l’autore che ha vergato migliaia di pagine, infiniti aneddoti, tante curiosità e particolari sulla gloriosa maglia granata.
Dalla sua raffinata penna nelle ultime settimane sono venuti alla luce due volumi che arricchiscono il suo già cospicuo palmares editoriale: “Il romanzo del Toro, l’emozione di una storia che vive da oltre un secolo” e “Gli Ossola, Franco – Luigi – Aldo Le storie, le fotografie, i documenti di tre fratelli che hanno onorato lo sport”.
Il romanzo del Toro è una fatica encomiabile che merita un plauso e tanto tanto di più, in quattrocento pagine ha romanzato 110 anni di vita calcistica come solo lui sa e può fare.
Franco, dal sangue purissimo granata, oltre ad essere accanito segugio di biblioteche e librerie ha dalla sua la passione e l’amore per quel colore che gli consente di cercare e scovare delle chicche storiche che altri non vedono e non colgono.
Il dialogo iniziale tra l’elvetico Alfredo Dick dal baffo volitivo, reduce da burrascose discussioni con i liceali in casacca strisciata bianco e nera del Massimo D’Azeglio, e l’artigiano Bellini, rinomato progettista e realizzatore di distintivi sportivi, è un qualcosa che accarezza le corde emotive in maniera birbona.
Ho riletto diverse volte un quarto di pagina che mi piace riportare:
“Giocare al football era sempre stato e continuava ad essere un piacere, sin da quando ragazzino, prendeva a calci le lattine vuote di conserva che trovava per strada, tanto che tutti, in paese, a Cassano d’Adda lo chiamavano el tulen. Ai piedi zoccoletti di legno e non scarpe, troppo lusso, impossibile permettersele”.
El tulen era “il capitano” l’imperituro Valentino Mazzola.
La peculiarità di Franco è quella di farti divenire granata per tutto il tempo in cui sfogli le amene pagine e riesce perfino a stimolare la memoria: “… una formazione tipo che all’epoca anche i bambini delle scuole elementari conoscevano a memoria: Bacigalupo, Ballarin, Maroso, Grezar, Rigamonti, Castigliano, Menti, Loik, Gabetto, Mazzola, Ossola”.
In quei momenti indossa la divisa granata anche chi nutre amore e passione per i liceali del D’Azeglio. Ma bravo Franco!
Il 4 maggio 1949 diviene la linea gotica tra il passato ed il presente, tra il giorno e la notte, il presente diviene un inverno con qualche bella giornata. E per le splendide giornate granate occorre tornare al 1975-76 anno del settimo e, sinora, ultimo titolo nazionale.
“La lunga marcia di avvicinamento al titolo da parte della presidenza Pianelli si è finalmente arrestata. Ci sono voluti dodici anni di impegno e fatiche, di illusioni e speranze tradite, di gioie e felici intuizioni, ma anche di tanta rabbia, il più delle volte da mandar giù in silenzio”.
Il romanzo del Toro offre la possibilità di scoprire l’abisso che separa il calcio e l’ambiente di oggi da quello di ieri allorquando esistevano più bandiere e meno mercenari, quando le partite principiavano immancabilmente alle 15.00 della domenica e
Rita Pavone deliziava la gioventù con La partita di pallone.
Un doveroso riconoscimento è dovuto anche agli editori Priuli & Verlucca di Scarmagno (Torino) per aver stampato un volume pregevole e accuratamente rifinito a partire dalla copertina.
L’opera Gli Ossola realizzata, invece, da Pietro Macchione di Varese è un meritato ringraziamento a tre fratelli che tanto hanno dato allo sport nazionale ma ad una città in maniera particolare: Varese.
Franco ha fatto parte della leggenda Grande Torino; Luigi “Cicci” ha giocato in Serie A prima nella pallacanestro con la Prealpi di Varese e successivamente nel calcio con il Varese, con la Roma e con il Mantova, caso più unico che raro ad aver partecipato al massimo campionato in due differenti discipline (record che detiene con Cesare Rubini); Aldo cestista di altissimo spessore con ultradecennale militanza nella Pallacanestro Varese (Ignis, Mobilgirgi ed Emerson).
Il lavoro è stato realizzato a sei mani, Flavio Vanetti ha rammentato le imprese del von Karajan del canestro, Franco Giannantoni si è occupato di Cicci ed infine, ovviamente, Franco ha raccontato numerosi episodi calcistici ed extracalcistici del suo idolo mai conosciuto.
Con prefazione di Tony Damascelli, le tre storie esposte con dovizia di particolari sono ammirevoli anche per il corredo fotografico le cui immagini riportano la memoria a quell’Italia scomparsa da decenni, con i pantaloncini corti ed i rotolini bn.
“Nell’alloggetto di Via Cordero la vita scorre serena. Le vittorie della squadra portano a casa premi partita che si fanno sempre più consistenti. Qualche spesa in più ì consentita. Lasciate bicicletta e Vespa, terrore del presidente Novo, Franco ha da poco acquistato una Fiat 500C, trasformabile. Non ne girano ancorta molte di automobili a Torino e possederne una segnala uno status quo di un certo, seppur non eccessivo benessere. Da un anno ha poi aperto in società con l’amico Gabetto un bel bar in pieno centro … trasformano il bar – chiamato beneauguratamente Vittoria – in un covo di tifoseria, dove dalla sera alla mattina ci si ritrova per parlare solo di calcio. Alla cassa, a volte, la signora Anita, consorte di Gabetto, e la Piera (la moglie di Franco) sempre pronta a fare la sua parte quando c’è da tirarsi su le maniche. Insomma, la vita gli sta sorridendo. Immaginare che il Fato stia tramando lo sgambetto più atroce non è davvero possibile. Eppure quando i soccorritori giungono sul colle, ai piedi della grande Basilica dello Juvarra, lo spettacolo che si presenta loro dinanzi è quanto meno terribile. L’aereo si è come frantumato, quel che resta degli straziati, pressoché irriconoscibili, corpi di quelli che erano stati atleti meravigliosi, giacciono confusi e macabramente mischiati con frantumi metallici. Il grande Torino non c’è più. Se ne sono andati tutti in un lampo. La bella fiaba di Franco Ossola finisce a Superga. Sogni, speranze, progetti svaniti. Andarsene, poi, senza neppure la certezza che di lì a qualche mese gli sarebbe nato l’erede, quel maschio che tanto desiderava”.
Grazie Franco.
Bruno Galante
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