Gabriele Del Grande accusato di essere giornalista
Gabriele Del Grande si era recato in Turchia il 7 aprile per reperire notizie e servizi da inserire nel libro Un partigiano mi disse sul quale stava lavorando. Era divenuto un esperto nel documentare i flussi migratori che avvengono nel Mediterraneo, nel suo blog Fortress Europe sono segnalati tutti i decessi che si conoscono a partire dal 1 novembre 1988 segnalati sui quotidiani europei.
35 anni, nato a Lucca e vive a Milano.
Subito dopo essere sbarcato si trasferisce nella provincia di Hatay, il cui capoluogo è Antiochia, zona cuscinetto e di contrasto tra la Siria e la Turchia.
Sino al 1938 faceva parte della Siria, nel 1939 è stata incorporata dalla Turchia però la Siria non lo ha mai riconosciuto. Dal 2011, inizio della guerra civile in Siria, la Turchia ha schierato al confine migliaia di militari e già da dicembre si registrano conflitti a fuoco.
Il 9 aprile Del Grande è fermato dalla polizia turca e sottoposto ad interrogatorio. L’accusa che, pare, gli muovono è quella di essersi recato in zona di confine senza le dovute autorizzazioni e senza i necessari accrediti stampa.
Il giorno successivo viene tradotto nella prigione di Mugla, situata sulla costa della Turchia meridionale di fronte al Dodecanneso. Non gli è consentito di contattare nessuno né di ricevere nessuno. Gli vietano persino di incontrare il nostro console. Per dieci giorni si perdono le sue tracce. Finalmente martedì 18 può effettuare una telefonata, che viene registrata, alla sua compagna Alexandra. Tra l’altro riferisce:
“Sto parlando con quattro poliziotti che mi guardano e mi ascoltano. Mi hanno fermato al confine e dopo avermi tenuto nel centro di identificazione e di espulsione di Hatay, sono stato trasferito a Mugla, in isolamento. I miei documenti sono in regola, ma non mi è permesso di nominare un avvocato,
né mi è dato sapere quando finirà questo fermo. Sto bene, non mi è stato torto un capello ma non posso telefonare, hanno sequestrato il mio telefono e le mie cose, sebbene non mi venga contestato nessun reato. La ragione del fermo è legata al contenuto del mio lavoro. Ho subito ripetuti interrogatori al riguardo. Ho potuto telefonare solo dopo giorni di protesta. Non mi è stato detto che le autorità italiane volevano mettersi in contatto con me. Da stasera entrerò in sciopero della fame e invito tutti a mobilitarsi per chiedere che vengano rispettati i miei diritti”.
A Gabriele Del Grande, forse, sfugge un particolare: si trova nella Turchia di Recep Tayyp Erdogan, il quale di recente ha pure vinto un referendum contestato dai turchi e dall’Ocse, Organizzazione per la Cooperazione e lo sviluppo Economico. Il signor Erdogan dei diritti altrui se ne strabatte come pure se ne strabatte di leggi e regolamenti che non siano di suo gradimento.
Nel momento in cui qualcuno osa contraddire Erdogan gli toccano quattro metri quadri ed una inferriata. Lo ha dimostrato in numerose occasioni e poco importa se al di là del Bosforo si levano mugugni e manifestazioni. Il suo intento, e lo dimostra sfacciatamente, è di instaurare un regime dittatoriale con parvenza di democrazia, un califfato con sparute concessioni superficiali e di facciata.
Di entrare nell’Unione Europea ha pochissimo desiderio per la semplice ragione che da qual giorno in avanti dovrebbe parlare ed agire a secondo di ciò che decidono a Bruxelles.
Però gli fa più che comodo intascare dall’Eu decine di miliardi di euro, dietro ricatto di aprire le sue frontiere e riversare sul vecchio continente migliaia di profughi affamati e musulmani.
Dopo la farsa del complotto e ipotetico colpo di Stato ha polverizzato gli avversari e i nemici, si è inventato un referendum con schede non timbrate, e quindi non controllabili e non contabilizzabili, ed ha vinto con il 51%. Tra poche settimane avvierà le procedure per un successivo referendum, simile al precedente, per instaurare la pena di morte e visto che sta accentrando nelle sue mani il potere legislativo, esecutivo e giudiziario non è difficile prevedere che tantissimi avversari e politici per evitare la pena capitale saranno costretti ad emigrare o a sottostare.
Attualmente nelle segrete e putride celle turche sono rinchiusi circa duecento giornalisti turchi e stranieri, ma di ciò l’Occidente non ne discute. Giornalisti che hanno osato esprimere le proprie idee ad Erdogan poco gradite.
Nelle ultime ore Antonio Tajani, presidente dell’europarlamento ha voluto precisare che “La Turchia deve rispettare la libertà di stampa se vuol far parte dell’Unione Europea, non è solo un fatto italiano.
Nelle carceri turche ci sono 200 giornalisti, di cui diversi stranieri tra cui Deniz Yucel, il giornalista del settimanale tedesco Die Welt. Non è possibile ipotizzare l’ingresso nell’UE se si fanno scelte di questo tipo. Peggio ancora se si va verso un referendum per la pena di morte”.
È utile rammentare che Deniz Yucel, 43 anni, è accusato di propaganda terroristica, di associazione terroristica e di diffusione di dati.
Sono parecchie migliaia i nemici di Erdogan finiti dietro le sbarre dopo il comico golpe ed in attesa di un presunto regolare processo, molti di loro ad oggi neppure conoscono le motivazioni dell’arresto. Il plenipotenziario ha sinora licenziato oltre 100.000 funzionari pubblici, ha arrestato 30.000 tra insegnanti, ufficiali dell’esercito, politici dell’opposizione, personale di sicurezza, sono state chiuse tutte le emittenti televisive, radio e giornali che non condividevano i suoi programmi, si è impossessato di beni mobili e immobili dei suoi oppositori, ha fatto chiudere uffici e stabilimenti.
Dopo contatti e sollecitazioni dalla Farnesina la mattina del 21 Gabriele Del Grande ha incontrato la rappresentanza consolare italiana.
Arnaud Daniels
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