Ora è davvero finita
Con largo anticipo, pur se la matematica ancora non si esprime – ma è sempre stato così quest’anno, perché l’impressione che vincesse è sempre stata vivissima – la Juventus si fissa sul petto il sesto scudetto consecutivo sbaragliando se stessa anni Trenta (la mitica squadra di Combi, Rosetta, Caligaris e compagni) e l’altrettanto mitico Grande Torino di Valentino Mazzola e Campionissimi di Superga. Un’impresa a dir poco eccezionale, che merita complimenti senza pregiudizi.
Il sofferto pareggio di Bergamo, a prima vista per alcuni un punto smarrito per strada, considerato che il pari degli atalantini è arrivato proprio sull’ultimo giro di lancette, si è rivelato al contrario l’ennesimo punto prezioso per tenere a bada e a debita distanza tutti, in specie la Roma, presunta prima inseguitrice. Gli uomini di Massimiliano Allegri ambiscono, giustamente, al triplete e le possibilità che lo conquistino ci sono tutte. Assodato lo scudetto, in Coppa Italia li attende una Lazio gagliarda, comunque superata in scioltezza nel corso del torneo. Sul fronte Champions le variabili pericolose sono maggiori, ma la sicurezza con cui è avvenuto l’approdo alla semifinale segnala non poche garanzie per il prosieguo della corsa.
Per l’ennesima volta la Roma buca clamorosamente l’appuntamento e lo fa con un tonfo memorabile perché, oltre tutto, avviene nella stracittadina che, in un campionato dove ha fallito ogni obiettivo, avrebbe dovuto essere il match da vincere per dare almeno un contentino ai tifosi. Di nuovo, i giallorossi si squagliano nel momento cruciale (accorciare di due lunghezze il distacco dalla Juventus e tenere calmo il Napoli) andando sotto con i cugini laziali in una partita fotocopia delle precedenti già perse con loro. Sembra incredibile che un allenatore come Spalletti possa cadere in trappole così elementari: riproporre la stessa squadra e lo stesso modulo già rivelatisi infausti con gli uomini di Simone Inzaghi. Una difesa improponibile, ingessata e impacciata in alcuni elementi, sempre presi in mezzo dalle giocate intelligenti e rapide dei laziali. Ora staremo a vedere se Spalletti farà come Matteo Renzi o no. A più riprese, come l’ex presidente del consiglio, ha sbandierato che se ne sarebbe andato se gli esiti non fossero stati positivi e, a detta di tutti, non si possono di certo considerare tali (fuori nella coppa europea e in Coppa Italia, dietro alla Juve in campionato).
Renzi si è rimangiato le promesse, vedremo Spalletti che farà. Oggi, d’altra parte, è di gran moda parlare di abbandono e di dimissioni e poi ribaltare tutto nel nome di un desiderio irrefrenabile di recuperare, di cambiare, di non mollare a dispetto di tutti.
Di tonalità opposte le sensazioni che albergano nell’ambiente Napoli. La rete di Callejon (l’unico in serie A ad avere raggiunto la doppia cifra sia nella realizzazione, 11 gol, che nell’assistenza, 10 assist) ha cancellato un’Inter ancora una volta impacciata, paurosa, incerta. Lo sforzo che i nerazzurri hanno compiuto per risalire con grande impeto la china della classifica all’arrivo di Pioli, subentrato a De Boer, è stato quasi titanico: ha portato molti punti, ma anche ingenerato una pressione altissima che ora sta sfogando, sfiatando via energie e determinazione. Ne è la riprova quest’ultimo mese da incubo per i nerazzurri.
Godono, al contrario gli azzurri di Maurizio Sarri, sempre più convinti di farcela a soffiare la seconda piazza in classifica alla Roma. La squadra continua a macinare un gioco vivo e spumeggiante, ricco di inventiva, rapido. Anche se alcuni elementi incominciano ad avere un po’ il respiro corto (vedi Hamsik, per esempio), l’undici che scende in campo è sempre valido, segno che anche nei cambi per il rifiato Sarri ci vede bene.
Per quest’anno il trainer pare dirsi contento di quanto fatto fino ad ora (dovesse mai arrivare secondo non contento ma contentissimo), tuttavia il suo sguardo va oltre e già, crediamo, stia cabalizzando pensieri per la stagione prossima.
Si spera che sia così perché la valanga juventina, che continuerà a dettare legge, possa in qualche modo trovare ostacoli decisamente più ostici da superare di quelli incontrati quest’anno.
Detto della fantastica Lazio che si fa beffe della Roma, regalando ai suoi supporter giornate di grande felicità (vincere il derby è sempre un regalo che la squadra fa a chi la segue); detto dell’Atalanta che ha uomini giovani e gasati che sembrano aver sottoscritto un ferreo patto di solidarietà per non buttare via proprio all’ultimo quanto di meraviglioso fatto fino a ora e compiere l’impresa; detto di un Torino gagliardo, tutto attacco, che non riesce però più a vincere in casa e a battere un’altrettanto valida Sampdoria, le note melanconiche non possono che riguardare Milan e Fiorentina.
I rossoneri hanno dallo loro la buona sorte che chi li insegue sta peggio di loro e non coglie una sola occasione per ravvicinarsi, perché a rigor di fatti la squadra di Montella sta mostrando la corda in modo evidente. Chissà che pensa la nuova dirigenza, finalmente insediatasi.
Ma la nota più dolente arriva dalla Viola: che brutta partita, che figuraccia a Palermo. Senza nulla togliere ai rosanero che hanno vinto con pieno merito, vale però ricordare come essi in casa non avessero, prima, vinto che in una sola occasione! Se poi si considera che comunque per la Fiorentina il discorso accesso all’Europa non era ancora del tutto chiuso, si può comprendere la delusione forte di dirigenza e tifoseria.
In coda un plauso, l’ennesimo, al coriaceo Crotone e al suo trainer, uno dei pochi in circolazione a saper esprimere concetti e riflessioni un po’ diversi dalle solite banalità. Sul Genoa, ora risucchiato pesantemente – tenuto conto del calendario che lo attende nelle ultime quattro partite – nel vortice della retrocessione, sembra ci sia poco da dire: non è neppure l’ombra dell’ombra della squadra che riuscì, fra le pochissime, a superare la Juventus.
Franco Ossola
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